“Prima di mostrarli al Pontefice, i video sono stati (da noi) verificati”. Peccato che i redattori de L’Avvenire, prima di presentare come “autentici” i video (e/o i fotogrammi di questi) a Papa Bergoglio non si siano degnati neanche di dare una occhiata a qualche sito italiano (ad esempio il blasonato Butac, che riprende una inchiesta del sito Snopes, corredata da un interessante video) che attesta come, ad esempio, la raccapricciante foto mostrata da L’Avvenire come (“Fermo immagine dal video dei lager libici”) e sbandierata anche da Repubblica (foto n. 3), non rappresenti affatto “migranti torturati nei lager della Libia” bensì tre presunti criminali catturati in Nigeria nel 2017 dalla folla prima di essere consegnati alla polizia. Del resto, non è questa l’unica immagine fake che dovrebbe documentare le torture a richiedenti asilo imprigionati in Libia. Ad esempio, quella, famosissima, dei segni delle frustate sulla schiena è stata creata da un intraprendente nigeriano, esperto in Makeup – tale Hakeem Onilogbo – che crediamo abbia fatto una fortuna vendendo foto raccapriccianti ai media occidentali. Media che si direbbero prendano per buona qualsiasi “documentazione dalla Libia”; come, ad esempio una fustigazione ripresa chissà dove e che viene presentata dalla RAI come “video girato con smartphone di profughi frustati e picchiati in lager libici” o addirittura il farlocchissimo video diffuso dalla CNN nel quale due tizi sorridenti (presunti “richiedenti asilo in Libia”) vengono venduti come “schiavi” da un tizio provvidenzialmente celato da un muro.
Ma tutto questo significa forse che i richiedenti asilo che si trovano in Libia non sono sottoposti a vessazioni, detenzioni arbitrarie, violenze? Assolutamente no. La loro condizione è drammatica, sopratutto quando chi viene incaricato di “provvedere ad essi” sono bande di criminali. Ad esempio, le sanguinarie “milizie di Misurata” alle quali, nel 2017 – verosimilmente per non turbare l’esito delle elezioni politiche dell’anno successivo – il ministro Minniti tentò di affidare (pare, in cambio di cinque milioni di dollari) il compito di non far sbarcare più richiedenti asilo in Italia. Oggi, le cose sono cambiate. In meglio, nonostante impazzi una campagna mediatica senza precedenti che accusa la Guardia costiera libica di riportare i migranti in “campi di tortura”. E chiunque si permette di mettere in dubbio questa vulgata finisce, ovviamente, per essere etichettato come “razzista” o, addirittura, “al soldo di Salvini”.
Intanto, una precisazione. Con la distruzione dello stato libico (nel quale, fino al 2011 lavoravano ben 1.800.000 migranti) moltissimi dipendenti pubblici, per sopravvivere, sono stati costretti a vendersi a qualche fazione o banda sponsorizzata dai padroni di turno. È stato questo anche il destino della Guardia costiera libica che, fino al 2017, si identificava con la cosiddetta Al-Bija, (dal nome del suo comandante). Nell’estate 2017 – con l’accordo tra Gentiloni e il “nostro” presidente libico Fayez al-Serraj – le cose cambiano. Viene estromessa la banda di Al-Bija e istituita una zona SAR (ricerca e salvataggio) di competenza della rinata Guardia costiera libica la quale, addestrata da personale della nostra Guardia costiera, riceve dall’Italia e dall’Unione Europea natanti e strumenti per potere operare. A questa situazione si accompagna un netto miglioramento dei centri dove venivano e vengono trattenuti i richiedenti asilo riportati in Libia dalla Guardia costiera. Centri che attualmente sono gestiti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e , nonostante un patetico appello, con l’ausilio di ONG italiane vincitrici di una gara di appalto bandita dal Ministero dell’Interno. Nonostante l’indubbio miglioramento della situazione garantito da questi accordi, alla fine del 2017 parte una colossale campagna di demonizzazione della Guardia costiera libica basata su un dossier della sorosiana Open Migration che – sia detto en passant – mai aveva speso una parola contro la Milizia di Zawiya (forse perchè, come attestato da numerose inchieste, era quella che “riforniva” di richiedenti asilo le navi delle ONG dirette in Italia). Campagna che ora tocca l’apice (speriamo) con la presentazione delle fotografie al Papa.
Si rallegra, a tal riguardo L’Avvenire: “Prima di rimandarli indietro ci si deve pensare bene” ha affermato il Papa, proprio mentre in Italia la polemica sull’accoglienza ai migranti si fa sempre di più nodo dolente della politica. E se i racconti di chi sopravvive a tanta brutalità non bastano più, a parlare per loro ora ci sono le immagini. Bisogna avere stomaco per guardarle fino in fondo: il Papa, sempre vicino ai sofferenti, non ha esistato. Ha visto le prove: e sa di cosa parla.”
Ma, al di là delle macchinazioni de L’Avvenire – lo ripetiamo ancora una volta – la situazione dei richiedenti asilo in Libia (sia quelli riportati a terra dalla Guardia costiera sia quelli lì arrivati sperando di poter raggiungere l’Europa) resta drammatica; anche perché la Libia è costellata da “prigioni private” dove i trafficanti rinchiudono migranti per poi, tramite video-smartphone chiedere soldi ai loro parenti. Una situazione determinata, principalmente dalla dissoluzione di uno Stato e, quindi, dalla guerra del 2011 (salutata come “umanitaria” da tanti allocchi della “sinistra antagonista” italiana).
Che fare per lenire questa situazione? “Aprire i porti italiani”, come viene incessantemente chiesto (certamente in buona fede) da tanti della “sinistra antagonista”? Di certo, garantire a chiunque mette piede in Libia di essere accolto in Italia e, quindi, in Europa farebbe crescere esponenzialmente l’afflusso di disperati in Libia con le conseguenze che è facile immaginare. E allora cosa concretamente fare? Ci auguriamo che la questione diventi, finalmente, argomento di dibattito e discussione per i tanti che oggi si limitano a salmodiare accuse di “razzismo”.
