
Secondo le ultime notizie che arrivano dalla Russia,
il responsabile dell’attentato nella metropolitana di San Pietroburgo sarebbe un 23enne kirghiso che avrebbe fatto saltare l’ordigno portato in uno zaino. È presto per trarre conclusioni affrettate, ma sembra proprio che
la matrice vada ricercata là dove sin da subito si è sospettato: nel
ventre molle caucasico, dove islam fondamentalista, criminalità organizzata e istanze indipendentiste si sovrappongono. Quando si parla di Russia, Asia centrale e terrorismo islamico, tuttavia, non possiamo non pensare alla questione cecena, che è stata un po’ il catalizzatore di tutto il fondamentalismo dell’area: è lì che i terroristi hanno combattuto, si sono conosciuti, si sono organizzati, hanno fatto rete, per poi finire a combattere in Siria o a farsi saltare su un vagone della metropolitana a San Pietroburgo.
E non possiamo dimenticare come la Cecenia abbia avuto un sostegno continuo, sistematico, da parte occidentale. Nel frattempo, in Italia è stata appena smantellata una cellula jihadista che progettava di far saltare il ponte di Rialto, a Venezia. Erano tutti kosovari, quindi anch’essi beneficiati non sono di un generico “sostegno” occidentale. Lì abbiamo fatto di più:
abbiamo portato la guerra nel cuore dell’Europa, bombardando le città serbe, per permettere l’instaurazione a due passi da casa nostra di un narco-Stato basato su tutti i traffici possibili e che costituisce un santuario del terrorismo islamico. Anche in questo caso, i patriottici, idealisti, generosi combattenti che abbiamo aiutato erano in realtà efferati tagliagole.