Libia. Ma quali foto hanno mostrato al Pontefice?

29/8/2018

“Prima di mostrarli al Pontefice, i video sono stati (da noi) verificati”. Peccato che i redattori  de L’Avvenire,  prima di presentare come “autentici” i video (e/o i fotogrammi di questi)  a Papa Bergoglio non si siano degnati neanche di dare una occhiata a qualche sito italiano (ad esempio il blasonato Butac, che riprende una inchiesta del sito Snopes, corredata da un interessante video) che attesta come, ad esempio, la raccapricciante foto mostrata da L’Avvenire come (“Fermo immagine dal video dei lager libici”) e  sbandierata anche da Repubblica (foto n. 3), non rappresenti affatto “migranti torturati nei lager della Libiabensì tre presunti criminali catturati in Nigeria nel 2017 dalla folla prima di essere consegnati alla polizia. Del resto, non è questa l’unica immagine fake che dovrebbe documentare le torture a richiedenti asilo imprigionati in Libia. Ad esempio, quella, famosissima, dei segni delle frustate sulla schiena è stata creata da un intraprendente nigeriano, esperto in Makeup – tale Hakeem Onilogbo – che crediamo abbia fatto una fortuna vendendo foto raccapriccianti ai media occidentali. Media che si direbbero prendano per buona qualsiasi “documentazione dalla Libia”; come, ad esempio una fustigazione ripresa chissà dove e che viene presentata dalla RAI come “video girato con smartphone di profughi frustati e picchiati in lager libici” o addirittura il farlocchissimo video diffuso dalla CNN nel quale due tizi sorridenti (presunti “richiedenti asilo in Libia”) vengono venduti come “schiavi” da un tizio provvidenzialmente celato da un muro.

Ma tutto questo significa forse che i richiedenti asilo che si trovano in Libia non sono sottoposti a vessazioni, detenzioni arbitrarie, violenze? Assolutamente no. La loro condizione è drammatica, sopratutto quando chi viene incaricato di “provvedere ad essi” sono bande di criminali. Ad esempio, le sanguinarie “milizie di Misurata” alle quali, nel 2017 – verosimilmente per non turbare l’esito delle elezioni politiche dell’anno successivo – il ministro Minniti tentò di affidare (pare, in cambio di cinque milioni di dollari) il compito di non far sbarcare più richiedenti asilo in Italia. Oggi, le cose sono cambiate. In meglio, nonostante impazzi una campagna mediatica senza precedenti che accusa la Guardia costiera libica di riportare i migranti in “campi di tortura”. E chiunque si permette di mettere in dubbio questa vulgata finisce, ovviamente, per essere etichettato come “razzista” o, addirittura, “al soldo di Salvini”.

Intanto, una precisazione. Con la distruzione dello stato libico (nel quale, fino al 2011 lavoravano ben 1.800.000 migranti) moltissimi dipendenti pubblici, per sopravvivere, sono stati costretti a vendersi a qualche fazione o banda sponsorizzata dai padroni di turno. È stato questo anche il destino della Guardia costiera libica che, fino al 2017, si identificava con la cosiddetta Al-Bija, (dal nome del suo comandante). Nell’estate 2017 – con l’accordo tra Gentiloni e il “nostro” presidente libico Fayez al-Serraj – le cose cambiano. Viene estromessa la banda di Al-Bija e istituita una zona SAR (ricerca e salvataggio) di competenza della rinata Guardia costiera libica la quale, addestrata da personale della nostra Guardia costiera, riceve dall’Italia e dall’Unione Europea natanti e strumenti per potere operare. A questa situazione si accompagna un netto miglioramento dei centri dove venivano e vengono trattenuti i richiedenti asilo riportati in Libia dalla Guardia costiera. Centri che attualmente sono gestiti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e , nonostante un patetico appello, con l’ausilio di ONG italiane vincitrici di una gara di appalto bandita dal Ministero dell’Interno. Nonostante l’indubbio miglioramento della situazione garantito da questi accordi, alla fine del 2017 parte una colossale campagna di demonizzazione della Guardia costiera libica basata su un dossier della sorosiana Open Migration che – sia detto en passant – mai aveva speso una parola contro la Milizia di Zawiya (forse perchè, come attestato da numerose inchieste, era quella che “riforniva” di richiedenti asilo le navi delle ONG dirette in Italia). Campagna che ora tocca l’apice (speriamo) con la presentazione delle fotografie al Papa.

Si rallegra, a tal riguardo L’Avvenire: “Prima di rimandarli indietro ci si deve pensare bene” ha affermato il Papa, proprio mentre in Italia la polemica sull’accoglienza ai migranti si fa sempre di più nodo dolente della politica. E se i racconti di chi sopravvive a tanta brutalità non bastano più, a parlare per loro ora ci sono le immagini. Bisogna avere stomaco per guardarle fino in fondo: il Papa, sempre vicino ai sofferenti, non ha esistato. Ha visto le prove: e sa di cosa parla.”

Ma, al di là delle macchinazioni de L’Avvenire – lo ripetiamo ancora una volta – la situazione dei richiedenti asilo in Libia (sia quelli riportati a terra dalla Guardia costiera sia quelli lì arrivati sperando di poter raggiungere l’Europa) resta drammatica; anche perché la Libia è costellata da “prigioni private” dove i trafficanti rinchiudono migranti per poi, tramite video-smartphone  chiedere soldi ai loro parenti. Una situazione determinata, principalmente dalla dissoluzione di uno Stato e, quindi, dalla guerra del 2011 (salutata come “umanitaria” da tanti allocchi della “sinistra antagonista” italiana).

Che fare per lenire questa situazione? “Aprire i porti italiani”, come viene incessantemente chiesto (certamente in buona fede) da tanti della “sinistra antagonista”? Di certo, garantire a chiunque mette piede in Libia di essere accolto in Italia e, quindi, in Europa farebbe crescere esponenzialmente l’afflusso di disperati in Libia con le conseguenze che è facile immaginare. E allora cosa concretamente fare? Ci auguriamo che la questione diventi, finalmente, argomento di dibattito e discussione per i tanti che oggi si limitano a salmodiare accuse di “razzismo”.

P.S. Dopo che il giornale Avvenire, aveva annunciato sul suo sito la disponibilità a far visionare – da giornalisti o blogger – i video di torture, ho contattato la redazione del giornale che mi ha dato il recapito telefonico di Nello Scavo, autore dell’articolo di cui sopra, il quale mi ha specificato che i video di torture NON SONO STATI RIPRESI all’interno di centri di detenzione gestiti dalla Guardia costiera o da altre strutture governative libiche.

Francesco Santoianni

Preso da: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-libia_ma_quali_foto_hanno_mostrato_al_pontefice/6119_25219/

2018: Vergognosa speculazione: il mainstream utilizza il terremoto per diffondere fake news sul Venezuela

23/8/2018

Una vera e propria opera di speculazione e sciacallaggio portata avanti dal circuito informativo mainstream italico, proprio in una fase dove il governo Maduro è impegnato nell’implementazione di importanti misure in campo economico

Vergognosa speculazione: il mainstream utilizza il terremoto per diffondere fake news sul Venezuela

di Fabrizio Verde
Il Venezuela è stato colpito da un forte terremoto, di intensità 7.7 della scala Richter, avvertito in diverse zone del paese e finanche nel nord della Colombia. L’evento naturale ha dato la stura a tutta una serie di fake news volte a colpire il governo bolivariano. Una vera e propria opera di speculazione e sciacallaggio portata avanti dal circuito informativo mainstream italico, proprio in una fase dove il governo Maduro è impegnato nell’implementazione di importanti misure in campo economico volte a superare l’assedio finanziario, aggirare le sanzioni statunitensi, portare il paese al completo recupero della propria economia. Insomma, vincere la guerra economica.

Quello che una volta veniva ritenuto il maggiore notiziario televisivo italiano dopo aver dedicato qualche secondo al terremoto, passa subito ad occuparsi del versante economico. Le nuove misure messe in campo dal governo bolivariano vengono presentate come sostanzialmente inutili per far fronte alla crisi economica che affligge il paese sudamericano. Ovviamente neanche un minimo accenno al fatto che l’inflazione venga utilizzata come arma principale della guerra economica condotta contro Caracas senza esclusione dei colpi.

Leggi anche: L’inflazione come arma di guerra in Venezuela

Inoltre, viene riferito dello sciopero generale convocato da alcuni settori dell’opposizione. Miseramente fallito. Nessuna immagine viene mostrata. Forse perché avrebbero dovuto mostrare una Caracas impegnata nelle normali attività quotidiane. Come mostra in questo video, tramite Twitter, il giornalista Oswaldo Rivero.

Invece i media di tendenza liberale e liberista, da Il Post a il Sole 24 Ore, puntano su alcune foto dove si possono vedere beni di prima necessità e il corrispettivo in banconote necessario per acquistarli. Immagini di forte impatto. Che hanno il pregio, ad avviso di chi scrive, di mostrare l’ampiezza della guerra scatenata contro il governo bolivariano.

L’intento malcelato è quello di mostrare una presunta inadeguatezza delle politiche di stampo socialista adottate da Caracas che avrebbero fatto piombare il paese in una situazione disperata a livello economico. Nulla di più falso e lontano dalla realtà. Curioso notare come questi censori del sistema socialista venezuelano, per oltre vent’anni, non si siano accorti degli enormi guasti causati dal neoliberismo in Italia e nell’Europa intera.