P.S. Dopo che il giornale Avvenire, aveva annunciato sul suo sito la disponibilità a far visionare – da giornalisti o blogger – i video di torture, ho contattato la redazione del giornale che mi ha dato il recapito telefonico di Nello Scavo, autore dell’articolo di cui sopra, il quale mi ha specificato che i video di torture NON SONO STATI RIPRESI all’interno di centri di detenzione gestiti dalla Guardia costiera o da altre strutture governative libiche.
Una vera e propria opera di speculazione e sciacallaggio portata avanti dal circuito informativo mainstream italico, proprio in una fase dove il governo Maduro è impegnato nell’implementazione di importanti misure in campo economico
di Fabrizio Verde
Il Venezuela è stato colpito da un forte terremoto, di intensità 7.7 della scala Richter, avvertito in diverse zone del paese e finanche nel nord della Colombia. L’evento naturale ha dato la stura a tutta una serie di fake news volte a colpire il governo bolivariano. Una vera e propria opera di speculazione e sciacallaggio portata avanti dal circuito informativo mainstream italico, proprio in una fase dove il governo Maduro è impegnato nell’implementazione di importanti misure in campo economico volte a superare l’assedio finanziario, aggirare le sanzioni statunitensi, portare il paese al completo recupero della propria economia. Insomma, vincere la guerra economica.
Quello che una volta veniva ritenuto il maggiore notiziario televisivo italiano dopo aver dedicato qualche secondo al terremoto, passa subito ad occuparsi del versante economico. Le nuove misure messe in campo dal governo bolivariano vengono presentate come sostanzialmente inutili per far fronte alla crisi economica che affligge il paese sudamericano. Ovviamente neanche un minimo accenno al fatto che l’inflazione venga utilizzata come arma principale della guerra economica condotta contro Caracas senza esclusione dei colpi.
Inoltre, viene riferito dello sciopero generale convocato da alcuni settori dell’opposizione. Miseramente fallito. Nessuna immagine viene mostrata. Forse perché avrebbero dovuto mostrare una Caracas impegnata nelle normali attività quotidiane. Come mostra in questo video, tramite Twitter, il giornalista Oswaldo Rivero.
Invece i media di tendenza liberale e liberista, da Il Post a il Sole 24 Ore, puntano su alcune foto dove si possono vedere beni di prima necessità e il corrispettivo in banconote necessario per acquistarli. Immagini di forte impatto. Che hanno il pregio, ad avviso di chi scrive, di mostrare l’ampiezza della guerra scatenata contro il governo bolivariano.
L’intento malcelato è quello di mostrare una presunta inadeguatezza delle politiche di stampo socialista adottate da Caracas che avrebbero fatto piombare il paese in una situazione disperata a livello economico. Nulla di più falso e lontano dalla realtà. Curioso notare come questi censori del sistema socialista venezuelano, per oltre vent’anni, non si siano accorti degli enormi guasti causati dal neoliberismo in Italia e nell’Europa intera.
Sul tema inflazione, invece, la questione è stata ben chiarita dall’economista Alfredo Serrano Mancilla, in questo articolo (Manuale di stupidaggini sull’inflazione in Venezuela), tradotto in italiano da l’AntiDiplomatico.
Ancora una volta, il circuito informativo mainstream, ha mostrato tutta la propria malafede nei confronti di un governo e di un popolo che resistono agli assalti dell’impero. A costo di sacrifici immensi.
Chi sia stato John McCain, è stato detto in maniera concisa e puntuale da più parti; le parole con cui i socialdemocristiani nostrani lo hanno accompagnato nel suo ultimo viaggio sono state riportate quel tanto che basta per definire l’uno e gli altri.
Forse non guasta sapere con chi si siano trovati in compagnia gli italici ostensori di cotanto eroe. Senza scomodare le lagrime sparse dai pupilli ucraini del defunto senatore yankee, a partire dal neonazista speaker della Rada Andrej Parubij, alle latitudini in cui maggiormente si sono apprezzati gli sforzi di tale “eroe” (per la cronaca, i vietnamiti, pur ricordandone la figura, hanno sempre smentito le sue dichiarazioni secondo cui sarebbe stato torturato durante la prigionia) “in difesa del mondo libero dall’aggressione russa”.
In Lituania, paese a cui McCain ha ripetutamente assicurato l’aiuto militare USA “fino all’ultimo soldato o fino alla piena vittoria sulla Russia”, il presidente del partito cristiano-democratico “Unione della Patria”, Gabrielius Landsbergis ha addirittura proposto al sindaco di Vilnius di intitolare a McCain un luogo pubblico della capitale
Anche più a sud è stata avanzata una proposta del genere: il vice presidente del Medžlis dei tatari di Crimea, Akhtem Ciigoz, ha chiesto che una piazza del centro di Kiev venga intitolata al senatore yankee, uno dei principali ispiratori, ha detto (non dimentichiamo di aggiungere: insieme all’italico Gianni Pittella) di majdan Nezlažnosti e “coscienza” degli ucraini e dei tatari di Crimea. Ciigoz ha detto che i tatari di Crimea – la cui organizzazione, il Medžlis, è direttamente agli ordini di Kiev e sostenuta dai Lupi Grigi turchi – “trovandosi sotto occupazione”, hanno sempre riposto le proprie “speranze in tali politici”, quali McCain. Lui e le persone come lui hanno sempre lottato per difendere “interessi dell’Ucraina. Spero che dopo la morte di McCain, queste forze si consolidino ancora di più”, ha detto Ciigoz rivolgendosi indirettamente a George Soros.
Davvero una pregevole compagnia, quella in cui sono andati a trovarsi i liberalfascisti nostrani: tra terroristi musulmani ed eroicizzatori di quell’epoca in cui per la strade di Vilnius e di Kiev marciavano a braccetto SS tedesche e loro komplizen lituani e ucraini.
Il M.U.O.S. (Mobile User Objective System) è un moderno sistema di telecomunicazioni satellitare della marina militare statunitense. Il sistema di terra si compone di quattro stazioni, collocate in Virginia (USA), Hawaii, Australia e Niscemi. Ciascuna stazione M.U.O.S. si compone di tre grandi parabole del diametro di 18,4 metri, che trasmetteranno in banda Ka (microonde) e due antenne elicoidali, alte 149 metri, in banda UHF. Il sistema di terra si completa con cinque satelliti geostazionari.
