Quello che segue è un articolo interessante che fa luce sui RATTI che dal 2011 occupano la Libia. Meno male che è un articolo che non è stato scritto da un sostenitore di Gheddafi. Buona lettura.
Chi sta distruggendo la cultura in Libia
Nella versione libica i protagonisti sono diversi: hanno saltato la parte in cui studiano, lavorano sodo e lottano finché i loro sforzi e i loro talenti non sono riconosciuti. I nostri nuovi leader libici hanno ottenuto soldi e potere durante il caos della guerra civile e li hanno usati per imporsi come personaggi con cui è necessario fare i conti. Uno dei tanti esempi è Abdullah Naker: prima della rivoluzione faceva il tecnico in un negozio di televisori, dopo la rivoluzione si è arricchito, è diventato capo di una milizia e ha perfino fondato un partito politico.
Un uomo venuto dal niente
Un’altra storia, ancora più recente e interessante, con foto condivise ovunque sui social network libici, riguarda un altro uomo apparso dal nulla. Decine di sue immagini scattate in luoghi diversi hanno in comune un tema: il cibo. Mangia in continuazione. Seduto, a letto, in piedi, da solo, con altri, a un tavolo, sul pavimento, nel suo ufficio, nei ristoranti, alle riunioni, mangia sempre come se non ci fosse un domani. C’è solo una foto che si distingue dalle altre, in cui posa con un Kalashnikov ed è vestito come un ribelle da manuale. È Hassan Onis, a capo del Comitato direttivo dell’autorità generale per la cultura nel governo di Fayez al Sarraj.
Molti sostengono che prima del 2011 fosse un macellaio, sebbene non ci siano prove concrete a sostegno di questa tesi a parte qualche vecchia foto. Poi però se lo ascoltate e imparate a conoscerlo, tutto questo acquista un suo senso. Parla di rado, perché quando lo fa le sue parole rivelano una profonda ignoranza.
I dipendenti dell’autorità generale per la cultura hanno manifestato disperatamente davanti all’edificio, chiedendogli di dimettersi perché “sta distruggendo la cultura”. Hanno mandato una lettera ufficiale al consiglio presidenziale con la preghiera di salvare il ministero da una “banda di corrotti” guidati da lui, colpevole di “violazioni finanziarie, amministrative ed etiche, e privo di qualsiasi titolo accademico”.
A febbraio di quest’anno è andato a rappresentare la Libia alla Fiera internazionale del libro del Cairo, accompagnato dal suo entourage. Oltre alle guardie del corpo, c’erano qualche poeta e dei vecchi attori. Le stesse facce di sempre, gli stessi membri di un club esclusivo che erano e sono ancora i preferiti dallo stato. Detengono il monopolio di tutti i finanziamenti, ma non sono riusciti a migliorare nulla se non i loro stili di vita. Questo genere di sedicenti artisti e intellettuali sono come i canarini che cantano per chiunque li catturi e dia loro da mangiare.
Ecco una trascrizione fedele del suo discorso alla televisione egiziana in occasione dell’evento:
I funzionari dell’autorità generale della cultura hanno lasciato trapelare la notizia che gli organizzatori del Cairo avrebbero confiscato i materiali della sezione libica, che non avrebbe pagato la quota di partecipazione di diecimila dollari. Il presidente del sindacato libico degli editori Ali Owein ha negato la notizia, spiegando che “gli organizzatori della fiera hanno capito che l’autorità non era in grado di trasferire i diecimila dollari a causa delle circostanze straordinarie in cui si trova la Libia”.
Poco dopo, da altri documenti lasciati trapelare dall’amministrazione del Macellaio è emerso che la spesa per questa trasferta è stata di 250mila dinari libici (153mila euro); centomila dinari (61mila euro) avrebbero dovuto coprire tutte le spese della fiera, e 150mila dinari libici (91mila euro) sono andati all’agenzia di viaggio Qimt Alalem per coprire le spese di viaggio sue e del suo entourage.
Pochi mesi più tardi, scrittori ed editori del libro Sun on closed windows sono stati al centro di una vergognosa campagna di odio. Il volume contiene racconti scritti da venticinque giovani autori libici. Questa rabbia era dovuta a pochi paragrafi di uno dei racconti. Lo scrittore descrive un rapporto sessuale, usando parole gergali libiche molto dirette. Dopo la pubblicazione gli autori e gli editori hanno ricevuto minacce di morte. I miliziani hanno arrestato l’organizzatore dell’evento di promozione del libro e hanno chiuso il centro culturale in cui si era tenuto l’evento.
Il ministero della cultura guidato dal Macellaio ha condannato il libro e l’ha bollato come contrario alla “morale pubblica”. Il Macellaio ha anche dichiarato di non sapere niente del controverso libro e dei suoi autori. E ha aggiunto: “Il libro è stato pubblicato fuori della Libia, senza essere soggetto alle regole della censura del paese, ed è stato introdotto illegalmente nel paese”. Non contento, ha ordinato la confisca di tutte le copie.
Dopo aver represso e soffocato le voci di giornalisti, fotografi, registi, scrittori e musicisti, questo è l’ultimo chiodo nella bara. È una guerra sistematica contro qualsiasi canarino che osi cantare da solo. Per loro la cultura è una parola terrificante. Negli anni trenta Hanns Johns, presidente della camera di cultura del reich e delle organizzazioni degli scrittori tedeschi, aveva sintetizzato il concetto in questo verso della sua opera Schlageter: “Ogni volta che sento la parola cultura tolgo la sicura alla mia pistola”.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Preso da: https://www.internazionale.it/opinione/khalifa-abo-khraisse-2/2017/11/21/libia-cultura-minacciata