Sul tema inflazione, invece, la questione è stata ben chiarita dall’economista Alfredo Serrano Mancilla, in questo articolo (Manuale di stupidaggini sull’inflazione in Venezuela), tradotto in italiano da l’AntiDiplomatico.

Ancora una volta, il circuito informativo mainstream, ha mostrato tutta la propria malafede nei confronti di un governo e di un popolo che resistono agli assalti dell’impero. A costo di sacrifici immensi.

Preso da: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-vergognosa_speculazione_il_mainstream_utilizza_il_terremoto_per_diffondere_fake_news_sul_venezuela/5694_25160/

John McCain e i suoi laudatori in vita e in morte

di Fabrizio Poggi
John McCain e i suoi laudatori in vita e in morte

Chi sia stato John McCain, è stato detto in maniera concisa e puntuale da più parti; le parole con cui i socialdemocristiani nostrani lo hanno accompagnato nel suo ultimo viaggio sono state riportate quel tanto che basta per definire l’uno e gli altri.

Forse non guasta sapere con chi si siano trovati in compagnia gli italici ostensori di cotanto eroe. Senza scomodare le lagrime sparse dai pupilli ucraini del defunto senatore yankee, a partire dal neonazista speaker della Rada Andrej Parubij, alle latitudini in cui maggiormente si sono apprezzati gli sforzi di tale “eroe” (per la cronaca, i vietnamiti, pur ricordandone la figura, hanno sempre smentito le sue dichiarazioni secondo cui sarebbe stato torturato durante la prigionia) “in difesa del mondo libero dall’aggressione russa”.

In Lituania, paese a cui McCain ha ripetutamente assicurato l’aiuto militare USA “fino all’ultimo soldato o fino alla piena vittoria sulla Russia”, il presidente del partito cristiano-democratico “Unione della Patria”, Gabrielius Landsbergis ha addirittura proposto al sindaco di Vilnius di intitolare a McCain un luogo pubblico della capitale

Anche più a sud è stata avanzata una proposta del genere: il vice presidente del Medžlis dei tatari di Crimea, Akhtem Ciigoz, ha chiesto che una piazza del centro di Kiev venga intitolata al senatore yankee, uno dei principali ispiratori, ha detto (non dimentichiamo di aggiungere: insieme all’italico Gianni Pittella) di majdan Nezlažnosti e “coscienza” degli ucraini e dei tatari di Crimea. Ciigoz ha detto che i tatari di Crimea – la cui organizzazione, il Medžlis, è direttamente agli ordini di Kiev e sostenuta dai Lupi Grigi turchi – “trovandosi sotto occupazione”, hanno sempre riposto le proprie “speranze in tali politici”, quali McCain. Lui e le persone come lui hanno sempre lottato per difendere “interessi dell’Ucraina. Spero che dopo la morte di McCain, queste forze si consolidino ancora di più”, ha detto Ciigoz rivolgendosi indirettamente a George Soros.

Davvero una pregevole compagnia, quella in cui sono andati a trovarsi i liberalfascisti nostrani: tra terroristi musulmani ed eroicizzatori di quell’epoca in cui per la strade di Vilnius e di Kiev marciavano a braccetto SS tedesche e loro komplizen lituani e ucraini.

Video

No Muos

Il M.U.O.S. (Mobile User Objective System) è un moderno sistema di telecomunicazioni satellitare della marina militare statunitense. Il sistema di terra si compone di quattro stazioni, collocate in Virginia (USA), Hawaii, Australia e Niscemi. Ciascuna stazione M.U.O.S. si compone di tre grandi parabole del diametro di 18,4 metri, che trasmetteranno in banda Ka (microonde) e due antenne elicoidali, alte 149 metri, in banda UHF. Il sistema di terra si completa con cinque satelliti geostazionari.

La stazione M.U.O.S. italiana è istallata nella base militare americana NRTF-8 (Naval Radio Trasmitter Facility) di Niscemi. Qui sono operative dal 1991 41 antenne in banda HF e una in banda LF, alta circa 140 m e con una potenza di emissione nell’ordine dei 500-2000 KW, il cui scopo è la trasmissione con i sommergibili militari. Da studi basati sui pochi dati raccolti dall’ARPA Sicilia, è scientificamente fondato il timore che l’istallazione attuale superi già i limiti di legge imposti sulle emissioni elettromagnetiche.

Lo scopo di tale complessa infrastruttura è, ovviamente, il controllo e il coordinamento capillare di tutti i sistemi militari statunitensi dislocati nel globo. Il sistema permetterà la comunicazione tra i cosidetti utenti mobili, tra cui i droni, aerei senza pilota che sono allocati anche a Sigonella.

Per ciò che sappiamo, tre delle quattro stazioni di terra sono state completateQuella di Niscemi è ultimata e in fase di controllo. Dei cinque satelliti, solo il primo è stato lanciato il 24 febbraio 2012 e finito di testare il 24 luglio 2012. Si prevede che l’ultimo satellite sarà in orbita entro il 2015. Allora il sistema sarà pienamente funzionante. Differentemente da quanto affermato da diverse fonti, anche istituzionali, il sistema M.U.O.S. non sostituirà il sistema già esistente nella stazione NRTF-8 (le 46 antenne). Verosimilmente, il vecchio sistema affiancherà il M.U.O.S. per parecchi anni.

La base NRTF-8 si trova all’interno della Riserva Naturale della Sughereta di Niscemi, uno dei pochi parchi naturali con alberi da sughero ormai rimasti in Italia, tutelata da leggi rigorose che vietano qualsiasi intervento umano. La riserva, istituita nel 1997, è stato inserita nella Rete Natura 2000 come Sito di Interesse Comunitario (SIC). Nel 2008 il Piano territoriale della Provincia di Caltanissetta stabilisce che presso la Sughereta di Niscemi non è concesso realizzare nuove costruzioni e infrastrutture, compresa l’installazione di antenne e tralicci. In evidente violazione di queste norme, gran parte di una collina è stata disboscata e spianata per creare la superficie su è collocata la stazione M.U.O.S.

Sorgente: http://www.nomuos.org

Se non capiamo la lotta di classe, non capiamo niente

di Ken Loach e Lorenzo Marsili – 21 agosto 2018

Il regista cinematografico britannico Ken Loach è una delle voci più celebrate del cinema del nostro tempo. Un artista profondamente impegnato e uno di un pugno di registi a essere insignito due volte della prestigiosa Palma d’Oro. Il lavoro di Loach affronta spesso temi sociali e politici. La sua opera ha attraversato la guerra civile spagnola (Terra e Libertà), lo sciopero degli addetti alle pulizie di Los Angeles (Pane e Rose), l’occupazione dell’Iraq (L’Altra Verità), la guerra d’indipendenza irlandese (Il vento che accarezza l’erba) e il lato coercitivo dello stato sociale (Io, Daniel Blake). Mentre la cosiddetta “rivolta populista” ha innescato un grande dibattito sul ruolo delle disuguaglianze economiche e dell’esclusione sociale, Ken Loach è stato uno dei più grandi narratori della coscienza della classe lavoratrice e delle sue trasformazioni sotto il neoliberismo.