La stazione M.U.O.S. italiana è istallata nella base militare americana NRTF-8 (Naval Radio Trasmitter Facility) di Niscemi. Qui sono operative dal 1991 41 antenne in banda HF e una in banda LF, alta circa 140 m e con una potenza di emissione nell’ordine dei 500-2000 KW, il cui scopo è la trasmissione con i sommergibili militari. Da studi basati sui pochi dati raccolti dall’ARPA Sicilia, è scientificamente fondato il timore che l’istallazione attuale superi già i limiti di legge imposti sulle emissioni elettromagnetiche.
Lo scopo di tale complessa infrastruttura è, ovviamente, il controllo e il coordinamento capillare di tutti i sistemi militari statunitensi dislocati nel globo. Il sistema permetterà la comunicazione tra i cosidetti utenti mobili, tra cui i droni, aerei senza pilota che sono allocati anche a Sigonella.
Per ciò che sappiamo, tre delle quattro stazioni di terra sono state completate. Quella di Niscemi è ultimata e in fase di controllo. Dei cinque satelliti, solo il primo è stato lanciato il 24 febbraio 2012 e finito di testare il 24 luglio 2012. Si prevede che l’ultimo satellite sarà in orbita entro il 2015. Allora il sistema sarà pienamente funzionante. Differentemente da quanto affermato da diverse fonti, anche istituzionali, il sistema M.U.O.S. non sostituirà il sistema già esistente nella stazione NRTF-8 (le 46 antenne). Verosimilmente, il vecchio sistema affiancherà il M.U.O.S. per parecchi anni.
La base NRTF-8 si trova all’interno della Riserva Naturale della Sughereta di Niscemi, uno dei pochi parchi naturali con alberi da sughero ormai rimasti in Italia, tutelata da leggi rigorose che vietano qualsiasi intervento umano. La riserva, istituita nel 1997, è stato inserita nella Rete Natura 2000 come Sito di Interesse Comunitario (SIC). Nel 2008 il Piano territoriale della Provincia di Caltanissetta stabilisce che presso la Sughereta di Niscemi non è concesso realizzare nuove costruzioni e infrastrutture, compresa l’installazione di antenne e tralicci. In evidente violazione di queste norme, gran parte di una collina è stata disboscata e spianata per creare la superficie su è collocata la stazione M.U.O.S.
L’ultima trovata della pubblicità dei piatti pronti mostra due ragazzi sporchi di fango, esausti, tristi e affamati perché hanno tentato di coltivare i propri spinaci anziché acquistare il piatto pronto e “comodo” che si trova al supermercato. Siamo arrivati anche a questo! Eppure l’orto è molto più pulito ed economico del meccanismo auto-supermercato-cibo confezionato!
“Dimentica pure stivaloni e fango! A raccogliere gli spinaci freschi per preparare gli spinaci filanti ci pensa ………… (un noto marchio di piatti pronti, nda)!”. Recita così la pubblicità che gira sui social e che mostra un ragazzo e una ragazza vestiti come se fossero sopravvissuti a un’esplosione nucleare, con la terra addosso come fossero stati immersi nel fango fin sopra i capelli per un mese e con le facce provate e stanche come avessero lavorato in miniera per un anno intero; in più, hanno un’espressione triste e contrita di fronte al tavolo desolatamente vuoto. Ma, niente paura!, proprio accanto a loro si materializza un piatto caldo di spinaci filanti. E il sorriso è ritrovato, l’espressione rilassata, la felicità assicurata.
“Potresti farli anche tu, si legge in un altro spezzone, ma perché avventurarti in campagna”? Già… non ci avevo mai pensato. Perché?
Avete voglia di un piatto di tagliatelle ai funghi? Avete per caso mai pensato di raccoglierne nel bosco? Dopo 15 giorni di piogge torrenziali? E i funghi velenosi? E gli orchi che si nascondono dietro agli alberi? E i serpenti? E gli scorpioni cattivi? Ma perché soccombere a questa orrenda sorte di una vita grama e durissima? Perché sottoporsi a tali torture quando esistono i piatti pronti, solo da acquistare al suprmercato e scaldare? Già… E’ vero… Perché? A chi sono rivolte queste pubblicità? A chi vive in città e non ha mai avuto un orto nei suoi pensieri? A chi è contento e grato a chi offre il servizio di piatti già pronti, lavati, cucinati e impiattati? Così, una serie di vignette, giusto per attirare l’attenzione e strappare un sorriso? Francamente, non credo.
Dello stesso tenore, gli spot si susseguono. E le domande cambiano: “Vuoi goderti le tue ricette preferite senza perdere tempo a cercare gli ingredienti e a cucinarli? Pensa solo a goderti la cena. Perché dovresti preoccuparti di raccogliere gli spinaci? Perché dovresti preoccuparti di stendere la pasta fresca?” D’altra parte sanno tutti che enorme strapazzo sia andare a cercare la farina e le uova, occuparsi del proprio cibo e prepararlo, metter su una pentola d’acqua e aspettare che bolla.
Potresti farlo anche tu. Ma perché affannarti? Risparmiati la fatica! Questi spot sembrano confezionati e diretti a un pubblico preciso: forse quelli che ancora si ostinano a cucinare, ad avere il piacere di cercare gli ingredienti più sani per sé e la propria famiglia, a non farsi sopraffare dalla mancanza di tempo e dai ritmi sempre meno sostenibili che ci costringono a delegare persino le attività più importanti come la preparazione del nostro cibo. Oppure il pubblico è un altro: quello che sta tornando alla terra e che sceglie di avere un orto, che pensa di essere responsabile in prima persona delle scelte che fa a cominciare da quello che mette nel piatto e per finire ad ogni cosa che acquista. Sempre più consapevolmente.
Cercherò di rispondere a tutte le domande che le industria dei piatti pronti si pongono e ci pongono. L’orto, gentili signori, al contrario di quello che sembrano suggerire i vostri spot, è un posto pulitissimo, accogliente, silenzioso e fresco. Il fatto che la terra sia sporca è solo il punto di vista della tv. O forse si considera più pulita la città rispetto alla campagna. Questo, però, non è affatto vero se consideriamo che in città come Roma i livelli di inquinamento ambientale, acustico e luminoso, la spazzatura dovunque e la plastica che ormai ci sta sommergendo a ogni angolo di strada, non ne fanno sicuramente un posto bello e sano in cui vivere. D’altra parte, posso assicurare, sono andata più volte nel mio orto a piedi nudi, mi ci sono seduta per terra un numero infinito di volte, ho respirato a pieni polmoni la sua aria, toccato e messo in bocca ogni cosa commestibile. Tutte cose che non consiglierei a nessuno di fare in città.
Inoltre, riguardo allo strapazzo, l’affanno, la fatica, rispondo che nessuno che abbia coltivato i suoi spinaci potrebbe mai avere l’espressione triste e desolata che hanno i ragazzi nello spot nelraccoglierli. Si tratta, infatti, di felicità allo stato puro, di grandissima soddisfazione, di piacere nel farsi avvolgere dalla terra e dall’acqua.
La terra e i suoi frutti, quando sono coltivati da noi, sono una terapia straordinaria per mille malattie fisiche e psicologiche. Provate a mescoalare lacrime, dolori, pensieri e preoccupazioni insieme ai semi che coprite di terra fresca e vedrete che ne nasceranno frutti e fiori. Provate a fare la stessa cosa nel cemento delle città indifferenti. Niente pulisce, rigenera e trasforma come la terra e l’acqua. Il cibo che si semina e si coltiva ci rende sensibili, attenti, immensamente grati e… più intelligenti. Il cibo che si raccoglie e che si mette nel piatto ci costa infinitamente meno, ci rende più ricchi e più sani. Davvero coltivare gli spinaci o i fagiolini è più faticoso che mettersi in macchina, cercare parcheggio, entrare al supermercato, aggirarsi come uno zombie tra scaffali strapieni di cose inutili, perdere tempo a cercare la confezione di piatti pronti, mettersi a fare la fila per pagare, caricare e scaricare? Davvero è più pulito usare il carburante per andarci e tornare a casa, occuparsi di smaltire la plastica nella quale sono confezionati? O è più pulito, forse, il viaggio su strada che hanno fatto centinaia di migliaia di quei prodotti solo per arrivare nei punti vendita?
Si sa, se si raccolgono i funghi e ci si avventura nei boschi, i pericoli possono essere tanti. Soprattutto dopo “le piogge torrenziali” di cui parla lo spot o la quantità di funghi velenosi che si corre il rischio di raccogliere.Ma davvero è più pericoloso che attraversare una strada in città nell’ora di punta o mettersi in macchina per andare al lavoro? I morti e i feriti per incidenti stradali ogni anno sono migliaia. Molti meno quelli che muoiono sommersi dal fango del proprio orto in un giorno di pioggia.
Si dirà che si tratta di spot divertenti, come ho letto nei commenti di alcuni consumatori o che i prodotti pubblicizzati sono proprio buoni, freschi, saporiti, fatti con ottime materie prime (cosa che non metto in dubbio perché non conosco personalmente il prodotto). Costano tanto, sì, ma in fondo, vuoi mettere la comodità?
Perché un’azienda di prodotti pronti sente la necessità di fare spot simili? L’impressione che se ne ricava è di profonda tristezza perché si tratta di un tentativo, efficace quanto subdolo, di rendere inopportuno, stupido, sconveniente e perfino ridicolo coltivare il proprio cibo, restare a contatto con la terra che rimane l’unica capace di nutrirci sostituendola con un’azienda che si occupa di noi: ci nutre, ci coccola, ci solleva dalle fatiche, ci consola con la bontà di un cibo già fatto, pronto, raccolto, condito, cotto, servito. E’ un altro tentativo di allontanarci da noi stessi, di renderci belli, puliti, rilassati e ignari.
L’enorme fatica che ci prende è, dunque, prepararci da mangiare e non è, invece, andare al lavoro e tornare troppo tardi per farlo, non è dedicare troppo tempo a lavorare, adeguarci a orari impossibili, spostarci in città che diventano giungle vere e proprie, rincasare troppo esausti anche per dormire. Il problema è dedicare del tempo alle cose davvero importanti come pensare a quello di cui ci nutriamo. Se la pubblicità inizia a interessarsi di chi fa un orto, di chi vuole scegliere, pensare, decidere e fare da sé, di chi non vuole ancora cedere (o ha smesso di farlo) al richiamo commerciale sempre più invadente e pressante della tv e dei social, significa forse che la strada è giusta e che si è in molti. Molti in grado di generare una certa preoccupazione e non più un’esigua minoranza quasi invisibile e praticamente innocua.
Cos’hanno in comune AfD (Alternativa per la Germania), Rodrigo Duterte, Mauricio Macri, Narendra Modi, Barack Obama, Partito nazionale scozzese e Donald Trump? Tutti hanno basato la loro campagna elettorale sui buoni consigli di Mark Zuckerberg. Basandosi sul caso delle elezioni in India, Shelley Kasli rivela come Facebook manipola i processi democratici.
Un recente articolo di Bloomberg ha rivelato come una cellula segreta di Facebook abbia permesso la creazione di un esercito di troll [1] a favore di molti governi nel mondo, compresa l’India, sotto forma di propaganda digitale finalizzata a manipolare le elezioni [2].
Sotto i riflettori, seguendo il ruolo che la sua compagnia Facebook ha svolto come piattaforma di propaganda politica, il suo co-fondatore Mark Zuckerberg ha risposto dichiarando che la sua missione è al di sopra delle divisioni partigiane.
Ma in realtà, Facebook non è solo uno spettatore politico. Quello che non dice è che la sua compagnia collabora attivamente con partiti e leader, anche chi usa la piattaforma per sedare l’opposizione, a volte con l’aiuto di molti troll che diffondono menzogne ed ideologie estremiste [3].