In questa conversazione con il giornalista e attivista politico italiano Lorenzo Marsili, Loach guarda al ruolo dell’arte in momenti di trasformazione politica, all’evoluzione della classe lavoratrice, al significato oggi della lotta di classe e al fallimento della sinistra nell’ispirare un cambiamento radicale.
L’intervista è stata registrata durante le riprese di DEMOS, un documentario di prossima uscita nel quale Lorenzo Marsili percorre l’Europa indagando la solidarietà internazionale dieci anni dopo la crisi finanziaria.
Lorenzo Marsili: Il dibattito sul ruolo dell’arte nel cambiamento politico ha una lunga storia. Oggi stiamo chiaramente attraversando un momento di grande trasformazione geopolitica e di disorientamento globale. Qual è la sua visione del ruolo che la creatività può avere in un momento simile?
Ken Loach: In generale penso che nell’arte ci sia solo la responsabilità di dire la verità. Qualsiasi frase che cominci con “l’arte dovrebbe…” è sbagliata, perché si basa sull’immaginazione o la percezione di persone che scrivono o dipingono o descrivono o svolgono quelli che sono i diversi ruoli dell’arte. Dobbiamo affermare i principi fondamentali di modi attraverso i quali le persone possano vivere insieme. Il ruolo degli scrittori, degli intellettuali e degli artisti sta nel considerare questi come i principi chiave. Questa è la visione lunga della storia, della lotta, così anche se si deve fare una ritirata tattica è importante essere cosciente che resta una ritirata e i principi chiave sono quelli che dobbiamo tenere in mente. Questo è qualcosa che possono fare le persone che non sono coinvolte nelle tattiche giorno per giorno.
LM: Nel suo lavoro l’elemento umano non è meramente un’illustrazione della teoria, ma incarna realmente e diviene l’elemento politico. Sarebbe d’accordo che l’arte ha il potere di mostrare che, alla fin fine, ci sono esseri umani dietro i grandi processi economici e politici?
KL: Assolutamente. La politica vive nelle persone, le idee vivono nelle persone, vivono nelle lotte concrete che le persone conducono. Determina anche le scelte che abbiamo e le scelte che abbiamo, a loro volta, determinano il genere di persone che diventiamo. Il modo in cui le famiglie interagiscono non è un qualche concetto astratto di madre, figlio, padre, figlia: ha a che fare con le circostanze economiche, il lavoro che fanno, il tempo che possono passare insieme. L’economia e la politica sono collegate al contesto in cui le persone vivono le loro vite, ma i dettagli di quelli vite sono molto umani, spesso molto divertenti o molti tristi e in generale pieni di contraddizioni e complessità. Per gli scrittori con i quali ho collaborato e per me, il rapporto tra la commedia della vita quotidiana e il contesto economico in cui quella vita ha luogo è sempre stato molto significativo.
LM: Dunque c’è un rapporto dialettico tra il modo in cui l’economia trasforma il comportamento umano e il modo in cui il comportamento umano, specialmente attraverso l’azione collettiva, trasforma le relazioni economiche.
KL: Prenda una persona che lavora. La famiglia di lui o di lei funziona o cerca di funzionare, ma individualmente non hanno forza perché non hanno potere. Sono semplicemente una creatura di quella situazione. Ma io penso davvero che il senso di forza collettiva sia qualcosa di molto importante. E’ qui che cominciano le difficoltà. Non è facile raccontare una storia in cui la forza collettiva sia immediatamente evidente. D’altro canto è spesso rozzo e sciocco terminare ogni film con un pugno chiuso in aria e un appello militante all’azione. Questo è un dilemma costante: come si fa a raccontare la storia di una famiglia della classe lavoratrice, tragicamente distrutta dalle circostanze economiche e politiche, e non lasciare la gente nella disperazione?
LM: Una cosa che io trovo dare speranza persino in un film tetro come Io, Daniel Blake è che vediamo l’apparato coercitivo dello stato, ma vediamo anche la resilienza di una certa solidarietà umana: i poveri si aiutano tra loro e la gente si ferma ad applaudire quando Daniel Blake scrive un graffito feroce fuori dal centro per l’impiego. Suggerisce che non siamo stati interamente trasformati in homo economicus: che c’è ancora resistenza contro la mercificazione della vita.
KL: Sì, questo è qualcosa che i commentatori della classe media non colgono: i lavoratori … sono presi in giro anche se ridono. Nelle trincee la storia è più amara ed è lì che vediamo la resistenza, anche nei luoghi più bui. Ma in particolare abbiamo avuto questa crescita dei banchi alimentari dove è offerto cibo per beneficienza e si vedono i due volti pubblici della nostra società. In Io, Daniel Blake quando la donna consegna il pacchetto di cibo a una donna che non ha nulla, non dice “Ecco il tuo cibo caritatevole”, ma dice invece “Posso aiutarti con la spesa?” Da un lato c’è quella generosità e dall’altra c’è lo stato che si comporta nel modo più consapevolmente crudele, sapendo che sta spingendo la gente alla fame. La società capitalista è colta in questa situazione schizofrenica e sta a noi organizzare la solidarietà.
LM: Spesso sembra che quella tradizionale alienazione economica si sia trasformata in un’alienazione nei confronti dello stato. Pensa che questo sia al centro di fenomeni come l’ascesa del nazionalismo, della xenofobia, persino della Brexit? Oltre a rendere capri espiatori i migranti c’è forte anche questa sensazione che “non c’è nessuno che mi difenda”.
KL: Sì, penso in effetti che il clima che il populismo di destra indica è un fallimento della sinistra… in modo simile agli anni ’20 e ’30. I partiti di destra si presentano con una risposta semplicissima: il problema è il tuo vicino, il tuo vicino è di colore diverso, il tuo vicino cucina cibo che ha un odore diverso, il tuo vicino ti sta rubando il lavoro, il tuo vicino è dentro casa tua. Il pericolo è che questo è appoggiato dalla stampa di massa, tollerato e promosso da emittenti come la BBC che, ad esempio, ha dato a Nigel Farage e ai suoi compagni tutto il tempo in onda che volevano.
LM: Il centro del suo lavoro è sempre stato la solidarietà della classe lavoratrice. Lei ha vissuto la transizione dal capitalismo sociale postbellico all’arrivo del neoliberismo. Come ha visto trasformarsi la solidarietà di classe in questo periodo?
KL: La cosa maggiore è stata la riduzione del potere dei sindacati. Negli anni ’50 e ’60 erano divenuti forti perché le persone lavoravano in organizzazioni sociali come fabbriche, miniere o moli e a quel punto era più facile organizzare sindacati. Ma quelle vecchie industrie sono morte. Oggi la gente lavora in un modo molto più frammentato. Siamo più forti quando possiamo fermare la produzione, ma se non siamo organizzati sul punto di produzione, siamo decisamente più deboli. Il problema è che oggi la produzione è così frammentata e che con la globalizzazione la nostra classe lavoratrice oggi e nell’Estremo Oriente o in America Latina.
LM: I lavoratori in bicicletta a chiamata di Deliveroo o Foodora potrebbero neppur considerarsi dei lavoratori.
KL: Sì, o lavorano in franchising o sono cosiddetti “lavoratori autonomi”. E’ un grosso problema. E’ un problema di organizzazione per la classe lavoratrice.
LM: Pensa che il concetto di classe abbia ancora senso? Molti non si considererebbero della classe lavoratrice anche se sono poveri e a volte si sentono decisamente miserabili.
KL: Credo che la classe sia fondamentale. Cambia semplicemente forma col cambiare delle richieste di una manodopera diversa da parte del capitale. Ma si tratta ancora di forza lavoro. Ed è tuttora sfruttata e continua a fornire surplus di valore ancor più intensamente che in passato. Cosa più importante, se con capiamo la lotta di classe, non capiamo nulla.
LM: E’ una delle grandi sfide di oggi: riavviare la lotta in mezzo a una popolazione frammentata che non si concepisce come parte di un gruppo.
KL: E’ una sfida alla nostra comprensione. E’ stato molto buffo: recentemente parlavo con alcune persone molto carine in Giappone che stavano scrivendo un articolo e io insistevo sulla necessità di capire la classe e il conflitto. Una donna molto carina mi ha detto: “Mostreremo il suo film ai funzionari del governo giapponese” e io ho detto “Beh, perché?” e lei ha detto “Beh, per far loro cambiare idea” e io ho replicato “Ma questo è il punto che ho appena sostenuto! Non cambieranno idea, sono impegnati a difendere gli interessi della classe dominante e non vanno persuasi, vanno cacciati!”
E’ un punto molto difficile da superare quando l’idea di far funzionare il sistema è così profondamente radicata. Questa è una delle terribili eredità della socialdemocrazia che dobbiamo combattere.
LM: E’ una forma efficace di controllo sociale, quando i tuoi sottoposti ritengono di poter parlare con te e che tu terrai conto delle loro preoccupazioni.
KL: E’ per questo che dobbiamo resuscitare l’intera idea di rivendicazioni di transizione. Dobbiamo avanzare richieste che siano assolutamente ragionevoli sulla base degli interessi della classe lavoratrice.
LM: Vorrei arrivare alla conclusione, ma noto che lei una volta ha condotto una campagna a favore del Parlamento Europeo.
KL: Me l’ero dimenticato.
LM: E’ interessante per me come l’Europa non sia mai stata realmente oggetto di dibattito qui in Gran Bretagna. Improvvisamente, dopo la Brexit, tutti parlano dell’Unione Europea ed è diventato l’argomento più dibattuto dopo il calcio. Sente che ci sia ancora speranza di costruire una democrazia transnazionale o è semplicemente troppo tardi?
KL: Davvero non conosco la risposta. Ma penso realmente che la solidarietà internazionale sia chiaramente importante. Può essere organizzata all’interno dell’Europa? Non lo so. La struttura dell’Unione Europea è veramente molto complicata; è difficile vedere come introdurre il cambiamento senza ripartire da zero. Ovviamente ogni cambiamento deve essere avallato da ogni governo e sappiamo tutti quanto difficile sia la pratica di tale processo. Chiaramente abbiamo bisogno di un’Europa diversa, basata su principi diversi: sulla proprietà comune, la pianificazione, l’allineamento delle economie, la sostenibilità e in generale lavorando per l’uguaglianza.
Ma semplicemente non possiamo farlo mentre è data priorità alle grandi imprese, è data priorità al profitto e mentre il sistema legale dà priorità al profitto. Effettuare tale cambiamento va al di là della mia competenza. Yanis Varoufakis mi assicura che si può fare. Sono certo che ha ragione. Ho fiducia in lui, ma non so come.
Lorenzo Marsili è cofondatore di European Alternatives e uno degli iniziatori del movimento paneuropeo DiEM25. Il suo libro più recente è ‘Citizens of Nowhere’ (University of Chicago Press, 2018).                  
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/if-we-dont-understand-class-struggle-we-dont-understand-anything/
Originale: The Nation
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Preso da: http://znetitaly.altervista.org/art/25656

 

La macchina americana della guerra sta accelerando

20 agosto 2018
Di Vijay Prashad
18 agosto 2018

La settimana scorsa, il 26 luglio, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato la Legge di Autorizzazione della Difesa Nazionale del 2019, che passerà poi al Senato e alla fine al Presidente degli Stati Uniti. Vale la pena notare che 139 Democratici, compresa l’intera dirigenza del Partito Democratico, ha votato a favore di questa legge che fornisce al governo degli Stati Uniti 717 miliardi di dollari per le spese militari di un anno. Questo vuol dire 100 miliari in più di rispetto a quanto è stato speso l’anno scorso (questo è di per sé più della metà del bilancio militare della Cina). Nessun paese spende tanto denaro per le sue forze armate come gli Stati Uniti. Ci manca poco ora prima che il bilancio statunitense per le spese militari supererà il limite di 1 miliardo di dollari.
Di fatto, molti suggeriscono che se vengono aggiunte le parti nascoste del bilancio – per la CIA, per l’intelligence militare, per l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale e per le guerre in corso, la soglia di 1 miliardo di dollari, è stata già superata.