Questa iniziativa è guidata da Washington da un team molto discreto di Facebook, specializzato in questioni di politica globale, con a capo Katie Harbath, l’ex-stratega digitale del campo repubblicano che lavorò nel 2008 per la campagna presidenziale dell’ex-sindaco di New York Rudy Giuliani, nonché alle elezioni indiane del 2014.
Da quando Facebook ha assunto Harbath per guidare questa cellula segreta, sono passati tre anni, durante i quali la sua squadra ha viaggiato in tutti gli angoli del globo (inclusa l’India). Aiutò i leader politici mettendo a disposizione i potenti strumenti digitali della compagnia sotto forma di vero esercito di troll per scopi propagandistici.
In India e molti altri Paesi, i dipendenti di questa cellula si sono trovati di fatto agenti di campagne elettorali. E una volta eletto il candidato, tocca all’azienda sorvegliare i funzionari o fornire assistenza tecnica nella trasmissione digitale durante gli incontri ufficiali tra i capi di Stato.
Negli Stati Uniti, il personale di questa cellula ha lavorato sul campo durante la campagna di Donald Trump. In India, la compagnia ha promosso la presenza sulla rete del Primo Ministro Narendra Modi, che oggi ha più fan su Facebook di qualsiasi altro leader politico mondiale.
Durante gli incontri della campagna, i membri della squadra di Katie Harbath sono affiancati dai direttori delle vendite del settore pubblicitario di Facebook, il cui ruolo è aiutare l’azienda a trarre profitto dal particolare interesse dato alle elezioni dalle masse. Formano politici e leader per creare una pagina Facebook per la loro campagna che autenticano con una tacca blu, per utilizzare al meglio i video per ottenere attenzione, oltre che scegliere gli slogan pubblicitari. Una volta che questi candidati vengono eletti, la loro collaborazione con Facebook consente alla società di estendere significativamente l’influenza politica, con la possibilità di aggirare le leggi.
Il problema s’è esacerbato quando Facebook si pose a pilastro della democrazia in modo anti-democratico. La Freedom House, pseudo-ONG statunitense che si batte per la democrazia nel mondo [4], riferiva lo scorso novembre che sempre più Stati “manipolano i social network per indebolire le fondamenta della democrazia” [5]. Ciò si traduce in campagne diffamatorie, molestie o propaganda sostenute occultamente dai governi, per imporre la loro versione dei fatti, ridurre al silenzio il dissenso e rafforzare il potere.
Nel 2007, Facebook aprì il suo primo ufficio a Washington. Le elezioni presidenziali che si svolsero l’anno successivo videro l’avvento del primo “presidente di Facebook” nella persona di Barack Obama, che con l’aiuto della piattaforma poté raggiungere milioni di elettori nelle settimane prima le elezioni. Il numero di utenti di Facebook è esploso in concomitanza con le insurrezioni della “primavera araba” in Medio Oriente nel 2010-2011, evidenziando l’enorme influenza della piattaforma sulla democrazia.
Durante il periodo in cui Facebook scelse Katie Harbath, ex-sostenitrice di Giuliani, per guidare la sua unità politica, le elezioni divennero un tema scottante sui social media. Facebook gradualmente iniziò ad essere coinvolto nei problemi elettorali in tutto il mondo.
Facebook raggiunse alcuni dei partiti politici più controversi del mondo ignorando il principio di trasparenza. Dal 2011, la società chiede alla Commissione elettorale federale degli Stati Uniti una deroga alla legge che richiede trasparenza riguardo la promozione di un partito politico, che avrebbe potuto aiutarla ad evitare l’attuale crisi relativa alle spese pubblicitarie russe, prima delle elezioni del 2016.
Le relazioni tra l’azienda e i governi sono complicate. Facebook è stata accusata dall’Unione Europea di permettere all’islamismo radicale di prosperare sulla sua rete. La società ha appena pubblicato il suo rapporto sulla trasparenza spiegando che fornirà ai governi solo i dati sui propri utenti se la richiesta è legalmente giustificata; altrimenti non esiterà a ricorrere ai tribunali [6].
Eserciti di troll in India
Il mercato indiano è probabilmente il più vivace oggi per Facebook, superando quello degli Stati Uniti. Il numero di utenti aumenta due volte più velocemente; senza prendere in considerazione i 200 milioni di indiani che utilizzano il servizio di messaggistica WhatsApp, più che in qualsiasi altra parte del mondo.
Alle elezioni indiane del 2014, Facebook aveva già lavorato per diversi mesi su varie campagne. Modi trasse grande beneficio dal supporto di Facebook e WhatsApp nel reclutare volontari che, a loro volta, diffusero il messaggio sui social network. Dalla sua elezione, gli iscritti sono arrivati a 43 milioni; il doppio di quelli di Trump.
Nelle settimane successive all’elezione di Modi, Zuckerberg e la sua chief operating officer Sheryl Sandberg si trasferirono in India per sviluppare un progetto controverso per un servizio internet gratuito che, provocando feroci proteste, infine fu abbandonato. Katie Harbath e il suo team vennero pure in India per condurre sessioni di formazione con oltre 6000 funzionari pubblici.
Mentre Modi vedeva la propria influenza crescere nei social media, i suoi seguaci lanciarono su Facebook e WhatsApp una campagna di molestie contro i rivali politici. L’India diventava un focolaio di disinformazione, compresa la diffusione di una burla che portò a disordini che causarono la morte di diverse persone. Il Paese è diventato anche un luogo estremamente pericoloso per partiti e giornalisti dell’opposizione.
Tuttavia, non solo Modi o l’Indian People’s Party (BJP) furono indotti a utilizzare i servizi offerti da Facebook. La società afferma di fornire gli stessi strumenti e servizi a tutti i candidati, indipendentemente dal loro orientamento politico, nonché a gruppi più discreti della società civile.
Ciò che è interessante è che Mark Zukerberg stesso vuole diventare presidente degli Stati Uniti e ha già assegnato i servizi a David Plouffe (consigliere della campagna di Barack Obama nel 2008) e a Ken Mehlman (consigliere della campagna di George Bush Jr nel 2004). Attualmente lavora con Amy Dudley (ex-consigliere del senatore Tim Kaine), Ben LaBolt (ex-addetto stampa di Barack Obama) e Joel Benenson (ex-consigliere della campagna di Hillary Clinton nel 2016). [7]
La manipolazione delle emozioni da parte di Facebook
Uno studio pubblicato nel 2014 dal titolo: La dimostrazione sperimentale di un fenomeno di contagio emotivo su larga scala attraverso i social network [8] studia il rapporto tra i messaggi positivi e negativi visti da 689000 utenti di Facebook. Questo esperimento, che ebbe luogo tra l’11 e il 18 gennaio 2012, tentò d’identificare gli effetti del contagio emotivo modificando il peso emotivo delle informazioni diffuse agli utenti target. I ricercatori concludono che per la prima volta hanno “dimostrato che le emozioni possono diffondersi attraverso una rete di computer, (anche se) gli effetti di queste manipolazioni rimangono limitati”.
Questo studio fu criticato per le basi etiche e metodologiche. Nell’accesa polemica, Adam Kramer, uno dei principali istigatori di questa ricerca e membro del team dei dati di Facebook, difese lo studio in una dichiarazione della compagnia [9]. Qualche giorno dopo, Sheryl Sandberg, direttrice operativa di Facebook, fece una dichiarazione [10] durante il suo viaggio in India. Durante un evento organizzato dalla Camera di commercio di Nuova Delhi, dichiarò: “Questo studio è stato condotto nell’ambito delle ricerche effettuate dall’azienda per testare diversi prodotti, né più né meno. La comunicazione su questo argomento è stata pessima e ce ne scusiamo. Non volevamo annoiarvi”.
Quindi, per quale nuovo prodotto rivoluzionario Facebook ha condotto esperimenti psicologici per manipolare emotivamente i suoi utenti? Questi prodotti rivoluzionari sono eserciti di troll digitali che per scopi propagandistici diffondono informazioni false come una scia di polvere per aiutare i propri clienti durante le elezioni.
Poco dopo, il 3 luglio 2014, USA Today riportava che il gruppo EPIC, che promuove campagne per la privacy dei cittadini, presentava una denuncia ufficiale alla Federal Trade Commission affermando che Facebook ha infranto la legge conducendo la ricerca sulle emozioni dei suoi utenti senza il loro consenso, o neanche informarli [11]. Nella sua denuncia, EPIC afferma che Facebook ha ingannato i suoi utenti conducendo segretamente un esperimento psicologico sulle loro emozioni: “Al momento dell’esperimento, Facebook non dichiarò nella sua politica di utilizzo dei dati che le informazioni sugli utenti venivano utilizzate a scopi sperimentali. Facebook omise anche d’informare i suoi utenti che queste informazioni sarebbero state comunicate ai ricercatori”. La maggior parte delle cavie di questi esperimenti di manipolazione emotiva erano indiane [12].
Molti di noi non prestano veramente attenzione a ciò che viene pubblicato sui social network e la maggior parte di ciò che vediamo è piuttosto innocua. Almeno, questo è l’aspetto che ha a prima vista. La verità è che ciò che pubblichiamo in rete ha un impatto spaventoso. Secondo una recente ricerca condotta congiuntamente dal Pacific Northwest National Laboratory e dall’Università di Washington, i contenuti pubblicati sui social media potrebbero essere utilizzati dai software per predire manifestazioni future, forse anche il prossimo primo ministro indiano.
In un documento recentemente pubblicato da ArXiv, team di ricercatori, ha scoperto che i social network possono essere utilizzati per “identificare e prevedere eventi nel mondo reale” [13]. L’analisi di Twitter può prevedere con precisione i disordini sociali, ad esempio, quando persone usano determinati hashtag per discutere determinati problemi prima che la loro rabbia si diffonda nel mondo reale.
L’esempio più noto di questo fenomeno è avvenuto durante la primavera araba, quando evidenti segni di proteste ed insurrezioni imminenti furono avvistati in rete nei giorni precedenti le manifestazioni di piazza.
È vero anche il contrario, nel senso che la rabbia può anche essere generata dai social network e una volta raggiunto un livello ottimale può essere riversata su eventi della vita reale, come si può vedere da almeno due anni in India con casi di linciaggio di gruppo e altro.
Come funziona l’industria della disinformazione in India
In India è emersa un’enorme industria della disinformazione, che esercita un’influenza molto maggiore del tradizionale discorso politico e potenzialmente potrebbe diventare un problema di sicurezza similmente alla primavera araba se non viene padroneggiata. Nel momento in cui il linciaggio del dibattito infuria in India, è importante capire che tali incidenti non avrebbero avuto un impatto così veloce se i giovani non avessero avuto accesso a Facebook, Twitter, Youtube e altri social network. Ciò permette a tale industria della disinformazione di gestire e condividere video e informazioni falsi. Il fenomeno del linciaggio è apparso da alcuni anni come diretta conseguenza di questa industria della propaganda che si diffonde dai social network al mondo reale.
Ciò ha una dimensione completamente nuova ora che è stato rivelato che Facebook e WhatsApp hanno complottato con l’establishment creando “un esercito di troll” ai fini della propaganda digitale, scatenando le violenze in India. È un tipico caso di terrorismo. Quest’ultimo è definito come “l’uso sistematico del terrore o della violenza da parte di un individuo o di un gruppo per fini politici”. In questo caso, tale terrorismo è perpetrato da una compagnia straniera (Facebook) sul suolo indiano attraverso una guerra digitale di (dis)informazione. Cosa aspettiamo per reagire?
Una campagna di disinformazione fu condotta durante le elezioni presidenziali statunitensi. Era parte integrante della campagna ufficiale stessa in collaborazione con aziende leader. Questo stesso metodo fu utilizzato anche per guidare il dibattito sulla Brexit. Mentre parliamo, questa vasta impresa di disinformazione dipana i suoi tentacoli in India. Molti famosi atleti, celebrità, economisti, politici sono già stati vittime della diffusione di contenuti fuorvianti. Questa è una tendenza pericolosa che va attentamente monitorata dai nostri servizi d’intelligence per impedire futuri disastri.