Jack Ma, il miliardario cinese ha dichiarato di recente al canale televisivo CNBC, che gli Stati Uniti hanno sprecato 14 trilioni di dollari negli scorsi 30 anni per le loro moltissime guerre. Una stima modesta indica che la guerra degli Stati Uniti all’Afghanistan, che va avanti dal 2001, è costata oltre 1 trilione di dollari. Dopo tutto questo tempo e tutto questo denaro speso, e dopo tutte le sofferenze umane, è ora sicuro che gli Stati Uniti, il governo di Imran Khan in Pakistan e i Cinesi cercheranno un compromesso con i Talebani. L’affermazione di Ma sullo “spreco” dovrebbe essere presa molto sul serio. Un politica estera che semina disordine e caos , che aumenta la sofferenza umana, è uno spreco – indipendentemente dai benefici che può produrre per i commercianti di armi.
Il potere ottenuto con la canna di un fucile
Questa settimana, il 30 luglio, il Comando Africano degli Stati Uniti (Africom) ha ammesso di aver fatto decollare dei droni armati dalla base americana di Niamey, la capitale del Niger. La portavoce di Africom, Samatha Reho, ha detto che il governo del Niger nel novembre del 2017 ha dato il permesso agli Stati Uniti di fare questo, e che essi hanno iniziato a fare decollare questi droni armati all’inizio del 2018. Non c’è stata alcuna ammissione che gli Stati Uniti abbiano colpito alcuni di questi droni.
Molto presto, questi droni letali verranno spostati dalla Base 101 di Niamey alla Base Aerea  201 di recente costruita ad Agadez. Questa base è una delle più grandi basi del mondo per i droni che possono viaggiare da un’estremità dell’Africa Occidentale per coprire la maggior parte del Nord Africa. Un’altra base americana per i droni, a Gibuti, è in grado di inviare le sue macchine letali in tutta l’Africa Orientale e nel mezzo dell’Africa Centrale. Insomma, con queste due basi, gli Stati Uniti sono in grado di colpire obiettivi nelle maggior parte del continente africano. Tutto questo, senza alcun dibattito al Congresso degli Stati Uniti e con poca preoccupazione per la sensibilità degli Africani.
Non si dovrebbe storcere il naso davanti al problema della sensibilità. Alla fine di marzo, il governo del Ghana ha firmato un accordo militare con gli Stati Uniti. Le forze armate del Ghana riceverebbero la misera somma di 20 milioni di dollari per addestrare le truppe, mentre gli Stati Uniti otterrebbero l’accesso agli aeroporti del Ghana e alle radiofrequenze del Ghana, e gli Stati Uniti sarebbero in grado di far entrare materiale militare fuori dogana. Ansiosi di installare una base militare in Ghana, gli Stati Uniti hanno calcolato male il residuo del sentimento anti-coloniale nel paese.  Questo sentimento è il motivo per cui il Commando Africano degli Stati Uniti ha la sua base a Stoccarda, in Germania, invece che in qualche paese africano. Nessun leader si può permettere di essere considerato come una persona che permette agli Stati Uniti di violare senza vergogna la sovranità di un paese africano.
E’ importante sottolineare il fatto che il quartier generale di nessun Commando statunitense è situato fuori dall’Europa Occidentale e dagli Stati Uniti. Il Commando meridionale che sovraintende alle operazioni militari statunitensi in America Latina, è stato di base a Panama dal 1963 al 1997. Ora è di base a Doral, in Florida, dopo essere stato mandato via dai governi seguiti all’espulsione della vecchia  risorsa della CIA, Manuel Noriega. Il quartiere generale del Commando Centrale che controlla e dirige le operazioni degli Stati Uniti in Medio Oriente, è situato a 200 miglia a nord di Tampa, in Florida. Il quartiere generale del Commando Statunitense Indo-Pacifico, che sovraintende alle operazioni in Asia, è situato alle Hawaii. La gente dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, non vuole che l’orma degli Stati Uniti venga mesa così pesantemente sul loro suolo. Una cosa è dover sopportare le basi e le relative esercitazioni, Un’altra è permettere tutto il peso dell’imperialismo statunitense sul proprio terreno.
Minacce di vari tipi
C’è un vecchio proverbio che dice: se hai un martello ogni cosa sembra un chiodo. La pura e semplice portata dell’arsenale militare statunitense dà  un senso di piacere ai loro leader politici. Sentono che possono minacciare il resto del pianeta per soddisfare le loro necessità. La pace non definisce la politica estera degli Statti Uniti. Tutto viene orientato verso l’intimidazione e la guerra. Ecco    delle recenti manovre a opera dell’amministrazione Trump che sono contrarie a una politica che persegua la pace.
Corea. Un grande sforzo di umanità ha spinto le due Coree a rinnovare il loro dialogo verso un futuro normale. Gli Stati Uniti hanno coerentemente tentato di rovinare questo processo in cui Trump è stato volgare circa l’empatia tra Kin Jong-un della Corea del Nord e Moon Jae-in, della Corea del Sud. Il Segretario di Stato Mike Pompeo è in marcia attraverso l’Asia Sudorientale, spingendo i paesi dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) a continuare a imporre sanzioni alla Corea del Nord, malgrado il consenso, all’interno dell’ASEAN, di alleggerire il peso sul Nord, come modo di aprire la strada verso la pace. Gli Stati Uniti hanno indicato che la Corea del Nord sta continuando con il suo programma di missili, proprio quando i capi militari della Corea del Nord si incontravano al confine il 31 luglio. Queste affermazioni maliziose da parte degli Stati Uniti non hanno scoraggiato i Coreani. Il Luogotenente Generale An Ik San della Corea del Nord, e Kim Do-gyun della Corea del Sud, hanno continuato con il loro dialogo. L’artiglieria verrà ritirata dalle spiagge del Mare Occidentale e le esercitazioni militari finiranno. “La gente del Nord e del Sud considerano importanti i nostri colloqui,” ha detto il Luogotenente Generale An. I leader militari si impegnano per la pace e non vogliono che la Corea sia il campo di battaglia per un’aggressione degli Stati Uniti.
Iran. Il 22 luglio Trump si è svegliato e ha scritto un tweet tutto in lettere maiuscole: NON MINACCIATE MAI, MAI GLI STATI UNITI DI NUOVO O SOFFRIRETE CONSEGUENZE DI UN GENERE CHE POCHI IN TUTTA LA STORIA HANNO MAI SOFFERTO PRIMA.” Minacce del genere sono di routine. La dirigenza iraniana le ha ignorate. Nella legge per le spese militari che è stata appena approvata dalla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, c’è una frase che richiede attenzione: “nulla in  questa legge può essere costruito?? Per autorizzare l’uso della forza contro l’Iran.” In un’altra parte della legge, però, c’è l’autorizzazione per l’amministrazione Trump di perseguire la guerra cibernetica contro l’Iran, la Corea del Nord, la Russia e la Cina. La legge dà carta bianca a Trump di intensificare le azioni contro questi quattro paesi.
Queste sono le drammatiche minacce. Nell’ombra indugiano  atrocità peggiori che sono diventate normali. La base statunitense di droni a Salak, nel nord del Camerun, ospita un battaglione di Intervento Rapido – un distaccamento camerunense – il quale è stato filmato mentre giustiziava dei civili. L’anno scorso, The Intercept * ha riferito che operatori statunitensi di vari tipi  avevano torturato dei prigionieri in questa base. Qui non esiste alcuna agenda per i diritti umani.
Minacce dell’immaginazione
Gli Stati Uniti dichiarano che serve loro un massicce dispiegamento di forze armate
e un dispiegamento in luoghi come il Niger, a causa delle minacce non soltanto agli Stati Uniti, ma al mondo. Nella cintura di paesi che costituiscono la regione  africana del Sahel, con il Niger al suo centro – c’è una rivendicazione fatta dall’Occidente circa le minacce di al-Qaida e di altri svariati gruppi. Molti di essi sono davvero una minaccia alla gente della regione, ma molti sono semplicemente formati da malviventi (al- Qaida fa, per lo più, traffico di sigarette e di armi in tutto il Deserto del Sahara). Le minacce reali che hanno coinvolto gli Stati Uniti e la Francia sono altrove. Vale la pena fare un elenco di queste (in base ai miei resoconti dell’anno scorso).
Cina. Gli Stati Uniti hanno chiarito che la presenza della Cina in Africa è inaccettabile. Incapaci di superare la Cina in un’offerta chiara per risorse e mercati, gli Stati Uniti sono ricorsi all’uso della forza e dell’intimidazione per minacciare i paesi per fornire vantaggi alle ditte occidentali meno flessibili. L’anello di basi che circonda il Sahel e giù verso il Sudafrica serve semplicemente a soffocare gli interessi della Cina sul continente.
Risorse. I paesi del Sahel hanno risorse importantissime :—oro nel Burkina Faso e in  Mali, Niger e ferro in Mauritania, così come  risorse verificate di carbone, cobalto, diamanti,  manganese, platino, minerali di terre rare, e moltissimi altri minerali. Le compagnie minerarie europee ed americane che hanno vecchie radici coloniali, sono ansiose di proteggere i loro investimenti qui e di proteggere i loro profitti futuri, dato che le leggi minerarie in questa regione si stanno lentamente annullando a favore  delle grandi aziende.
Droghe. E’ ora chiaro che i trafficanti sudamericani di droga, sfiniti dalle difficoltà create lungo il confine tra Stati Uniti e Messico e lungo la costa degli Stati Uniti, si rivolgono ora all’Africa come strada verso gli Stati Uniti. Grosse quantità di cocaina vengono spedite per via aerea nel Sahel, dove vengono trasportate, con notevole rischio, in Europa, attraverso il Sahara. Dall’Europa questa droga viene trasportata via mare attraverso l’Atlantico, negli Sati Uniti e in Canada. L’applicazione della legge contro la droga  è compito di una falange di soldati che sono ora nella regione.
Emigrazione. L’Europa è stata entusiasta di spostare il suo confine dal margine settentrionale del Mediterraneo al margine meridionale del deserto del Sahara. Le truppe francesi e i finanziamenti dell’Unione Europea, insieme alla presenza degli Stati Uniti sono un’operazione per bloccare il traffico di migranti che stanno fuggendo dalle economie distrutte dalle politiche guidate dal Fondo Monetario Internazionale.
C’è della bruttezza in questo. Logore motivazioni liberali si allontanano nell’ombra
mentre fioriscono motivazioni più forti: controllo e appropriazione. Questo è il nostro mondo, ma sotto questo mondo ci sono persone che hanno idee migliori, sogni migliori.
https://it.wikipedia.org/wiki/The_Intercept
Questo articolo è opera di Globetrotter, un progetto dell’Istituto dei Media  Independenti.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/american-war-machine-is-ramping-up
Originale: Alternet
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Preso da: http://znetitaly.altervista.org/art/25636

Quando la pubblicità inizia a demonizzare l’orto…

Come una cellula segreta di Facebook manipola l’opinione pubblica

Cos’hanno in comune AfD (Alternativa per la Germania), Rodrigo Duterte, Mauricio Macri, Narendra Modi, Barack Obama, Partito nazionale scozzese e Donald Trump? Tutti hanno basato la loro campagna elettorale sui buoni consigli di Mark Zuckerberg. Basandosi sul caso delle elezioni in India, Shelley Kasli rivela come Facebook manipola i processi democratici.

| Bangalore (India)
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Un recente articolo di Bloomberg ha rivelato come una cellula segreta di Facebook abbia permesso la creazione di un esercito di troll [1] a favore di molti governi nel mondo, compresa l’India, sotto forma di propaganda digitale finalizzata a manipolare le elezioni [2].

Sotto i riflettori, seguendo il ruolo che la sua compagnia Facebook ha svolto come piattaforma di propaganda politica, il suo co-fondatore Mark Zuckerberg ha risposto dichiarando che la sua missione è al di sopra delle divisioni partigiane.
Ma in realtà, Facebook non è solo uno spettatore politico. Quello che non dice è che la sua compagnia collabora attivamente con partiti e leader, anche chi usa la piattaforma per sedare l’opposizione, a volte con l’aiuto di molti troll che diffondono menzogne ed ideologie estremiste [3].

Questa iniziativa è guidata da Washington da un team molto discreto di Facebook, specializzato in questioni di politica globale, con a capo Katie Harbath, l’ex-stratega digitale del campo repubblicano che lavorò nel 2008 per la campagna presidenziale dell’ex-sindaco di New York Rudy Giuliani, nonché alle elezioni indiane del 2014.
Da quando Facebook ha assunto Harbath per guidare questa cellula segreta, sono passati tre anni, durante i quali la sua squadra ha viaggiato in tutti gli angoli del globo (inclusa l’India). Aiutò i leader politici mettendo a disposizione i potenti strumenti digitali della compagnia sotto forma di vero esercito di troll per scopi propagandistici.
In India e molti altri Paesi, i dipendenti di questa cellula si sono trovati di fatto agenti di campagne elettorali. E una volta eletto il candidato, tocca all’azienda sorvegliare i funzionari o fornire assistenza tecnica nella trasmissione digitale durante gli incontri ufficiali tra i capi di Stato.
Negli Stati Uniti, il personale di questa cellula ha lavorato sul campo durante la campagna di Donald Trump. In India, la compagnia ha promosso la presenza sulla rete del Primo Ministro Narendra Modi, che oggi ha più fan su Facebook di qualsiasi altro leader politico mondiale.
Durante gli incontri della campagna, i membri della squadra di Katie Harbath sono affiancati dai direttori delle vendite del settore pubblicitario di Facebook, il cui ruolo è aiutare l’azienda a trarre profitto dal particolare interesse dato alle elezioni dalle masse. Formano politici e leader per creare una pagina Facebook per la loro campagna che autenticano con una tacca blu, per utilizzare al meglio i video per ottenere attenzione, oltre che scegliere gli slogan pubblicitari. Una volta che questi candidati vengono eletti, la loro collaborazione con Facebook consente alla società di estendere significativamente l’influenza politica, con la possibilità di aggirare le leggi.
Il problema s’è esacerbato quando Facebook si pose a pilastro della democrazia in modo anti-democratico. La Freedom House, pseudo-ONG statunitense che si batte per la democrazia nel mondo [4], riferiva lo scorso novembre che sempre più Stati “manipolano i social network per indebolire le fondamenta della democrazia” [5]. Ciò si traduce in campagne diffamatorie, molestie o propaganda sostenute occultamente dai governi, per imporre la loro versione dei fatti, ridurre al silenzio il dissenso e rafforzare il potere.
Nel 2007, Facebook aprì il suo primo ufficio a Washington. Le elezioni presidenziali che si svolsero l’anno successivo videro l’avvento del primo “presidente di Facebook” nella persona di Barack Obama, che con l’aiuto della piattaforma poté raggiungere milioni di elettori nelle settimane prima le elezioni. Il numero di utenti di Facebook è esploso in concomitanza con le insurrezioni della “primavera araba” in Medio Oriente nel 2010-2011, evidenziando l’enorme influenza della piattaforma sulla democrazia.
Durante il periodo in cui Facebook scelse Katie Harbath, ex-sostenitrice di Giuliani, per guidare la sua unità politica, le elezioni divennero un tema scottante sui social media. Facebook gradualmente iniziò ad essere coinvolto nei problemi elettorali in tutto il mondo.
Facebook raggiunse alcuni dei partiti politici più controversi del mondo ignorando il principio di trasparenza. Dal 2011, la società chiede alla Commissione elettorale federale degli Stati Uniti una deroga alla legge che richiede trasparenza riguardo la promozione di un partito politico, che avrebbe potuto aiutarla ad evitare l’attuale crisi relativa alle spese pubblicitarie russe, prima delle elezioni del 2016.
Le relazioni tra l’azienda e i governi sono complicate. Facebook è stata accusata dall’Unione Europea di permettere all’islamismo radicale di prosperare sulla sua rete. La società ha appena pubblicato il suo rapporto sulla trasparenza spiegando che fornirà ai governi solo i dati sui propri utenti se la richiesta è legalmente giustificata; altrimenti non esiterà a ricorrere ai tribunali [6].

Eserciti di troll in India

Il mercato indiano è probabilmente il più vivace oggi per Facebook, superando quello degli Stati Uniti. Il numero di utenti aumenta due volte più velocemente; senza prendere in considerazione i 200 milioni di indiani che utilizzano il servizio di messaggistica WhatsApp, più che in qualsiasi altra parte del mondo.
Alle elezioni indiane del 2014, Facebook aveva già lavorato per diversi mesi su varie campagne. Modi trasse grande beneficio dal supporto di Facebook e WhatsApp nel reclutare volontari che, a loro volta, diffusero il messaggio sui social network. Dalla sua elezione, gli iscritti sono arrivati a 43 milioni; il doppio di quelli di Trump.
Nelle settimane successive all’elezione di Modi, Zuckerberg e la sua chief operating officer Sheryl Sandberg si trasferirono in India per sviluppare un progetto controverso per un servizio internet gratuito che, provocando feroci proteste, infine fu abbandonato. Katie Harbath e il suo team vennero pure in India per condurre sessioni di formazione con oltre 6000 funzionari pubblici.
Mentre Modi vedeva la propria influenza crescere nei social media, i suoi seguaci lanciarono su Facebook e WhatsApp una campagna di molestie contro i rivali politici. L’India diventava un focolaio di disinformazione, compresa la diffusione di una burla che portò a disordini che causarono la morte di diverse persone. Il Paese è diventato anche un luogo estremamente pericoloso per partiti e giornalisti dell’opposizione.
Tuttavia, non solo Modi o l’Indian People’s Party (BJP) furono indotti a utilizzare i servizi offerti da Facebook. La società afferma di fornire gli stessi strumenti e servizi a tutti i candidati, indipendentemente dal loro orientamento politico, nonché a gruppi più discreti della società civile.
Ciò che è interessante è che Mark Zukerberg stesso vuole diventare presidente degli Stati Uniti e ha già assegnato i servizi a David Plouffe (consigliere della campagna di Barack Obama nel 2008) e a Ken Mehlman (consigliere della campagna di George Bush Jr nel 2004). Attualmente lavora con Amy Dudley (ex-consigliere del senatore Tim Kaine), Ben LaBolt (ex-addetto stampa di Barack Obama) e Joel Benenson (ex-consigliere della campagna di Hillary Clinton nel 2016). [7]