Ecco come funziona. Molti siti e portali web legittimi e dai vari finanziamenti ricevono pubblicità fluttuanti. Il contenuto specifico è creato per diverse categorie di persone in base a loro regioni, ideologia, età, religione… mescolati con una grande quantità di contenuti erotici che offuscano il vero obiettivo. Tale contenuto fallace viene quindi iniettato nel social network e gruppi specifici vengono presi di mira attraverso strumenti analitici sviluppati da aziende leader. Man mano che questa falsa informazione si diffonde, acquisisce lentamente slancio e finisce per essere ripresa da una personalità: celebrità, politico e talvolta persino giornalista. Quello che succede dopo è pura pazzia.
Sia per scelta che per ignoranza, i media mainstream iniziano a diffondere questo tessuto di bugie, dedicando tutte le loro recensioni sulla stampa a tale falsa informazione: chi ha detto cosa e perché e bla bla bla… invece di cercare di verificare l’autenticità di quest’ultima. A causa della natura sensazionale di tali bufale, anche perché diffuse da personalità influenti, questa visione distorta del mondo si diffonderà nel mondo reale, testimoniata dalle vittime del linciaggio. Senza controllo, questo fenomeno di disinformazione potrebbe contaminare tutta l’opinione pubblica. Arriveremo in un momento in cui sarà quasi impossibile distinguere il vero dal falso, il fatto dalla finzione, con l’intera società radicalizzata in diverse fazioni sulla base di menzogne.
Facebook e le elezioni indiane
Al momento delle elezioni indiane del 2014, un articolo titolava: “Può Facebook influenzare l’esito delle elezioni indiane?”. Sotto questo titolo c’era un iceberg, se Facebook può cambiare le nostre emozioni e farci votare, di che altro è capace? [14]
Sorprendentemente, la stessa Commissione elettorale indiana stipulò una partnership con Facebook sulla registrazione degli elettori durante il processo elettorale. [15] Il dott. Nasim Zaidi, capo-commissario della Commissione elettorale (ECI), dichiarò: “Sono lieto di annunciare che la Commissione elettorale indiana avvierà una procedura speciale per arruolare i non votanti, in particolare chi non ho mai votato. Questo rappresenta un passo verso la realizzazione del motto dell’ECI, “Nessun cittadino va abbandonato”. Partita partecipando a questa campagna, Facebook trasmetterà un promemoria in diversi dialetti indiani per ricordare le elezioni a tutti gli utenti di Facebook dell’India. Invito tutti i cittadini elettori a registrarsi e a votare; vale a dire, a riconoscere i propri diritti e assumersi i propri doveri. Sono convinto che Facebook darà una nuova dimensione al censimento della campagna elettorale avviata dalla Commissione ed incoraggerà i futuri elettori a partecipare al processo elettorale e a diventare cittadini responsabili”.
Le 17 maggiori agenzie d’intelligence statunitensi hanno serie riserve sull’impatto di questo fenomeno di disinformazione sul processo elettorale e sulla società. Secondo un centro di ricerca di statistica, la maggioranza degli statunitensi (uno spettacolare 88%) pensa che la diffusione di notizie false sia dannosa per la percezione della realtà quotidiana [16]. E noi in India andiamo verso uno scenario ancora più catastrofico. Perché? Perché a differenza dell’India, il governo e la comunità dei servizi segreti degli Stati Uniti hanno denunciato pubblicamente il problema e lavorato a una soluzione alla minaccia. L’India può fare lo stesso con Facebook che ha il naso negli affari interni del Paese?
Organizziamo ogni sorta di commissioni, audizioni senatorie siano programmate per aggiornare questo caso e vengano create nuove cellule per contrastare efficacemente questa minaccia alla società. Mentre è in corso un’indagine sul ruolo di Facebook nelle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, poca attenzione è dedicata al modo in cui la cellula segreta di Facebook ha influenzato le elezioni indiane. Alla luce di queste rivelazioni, va condotta un’indagine rigorosa sull’impatto di Facebook sulle elezioni indiane. È ovvio che per fare ciò, il governo deve prima riconoscere l’esistenza di questa industria della disinformazione per agirvi contro.
In compagnia di Facebook, American Microchip Inc. e la giapponese Renesas incaricate di hackerare il codice segreto EVM (database degli utenti), dovrebbero essere indagate per interferenza nelle elezioni indiane con tutti coloro che vi hanno cospirato. Sarebbe un grave errore prendere questa minaccia, legata all’intrusione di compagnie straniere nel processo elettorale indiano, alla leggera [17].
Il famigerato Lord Jacob Rothschild aveva indirizzato un messaggio agli investitori del suo fondo RIT Capital Partners, in cui aveva toccato non solo lo stato del sistema finanziario, ma anche i problemi dell’ordine mondiale.
Questa volta, ha attirato l’attenzione sulle minacce al sistema economico globale istituito dopo la seconda guerra mondiale — e quando una delle persone che hanno fatto innumerevoli ricchezze nel dopoguerra avverte del pericolo di un collasso, si dovrebbe almeno ascoltare. Trump rompe il globalismo
Come i fattori chiave che provocano il collasso del sistema globale, il miliardario ha indicato la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, così come la crisi dell’eurozona. Un altro problema, secondo lui, è la mancanza di un “approccio comune”. Tutto questo, riassume Lord Rothschild, provoca una deviazione dalla globalizzazione e, per molti aspetti, il processo è collegato alla regola del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Il capo del fondo ha detto che è stato Trump a rendere “molto più difficile la collaborazione oggi”.
“Negli eventi dell’11 settembre e nella crisi finanziaria del 2008, il mondo ha collaborato e ha seguito un approccio comune. Oggi la cooperazione è diventata molto più difficile. Ciò pone in gioco l’ordine postbellico nella sfera dell’economia e della sicurezza “, ha detto Rothschild.
In questa situazione, secondo il Lord dell’antica dinastia, la politica del fondo è di sostenere le azioni e le capitali esistenti e di “affrontare i nuovi obblighi con grande cura”.