La manipolazione delle emozioni da parte di Facebook

Uno studio pubblicato nel 2014 dal titolo: La dimostrazione sperimentale di un fenomeno di contagio emotivo su larga scala attraverso i social network [8] studia il rapporto tra i messaggi positivi e negativi visti da 689000 utenti di Facebook. Questo esperimento, che ebbe luogo tra l’11 e il 18 gennaio 2012, tentò d’identificare gli effetti del contagio emotivo modificando il peso emotivo delle informazioni diffuse agli utenti target. I ricercatori concludono che per la prima volta hanno “dimostrato che le emozioni possono diffondersi attraverso una rete di computer, (anche se) gli effetti di queste manipolazioni rimangono limitati”.
Questo studio fu criticato per le basi etiche e metodologiche. Nell’accesa polemica, Adam Kramer, uno dei principali istigatori di questa ricerca e membro del team dei dati di Facebook, difese lo studio in una dichiarazione della compagnia [9]. Qualche giorno dopo, Sheryl Sandberg, direttrice operativa di Facebook, fece una dichiarazione [10] durante il suo viaggio in India. Durante un evento organizzato dalla Camera di commercio di Nuova Delhi, dichiarò: “Questo studio è stato condotto nell’ambito delle ricerche effettuate dall’azienda per testare diversi prodotti, né più né meno. La comunicazione su questo argomento è stata pessima e ce ne scusiamo. Non volevamo annoiarvi”.
Quindi, per quale nuovo prodotto rivoluzionario Facebook ha condotto esperimenti psicologici per manipolare emotivamente i suoi utenti? Questi prodotti rivoluzionari sono eserciti di troll digitali che per scopi propagandistici diffondono informazioni false come una scia di polvere per aiutare i propri clienti durante le elezioni.
Poco dopo, il 3 luglio 2014, USA Today riportava che il gruppo EPIC, che promuove campagne per la privacy dei cittadini, presentava una denuncia ufficiale alla Federal Trade Commission affermando che Facebook ha infranto la legge conducendo la ricerca sulle emozioni dei suoi utenti senza il loro consenso, o neanche informarli [11]. Nella sua denuncia, EPIC afferma che Facebook ha ingannato i suoi utenti conducendo segretamente un esperimento psicologico sulle loro emozioni: “Al momento dell’esperimento, Facebook non dichiarò nella sua politica di utilizzo dei dati che le informazioni sugli utenti venivano utilizzate a scopi sperimentali. Facebook omise anche d’informare i suoi utenti che queste informazioni sarebbero state comunicate ai ricercatori”. La maggior parte delle cavie di questi esperimenti di manipolazione emotiva erano indiane [12].
Molti di noi non prestano veramente attenzione a ciò che viene pubblicato sui social network e la maggior parte di ciò che vediamo è piuttosto innocua. Almeno, questo è l’aspetto che ha a prima vista. La verità è che ciò che pubblichiamo in rete ha un impatto spaventoso. Secondo una recente ricerca condotta congiuntamente dal Pacific Northwest National Laboratory e dall’Università di Washington, i contenuti pubblicati sui social media potrebbero essere utilizzati dai software per predire manifestazioni future, forse anche il prossimo primo ministro indiano.
In un documento recentemente pubblicato da ArXiv, team di ricercatori, ha scoperto che i social network possono essere utilizzati per “identificare e prevedere eventi nel mondo reale” [13]. L’analisi di Twitter può prevedere con precisione i disordini sociali, ad esempio, quando persone usano determinati hashtag per discutere determinati problemi prima che la loro rabbia si diffonda nel mondo reale.
L’esempio più noto di questo fenomeno è avvenuto durante la primavera araba, quando evidenti segni di proteste ed insurrezioni imminenti furono avvistati in rete nei giorni precedenti le manifestazioni di piazza.
È vero anche il contrario, nel senso che la rabbia può anche essere generata dai social network e una volta raggiunto un livello ottimale può essere riversata su eventi della vita reale, come si può vedere da almeno due anni in India con casi di linciaggio di gruppo e altro.

Come funziona l’industria della disinformazione in India

In India è emersa un’enorme industria della disinformazione, che esercita un’influenza molto maggiore del tradizionale discorso politico e potenzialmente potrebbe diventare un problema di sicurezza similmente alla primavera araba se non viene padroneggiata. Nel momento in cui il linciaggio del dibattito infuria in India, è importante capire che tali incidenti non avrebbero avuto un impatto così veloce se i giovani non avessero avuto accesso a Facebook, Twitter, Youtube e altri social network. Ciò permette a tale industria della disinformazione di gestire e condividere video e informazioni falsi. Il fenomeno del linciaggio è apparso da alcuni anni come diretta conseguenza di questa industria della propaganda che si diffonde dai social network al mondo reale.
Ciò ha una dimensione completamente nuova ora che è stato rivelato che Facebook e WhatsApp hanno complottato con l’establishment creando “un esercito di troll” ai fini della propaganda digitale, scatenando le violenze in India. È un tipico caso di terrorismo. Quest’ultimo è definito come “l’uso sistematico del terrore o della violenza da parte di un individuo o di un gruppo per fini politici”. In questo caso, tale terrorismo è perpetrato da una compagnia straniera (Facebook) sul suolo indiano attraverso una guerra digitale di (dis)informazione. Cosa aspettiamo per reagire?
Una campagna di disinformazione fu condotta durante le elezioni presidenziali statunitensi. Era parte integrante della campagna ufficiale stessa in collaborazione con aziende leader. Questo stesso metodo fu utilizzato anche per guidare il dibattito sulla Brexit. Mentre parliamo, questa vasta impresa di disinformazione dipana i suoi tentacoli in India. Molti famosi atleti, celebrità, economisti, politici sono già stati vittime della diffusione di contenuti fuorvianti. Questa è una tendenza pericolosa che va attentamente monitorata dai nostri servizi d’intelligence per impedire futuri disastri.
Ecco come funziona. Molti siti e portali web legittimi e dai vari finanziamenti ricevono pubblicità fluttuanti. Il contenuto specifico è creato per diverse categorie di persone in base a loro regioni, ideologia, età, religione… mescolati con una grande quantità di contenuti erotici che offuscano il vero obiettivo. Tale contenuto fallace viene quindi iniettato nel social network e gruppi specifici vengono presi di mira attraverso strumenti analitici sviluppati da aziende leader. Man mano che questa falsa informazione si diffonde, acquisisce lentamente slancio e finisce per essere ripresa da una personalità: celebrità, politico e talvolta persino giornalista. Quello che succede dopo è pura pazzia.
Sia per scelta che per ignoranza, i media mainstream iniziano a diffondere questo tessuto di bugie, dedicando tutte le loro recensioni sulla stampa a tale falsa informazione: chi ha detto cosa e perché e bla bla bla… invece di cercare di verificare l’autenticità di quest’ultima. A causa della natura sensazionale di tali bufale, anche perché diffuse da personalità influenti, questa visione distorta del mondo si diffonderà nel mondo reale, testimoniata dalle vittime del linciaggio. Senza controllo, questo fenomeno di disinformazione potrebbe contaminare tutta l’opinione pubblica. Arriveremo in un momento in cui sarà quasi impossibile distinguere il vero dal falso, il fatto dalla finzione, con l’intera società radicalizzata in diverse fazioni sulla base di menzogne.

Facebook e le elezioni indiane

Al momento delle elezioni indiane del 2014, un articolo titolava: “Può Facebook influenzare l’esito delle elezioni indiane?”. Sotto questo titolo c’era un iceberg, se Facebook può cambiare le nostre emozioni e farci votare, di che altro è capace? [14]
Sorprendentemente, la stessa Commissione elettorale indiana stipulò una partnership con Facebook sulla registrazione degli elettori durante il processo elettorale. [15] Il dott. Nasim Zaidi, capo-commissario della Commissione elettorale (ECI), dichiarò: “Sono lieto di annunciare che la Commissione elettorale indiana avvierà una procedura speciale per arruolare i non votanti, in particolare chi non ho mai votato. Questo rappresenta un passo verso la realizzazione del motto dell’ECI, “Nessun cittadino va abbandonato”. Partita partecipando a questa campagna, Facebook trasmetterà un promemoria in diversi dialetti indiani per ricordare le elezioni a tutti gli utenti di Facebook dell’India. Invito tutti i cittadini elettori a registrarsi e a votare; vale a dire, a riconoscere i propri diritti e assumersi i propri doveri. Sono convinto che Facebook darà una nuova dimensione al censimento della campagna elettorale avviata dalla Commissione ed incoraggerà i futuri elettori a partecipare al processo elettorale e a diventare cittadini responsabili”.
Le 17 maggiori agenzie d’intelligence statunitensi hanno serie riserve sull’impatto di questo fenomeno di disinformazione sul processo elettorale e sulla società. Secondo un centro di ricerca di statistica, la maggioranza degli statunitensi (uno spettacolare 88%) pensa che la diffusione di notizie false sia dannosa per la percezione della realtà quotidiana [16]. E noi in India andiamo verso uno scenario ancora più catastrofico. Perché? Perché a differenza dell’India, il governo e la comunità dei servizi segreti degli Stati Uniti hanno denunciato pubblicamente il problema e lavorato a una soluzione alla minaccia. L’India può fare lo stesso con Facebook che ha il naso negli affari interni del Paese?
Organizziamo ogni sorta di commissioni, audizioni senatorie siano programmate per aggiornare questo caso e vengano create nuove cellule per contrastare efficacemente questa minaccia alla società. Mentre è in corso un’indagine sul ruolo di Facebook nelle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, poca attenzione è dedicata al modo in cui la cellula segreta di Facebook ha influenzato le elezioni indiane. Alla luce di queste rivelazioni, va condotta un’indagine rigorosa sull’impatto di Facebook sulle elezioni indiane. È ovvio che per fare ciò, il governo deve prima riconoscere l’esistenza di questa industria della disinformazione per agirvi contro.
In compagnia di Facebook, American Microchip Inc. e la giapponese Renesas incaricate di hackerare il codice segreto EVM (database degli utenti), dovrebbero essere indagate per interferenza nelle elezioni indiane con tutti coloro che vi hanno cospirato. Sarebbe un grave errore prendere questa minaccia, legata all’intrusione di compagnie straniere nel processo elettorale indiano, alla leggera [17].