In effetti, il numero di titoli azionari quotati del RIT (equity quotato) è registrato a un livello storicamente basso (47%). Il motivo è che la famosa famiglia di miliardari di origine ebraica è preoccupata del fatto che il ciclo ottimistico dei 10 anni e la crescita delle quotazioni nel mercato stanno volgendo al termine. A questo proposito, recentemente il FMI ha previsto anche un rallentamento della crescita economica.
Rischi della zona euro e dei mercati emergenti
Rothschild ha riconosciuto che negli ultimi dieci anni molte economie si sono notevolmente rafforzate e, dopo la crisi finanziaria del 2008, circa 120 paesi hanno dimostrato una crescita. Tuttavia, ritiene il miliardario, i rischi per l’economia globale rimangono elevati: le attuali valutazioni del mercato azionario sono sopravvalutate dagli standard storici, ma sono gonfiate da anni di bassi tassi di interesse e politica di “quantitative easing”, che stanno giungendo al termine. Uno dei rischi potenziali è l’economia europea, in cui i livelli del debito hanno raggiunto “livelli potenzialmente devastanti”, ha detto il signore.
“I problemi che l’area dell’euro deve affrontare sono pericolosi — sia politici che economici — dati i livelli potenzialmente devastanti di debito in molti paesi”.
Secondo Rothschild, i rischi della guerra commerciale globale sono in aumento — dato che i cinesi stanno imparando dall’amara esperienza:
“La probabilità di una guerra commerciale è aumentata e con essa le tensioni, l’impatto è stato registrato per le azioni — per esempio, all’inizio di luglio, l’indice azionario di Shanghai è sceso di circa il 22% dal suo picco nel mese di gennaio.”
Rothschild ha anche ripetuto un avvertimento recente fatto dal capo della Banca centrale dell’India, dicendo che la riduzione della liquidità globale dollaro ha colpito anche i mercati emergenti.
“È probabile che i problemi continuino nei mercati emergenti, coperti dall’aumento dei tassi di interesse e dalla politica monetaria della Fed americana, che ha esaurito la liquidità del dollaro globale. Abbiamo già visto l’impatto sulle valute turche e argentine “, ha ricordato il miliardario.
Infine, Rothschild si è detto preoccupato per “problemi geopolitici, tra cui il Regno Unito fuori dell’Unione europea, la Corea del Nord e del Medio Oriente, mentre il populismo si estende a livello globale.” Rothschild: verità e astuzia
Ricordiamo che il fondo di investimento Rothschild è aumentato negli anni ’90, e nel 1998 il rendimento raggiunto tassi di spazio di 2400%. Grazie al successo ottenuto dagli investimenti dei miliardari del clan Rothschild, questi vengono molto ascoltati e gli investitori e i più importanti esponenti delle politica sono tra i suoi partner commerciali — in particolare Warren Buffett e Henry Kissinger. Rothschild da lungo tempo indica la vulnerabilità dell’economia mondiale: nel 2016 scrisse che la Banca centrale è stato “l’esperimento più grande nella politica monetaria” nella storia del genere umano, e ha sottolineato che le conseguenze sono imprevedibili.
Negli ultimi quattro anni, la Fondazione Rothschild divenne in realtà il portavoce dei cambiamenti imminenti: prima del referendum Brexit, che avevano precedentemente liquidato le attività in sterline. Nell’appello del 2016, quando tutti erano fiduciosi della vittoria di Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali americane, Rothschild aveva avvertito che il processo elettorale sarebbe stato “straordinariamente stressante”.
Ora c’è la sensazione che il miliardario sia in qualche modo disonesto e intimidatorio per gli investitori. Vale la pena notare che la stessa RIT Capital Partners investe attivamente in Asia (si tratta di beni cinesi, giapponesi, indiani). Inoltre, il fondo sta sviluppando la sfera delle tecnologie IT: a titolo illustrativo, sta investendo in servizi Dropbox e Alphabet-Google, oltre a biotecnologie, grandi infrastrutture (comunicazione ferroviaria negli Stati Uniti) e, naturalmente, energia.
Ma quello che è veramente interessante: Il Lord miliardario sta richiamando a preservare il capitale e non il rischio, così come lui stesso aveva accusato la Russia di aggressione per aver espulso la banca Rothshild dal paese, in precedenza, aveva incorporato nelle azioni “Cassa di Risparmio” e “Novatek” (RIT Capital Partners investito in BlackRock Emerging Markets Fund). Ma in questo caso Rothschild dimostra di non essere astuto, così come lo è nel rottamare l’ordine mondiale attuale. Apparentemente, il fondo prevede di incassare benefici dal naufragio dell’impero globalista e di passare pragmaticamente a mercati promettenti.
Rothschild stava parlando degli aspetti economici del crollo della globalizzazione, ma l’allarme suonava fra gli architetti politici del dispositivo atlantista. Ricordiamo che questo riguarda l’ideologo dell’ordine mondiale liberal, Bernard Henri Levy, che era fra i promotori alle origini del rovesciamento di Gheddafi, ed è responsabile per istruire gli islamisti dell’opposizione libica e ucraina di Maidan, e per incitamento alla guerra siriana e gli eventi in Iraq. Nel discorso di Amsterdam, ha dichiarato apertamente che il mondo sta cambiando, e l’egemonia americana tradizionale si sta erodendo.
E la critica di Trump alle dimissioni di Levy con l’indignazione di Rothschild: il presidente americano non esita nello smantellare l’infrastruttura del modello della precedente amministrazione nell’arena internazionale. Levy è indignato dal fatto che Trump semplicemente distrugga coerentemente quei progetti a cui il teorico liberale ha partecipato in passato. Cambiamenti negli ultimi anni non possono non eccitare gli ideologi globalisti del liberalismo e la crema della elite finanziaria mondiale: questi si riassumono nell’incipiente divisione in due del mondo occidentale, e nell’aumento delle posizioni forze di destra in Europa, e nello sviluppo di posizioni anti-americane e anti-sioniste in coalizione in Medio Oriente, e la fase economica (e non solo) che rappresenta un miracolo per la Cina. Il mondo sta cambiando e i globalisti stanno tentando freneticamente di adeguarsi alle nuove sfide.
Fonte: controinformazione.info L’opinione dell’autore può non coincidere con la posizione della redazione.