Traduzione
Alessandro Lattanzio
(Sito Aurora)
[1] Nel gergo di Internet, un troll designa chi mira a generare polemiche. Può essere un messaggio (per esempio su un forum), un dibattito conflittuale nell’insieme o la persona all’origine.
[2] “How Facebook’s Political Unit Enables the Dark Art of Digital Propaganda”, Lauren Etter, Vernon Silver & Sarah Frier, Bloomberg, December 21, 2017.
[3] “India’s Fake News Industry & Mob Lynchings”, Great Game India News, July 6, 2017.
[4] « Freedom House : quand la liberté n’est qu’un slogan », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 7 septembre 2004.
[5] “Freedom on the Net 2017. Manipulating Social Media to Undermine Democracy”, Freedom House, November 14, 2017.
[6] “Facebook Transparency Report 2017”, Facebook, January 2017.
[7] “Mark Zuckerberg possibile futuro presidente degli Stati Uniti”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 4 agosto 2017.
[8] “Experimental evidence of massive-scale emotional contagion through social networks”, Adam D. I. Kramer, Jamie E. Guillory & Jeffrey T. Hancock, Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNSA), Vol 111, #24, July 17, 2014.
[9] “The Author of a Controversial Facebook Study Says He’s ‘Sorry’”, Stephanie Burnett, Time, June 30, 2014.
[10] “Facebook still won’t say ’sorry’ for mind games experiment”, David Goldman, CNN, July 2, 2014.
[11] “Privacy watchdog files complaint over Facebook study”, Jessica Guynn, USA Today, July 3, 2014.
[12] “Facebook apologises for psychological experiments on users”, Samuel Gibbs, The Guardian, July 2, 2014.
[13] “Using Social Media To Predict the Future: A Systematic Literature Review”, Lawrence Phillips, Chase Dowling, Kyle Shaffer, Nathan Hodas & Svitlana Volkova, ArXiv, June 19, 2017.
[14] “If Facebook can tweak our emotions and make us vote, what else can it do?”, Charles Arthur, The Guardian, June 30, 2014.
[15] “Election Commission of India partners with Facebook to launch first nationwide voter registration reminder”, Facebook, June 28, 2017.
[16] “Many Americans Believe Fake News Is Sowing Confusion”, Michael Barthel, Amy Mitchell & Jesse Holcomb, Pew Research Center, December 15, 2016.
[17] “Are Indian Elections Hacked By Foreign Companies?”, Shelley Kasli, Great Game India News, December 17, 2017.

Preso da: http://www.voltairenet.org/article199351.html

Previsione dei Rothschild: l’ordine mondiale sull’orlo del crollo

13/6/2018
Banque Privee Edmond de Rothschild

Il famigerato Lord Jacob Rothschild aveva indirizzato un messaggio agli investitori del suo fondo RIT Capital Partners, in cui aveva toccato non solo lo stato del sistema finanziario, ma anche i problemi dell’ordine mondiale.

Questa volta, ha attirato l’attenzione sulle minacce al sistema economico globale istituito dopo la seconda guerra mondiale — e quando una delle persone che hanno fatto innumerevoli ricchezze nel dopoguerra avverte del pericolo di un collasso, si dovrebbe almeno ascoltare.

Trump rompe il globalismo

Come i fattori chiave che provocano il collasso del sistema globale, il miliardario ha indicato la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, così come la crisi dell’eurozona. Un altro problema, secondo lui, è la mancanza di un “approccio comune”. Tutto questo, riassume Lord Rothschild, provoca una deviazione dalla globalizzazione e, per molti aspetti, il processo è collegato alla regola del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Il capo del fondo ha detto che è stato Trump a rendere “molto più difficile la collaborazione oggi”.
“Negli eventi dell’11 settembre e nella crisi finanziaria del 2008, il mondo ha collaborato e ha seguito un approccio comune. Oggi la cooperazione è diventata molto più difficile. Ciò pone in gioco l’ordine postbellico nella sfera dell’economia e della sicurezza  “, ha detto Rothschild.
In questa situazione, secondo il Lord dell’antica dinastia, la politica del fondo è di sostenere le azioni e le capitali esistenti e di “affrontare i nuovi obblighi con grande cura”.

In effetti, il numero di titoli azionari quotati del RIT (equity quotato) è registrato a un livello storicamente basso (47%). Il motivo è che la famosa famiglia di miliardari di origine ebraica è preoccupata del fatto che il ciclo ottimistico dei 10 anni e la crescita delle quotazioni nel mercato stanno volgendo al termine. A questo proposito, recentemente il FMI ha previsto anche un rallentamento della crescita economica.

Rischi della zona euro e dei mercati emergenti

Rothschild ha riconosciuto che negli ultimi dieci anni molte economie si sono notevolmente rafforzate e, dopo la crisi finanziaria del 2008, circa 120 paesi hanno dimostrato una crescita. Tuttavia, ritiene il miliardario, i rischi per l’economia globale rimangono elevati: le attuali valutazioni del mercato azionario sono sopravvalutate dagli standard storici, ma sono gonfiate da anni di bassi tassi di interesse e politica di  “quantitative easing”, che stanno giungendo al termine. Uno dei rischi potenziali è l’economia europea, in cui i livelli del debito hanno raggiunto “livelli potenzialmente devastanti”, ha detto il signore.

“I problemi che l’area dell’euro deve affrontare sono pericolosi — sia politici che economici — dati i livelli potenzialmente devastanti di debito in molti paesi”.

Secondo Rothschild, i rischi della guerra commerciale globale sono in aumento — dato che i cinesi stanno imparando dall’amara esperienza:

“La probabilità di una guerra commerciale è aumentata e con essa  le tensioni,  l’impatto è stato registrato per le azioni — per esempio, all’inizio di luglio, l’indice azionario di Shanghai è sceso di circa il 22% dal suo picco nel mese di gennaio.”

Rothschild ha anche ripetuto un avvertimento recente fatto dal capo della Banca centrale dell’India, dicendo che la riduzione della liquidità globale dollaro ha colpito anche i mercati emergenti.

“È probabile che i problemi continuino nei mercati emergenti, coperti dall’aumento dei tassi di interesse e dalla politica monetaria della Fed americana, che ha esaurito la liquidità del dollaro globale. Abbiamo già visto l’impatto sulle valute turche e argentine “, ha ricordato il miliardario.

Infine, Rothschild si è detto preoccupato per “problemi geopolitici, tra cui il Regno Unito fuori dell’Unione europea, la Corea del Nord e del Medio Oriente, mentre il populismo si estende a livello globale.”
Rothschild: verità e astuzia

Ricordiamo che il fondo di investimento Rothschild è aumentato negli anni ’90, e nel 1998 il rendimento raggiunto tassi di spazio di 2400%. Grazie al successo ottenuto dagli investimenti dei miliardari del  clan Rothschild, questi vengono molto ascoltati e gli investitori e i più importanti esponenti delle politica sono tra i suoi partner commerciali — in particolare Warren Buffett e Henry Kissinger. Rothschild da  lungo tempo indica la vulnerabilità dell’economia mondiale: nel 2016 scrisse che la Banca centrale è stato “l’esperimento più grande nella politica monetaria” nella storia del genere umano, e ha sottolineato che le conseguenze sono imprevedibili.
Negli ultimi quattro anni, la Fondazione Rothschild divenne in realtà il portavoce dei cambiamenti imminenti: prima del referendum Brexit, che avevano precedentemente liquidato le attività in sterline. Nell’appello del 2016, quando tutti erano fiduciosi della vittoria di Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali americane, Rothschild aveva avvertito che il processo elettorale sarebbe stato “straordinariamente stressante”.
Ora c’è la sensazione che il miliardario sia in qualche modo disonesto e intimidatorio per gli investitori. Vale la pena notare che la stessa RIT Capital Partners  investe attivamente in Asia (si tratta di beni cinesi, giapponesi, indiani). Inoltre, il fondo sta sviluppando la sfera delle tecnologie IT: a titolo illustrativo, sta investendo in servizi Dropbox e Alphabet-Google, oltre a biotecnologie, grandi infrastrutture (comunicazione ferroviaria negli Stati Uniti) e, naturalmente, energia.

Ma quello che è veramente interessante: Il Lord miliardario sta richiamando a preservare il capitale e non il rischio, così come lui stesso aveva accusato la Russia di aggressione  per aver espulso la banca Rothshild dal paese, in precedenza, aveva incorporato nelle azioni “Cassa di Risparmio” e “Novatek” (RIT Capital Partners investito in BlackRock Emerging Markets Fund). Ma in questo caso  Rothschild dimostra di  non essere astuto, così come lo è nel rottamare l’ordine mondiale attuale. Apparentemente, il fondo prevede di incassare benefici dal  naufragio dell’impero globalista e di passare pragmaticamente a mercati promettenti.
Rothschild stava parlando degli aspetti economici del crollo della globalizzazione, ma l’allarme suonava fra gli architetti politici del dispositivo  atlantista. Ricordiamo che questo riguarda l’ideologo dell’ordine mondiale  liberal, Bernard Henri Levy, che era fra i promotori alle origini del rovesciamento di Gheddafi, ed è responsabile per istruire gli islamisti dell’opposizione libica e ucraina di Maidan, e per incitamento alla guerra siriana e gli eventi in Iraq. Nel discorso di Amsterdam, ha dichiarato apertamente che il mondo sta cambiando, e l’egemonia americana tradizionale si sta erodendo.

E la critica di Trump alle dimissioni di Levy con l’indignazione di Rothschild: il presidente americano non esita nello smantellare l’infrastruttura del modello della precedente amministrazione nell’arena internazionale. Levy è indignato dal fatto che Trump semplicemente distrugga coerentemente quei progetti a cui il teorico liberale ha partecipato in passato. Cambiamenti negli ultimi anni non possono non eccitare gli ideologi globalisti del liberalismo e la crema della elite finanziaria mondiale: questi si riassumono nell’incipiente divisione in due del mondo occidentale, e nell’aumento delle posizioni forze di destra in Europa, e nello sviluppo di posizioni anti-americane e anti-sioniste in coalizione in Medio Oriente, e la fase economica (e non solo) che rappresenta un miracolo per la Cina. Il mondo sta cambiando e i globalisti stanno tentando freneticamente di adeguarsi alle nuove sfide.
Fonte: controinformazione.info
L’opinione dell’autore può non coincidere con la posizione della redazione.

Preso da: https://it.sputniknews.com/punti_di_vista/201808136360569-previzione-dei-rothschild-fine-del-ordine-mondiale/

La Quinta Colonna dell’Impero in Africa: il Marocco

La Quinta Colonna dell’Impero in Africa: il Marocco
di Aidan O’Brien
13 marzo 2017

Nel 1984 il Marocco ha voltato la spalle all’Africa perché l’Organizzazione dell’Unità Africana si è rifiutata di appoggiare la sua conquista del 1975 del  Sahara occidentale. Nei decenni successivi il Marocco ha seguito l’esempio  dell’apartheid di Israele e ha  guardato soltanto verso l’Europa e l’America. Per esempio,  il Marocco ha fatto richiesta (e non è riuscito) a entrare nella Comunità Economica Europea nel 1987. Oggi (fin dal 2008), invece, è considerato un vicino “avanzato”  dell’UE. In campo militare, nel 1994 è diventato un partner della NATO e nel 2004 un importante alleato degli Stati Uniti non-NATO.
In altre parole, il Marocco ha fatto qualsiasi cosa ha potuto per essere un uomo bianco onorario: ha violentato” spudoratamente parte dell’Africa e ha guardato dall’alto in basso l’uomo nero. E l’uomo bianco lo ha ricompensato facendovi investimenti.

Poche settimane fa (il 31 gennaio 2017), il Marocco si è improvvisamente ricongiunto all’Africa. Ad Adis Abeba l’Unione Africana ha deciso di accettare il Marocco come membro, anche se il Marocco Occidentale resta i mani marocchine. Perché l’improvviso cambiamento di politica in Marocco e nell’Unione Africana? In una parola: l’uccisione di Muammar Gheddafi.
L’attuale lotta per l’Africa è la ragione complessiva. Gheddafi, però, è stato l’ultima barriera panafricana all’imperialismo occidentale 2.0 in Africa. La sua deposizione ha aperto le chiuse  al potere occidentale in Africa nel 21° secolo. I francesi sono tornati in Mali. L’AFRICOM – Comando africano  (l’esercito americano) è dappertutto. E  ora il Marocco vuole essere di nuovo africano.
Il ritrovato interesse del Marocco in Africa  è complementare  all’attacco della NATO all’Africa. Il sito Al Arabia con base a Dubai, ha riportato la stessa idea, un mese prima dell’assassinio di Gheddafi: (Ottobre 2011).
“…Quando I libici hanno annunciato la loro vittoria, verso la fine di agosto 2011, il Marocco è stato uno dei primi paesi che ha mandato a Bengasi il suo ministro degli Esteri, Taeib Fassi Fihri, a esprimere il sostegno al nuovo regime.
“…In questo contesto, l’intervento della NATO in Libia e l’attivo ruolo della Francia e il crollo del regime di Gheddafi, potrebbero cambiare la situazione nella zona. Potrebbe fare in modo che la comunità internazionale faccia pressione per una rapida soluzione del conflitto per il Sahara Occidentale.
“Le carte saranno rimescolate e, nei termini delle richieste che i paesi del sud potrebbero fare al nord, il Marocco potrebbe includere il Sahara Occidentale,” ha detto Khadija Mohsen-Finan che è un ricercatore all’Università Paris VIII.
“Ora un nuovo partner (per il Marocco), è venuto fuori: la NATO,” ha aggiunto Finam, specialista di fatti nordafricani…”.
Oggi, sei anni dopo, si gioca con il mazzo di carte “rimescolate”. Avendo tranquillamente alle spalle l’appoggio della NATO, il Marocco si sta presentando disinvoltamente come un convertito che crede nell’unità africana, malgrado il fatto che continui la colonizzazione del Sahara Occidentale.
Inoltre, l’abilità dell’Unione Africana di resistere all’arroganza degenerata del Marocco – dopo l’uccisione di Gheddafi, è minima. Gheddafi ha dato la determinazione all’Unione Africana (AU). L’AU, tuttavia, è sotto l’assedio dell’Occidente. E senza Gheddafi non ha idea per una via di uscita.  Secondo quanto scrive TIME:
“…La visione di Gheddafi per l’Africa si è cristallizzata in una proposta di Stati Uniti dell’Africa, compresa una sola valuta, forze armate unite e un passaporto comune. Quell’invito all’unità africana è stato anche il tema del suo periodo di presidenza dell’Unione Africana nel 2009…”
La distruzione della Libia a opera della NATO ha completamente umiliato l’Unione Africana.  Ha strappato via il cuore a un futuro  africano alternativo, e ha lasciato l’Africa seriamente esposta, ancora una volta,  al virus imperialista dell’Occidente: un virus che ha il Marocco contemporaneo.
La prova della condizione contaminata del Marocco va trovata in Yemen. In questa terra fatta a pezzi dalla guerra, il Marocco è parte dell’invasione monarchica guidata dall’Arabia Saudita. Il fatto è che il Marocco non è soltanto partner della NATO, ma anche del GCC (Consiglio di Cooperazione del Golfo) che sta distruggendo lo Yemen. Naturalmente, la NATO e il GCC sono essi stessi partner strategici. E, preso in mezzo, come giocattolo di entrambi, c’è il Marocco.
Un’ulteriore prova dell’identità ipocrita del Marocco è  la parte che ha svolto nel famigerato “Safari Club”, negli anni ’70. Questo “club” segreto era un’organizzazione ispirata dalla CIA che mirava a “proteggere l’Africa dal comunismo. Quella volta i “partner” del Marocco comprendevano i soliti paesi sospetti: Arabia Saudita, Israele e Francia. Le cose non cambiano.
Il corpo del Marocco forse è in Africa, ma la sua testa è nel Nord Atlantico e nel Golfo Persico. Nella lotta per l’Africa, il Marocco è un’importante testa di ponte per gli investitori e gli invasori imperiali. Dal nuovo gigantesco porto di Tangeri, nuovo di zecca, al piano per oleodotti che collegheranno Marrakesh al Sahara, ai recenti accordi fatti con il Ruanda, il Marocco e i suoi “partners” sono pronti a saccheggiare.
Lo “stupro” del Sahara Occidentale è soltanto un assaggio.
Il Marocco di cui parliamo è costituito, però, soltanto da un uomo: il suo re miliardario, Mohammed VI (e prima di lui era suo padre Hassan II). In Marocco il potere ruota attorno a lui. E ruota attorno a Parigi e a Riyadh. In realtà, il popolo marocchino è altrettanto privo di voce quanto i popoli del Sahara Occidentale: i Sahrawi. La povertà è la loro prigione, mentre il re gioca.
I marocchini, possono, tuttavia, imparare dai Sahrawi (un popolo che Gheddafi ha aiutato). La loro opposizione al colonialismo è un modello di resistenza alla monarchia. In effetti – come dice Chomsky – sono state le proteste dei Sahrawi nell’ottobre e novembre 2010 che hanno dato inizio alla Primavera Araba).
Infatti, il grande popolo marocchino stesso ha già prodotto la risposta ai suoi carcerieri, Maometto VI e l’imperialismo occidentale. Quella risposta è Ben Barka. Questo marocchino (forse il più grande di tutti loro) è stato importante come Patrice Lumumba. Negli anni ’60, Barka era così vicino a Cuba che è stato lui a organizzare  a L’Avana la Conferenza tricontinentale dl 1966. Barka, però, fu assassinato prima di che vedesse materializzarsi la sua visione: la Solidarietà per il Terzo Mondo.
L’Impero e i suoi re possono uccidere e corrompere quanti africani vogliono, ma l’Africa e il Terzo Mondo vinceranno. Il tempo e la verità appartengono a loro. L’Impero e i suoi re possono mettersi una maschera africana, ma il loro   e le loro ossa si vedono chiaramente. Le loro bugie neoliberali sono state rivelate, per queste ragioni: non c’è alternativa alle visioni dei Sahrawi, di Gheddafi e di Ben Barka.
Aidan O’Brien è un operatore sanitario a Dublino, Irlanda.
Nella foto: una dimostrazione a favore del popolo Sahrawi svoltasi a Madrid nel novembre 2010.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.counterpunch.org/2017/03/13/the-empires-fifth-column-in-africa-morocco/
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Preso da: http://znetitaly.altervista.org/art/21936