Morto esperto in virus Ebola sull’aereo Malaysian Airlines

Morto esperto in virus Ebola sull’aereo Malaysian Airlines – Riportiamo due notizie relative all’abbattimento del volo della Malaysian Airlines in Ucraina, fatto imputato alla Russia , e la morte di un passeggero particolarmente importante in quanto esperto in malattie infettive come AIDS e virus Ebola . Trattasi di coincidenze troppo evidenti per passare inosservate. Anche iltempo.it riporta questa notizia che non puo’ che lasciare interdetti e sospettosi .

Glenn Thomas, autorevole consulente dell’OMS a Ginevra, esperto in AIDS e, soprattutto, in Virus Ebola, era a bordo del Boeing 777 della Malaysia Airlines abbattuto ai confini tra l’Ucraina e la Russia.

Glenn Thomas era anche il coordinatore dei media ed era coinvolto nelle inchieste che stavano portando alla luce le controverse operazioni di sperimentazione di virus Ebola nel laboratorio di armi biologiche presso l’ospedale di Kenema. Ora che questo laboratorio è stato chiuso per volontà del Governo della Sierra Leone, emergono ulteriori particolari in merito agli interessi che nascosti dietro la sua gestione. idn poker

Bill e Melinda Gates hanno connessioni con i laboratori di armi biologiche situati a Kenema, epicentro dell’epidemia di Ebola sviluppatasi dall’ospedale dove erano in corso trial clinici sugli esseri umani per lo sviluppo del relativo vaccino, e ora, a seguito dell’avvio di un’indagine informale, emerge il nome di George Soros che, tramite la sua Fondazione, finanzia lo stesso laboratorio di armi biologiche.

Glenn Thomas era a conoscenza di prove concrete che dimostravano come il laboratorio aveva manipolato diagnosi positive per Ebola [per conto della Tulane University] al fine di giustificare un trattamento sanitario coercitivo alla popolazione e sottoporla al trattamento sperimentale del vaccino che, in realtà, trasmetteva loro Ebola. Glenn Thomas aveva rifiutano di andare avanti con il cover up, a differenza di taluni che lavorano al nostro Istituto Superiore di Sanità e sono adesso ben sono consapevoli che Glenn Thomas è stato assassinato.

Morto esperto in virus Ebola sull’aereo Malaysian Airlines

I canali ufficiali dei media non hanno mai riportato una sola notizia in merito alla presenza del laboratorio di armi biologiche a Kenema, men che meno la disposizione di chiusura, né l’ordine di interrompere la sperimentazione di Ebola da parte della Tulane University. Quindi, quali altri canali ci sono rimasti perché queste informazioni diventino di pubblico dominio, e siano diffuse attraverso le reti sociali, se anche l’OMS e le istituzioni sanitarie evitano di rilasciare informazioni e di agire?

Il miliardario George Soros, attraverso la Fondazione Soros Open Society, per molti anni ha attuato“investimenti significativi“ nel “triangolo della morte Ebola” della Sierra Leone, Liberia e Guinea. Pertanto,George Soros avevaun movente per uccidere il portavoce OMS Glenn Thomas per fermare la diffusione di notizie attraverso i canali ufficiali che l’epidemia di Ebola è stata orchestrata a tavolino in un laboratorio di armi biologiche

L’Olanda è un paese frastornato dalla rabbia e dall’impossibilità di spiegare le ragioni del disastro, a tal punto da avanzare una indagine per crimini di guerra. Ancor più disorientato è il suo Primo Ministro che, dopo aver chiesto di rimpatriare 40 corpi delle vittime MH17, afferma che “le rimanenti 200 vittime saranno rimpatriate in treno“. Ma se gli olandesi erano solo in 193, da dove saltano fuori tutti gli altri?

In merito al treno che trasporta i corpi delle rimanenti vittime, restano altrettante colossali incongruenze sui numeri riferiti dalle diverse fonti: gli esperti internazionali parlano di 282 corpi mentre Kiev riferisce che nei 5 vagoni refrigerati vi sono 252 corpi. Queste cifre fanno ulteriormente a cazzotti con la lista ufficiale dei 298 passeggeri.

In tutto questo marasma è particolarmente interessante il totale silenzio dei media ufficiali in merito alla notizia della chiusura del laboratorio di Kenema pubblicata sulla pagina Facebook del Ministero della Salute della Sierra Leone.

Notizia tratta dal Tempo.it

Esperimenti top secret. Un medico che sa troppo. Un aereo abbattuto per far tacere chi potrebbe avvertire i giornali. Un virus mutante sfuggito al controllo. C’è un «giallo» ricco di colpi di scena dietro l’epidemia di Ebola che ha infettato Sierra Leone, Liberia, Guinea e Nigeria e ora minaccia il mondo. Una lunga serie di strane coincidenze che partono da Kenema, il centro di ricerche dove lavorava Shiekh Humar Khan, il medico-eroe morto il 29 luglio scorso dopo essere stato contagiato dal virus. Khan dirigeva il laboratorio dove si effettuavano test sulla popolazione locale per scovare i nuovi casi. Laboratorio che ha una partnership con l’università Tulane di New Orleans, famosa per dipartimento di Malattie tropicali che effettua ricerche sull’Ebola.

L’ospedale di Kenema collabora anche con l’Us Army Medical Research Institute of Infectious Disease, il settore delle forze armate americane che si occupa delle malattie infettive. Test e sperimentazioni, stando ai comunicati ufficiali, per trovare vaccini su febbre gialla e febbre di Lassa per immunizzare i soldati. Sperimentazione di bio-armi, nuovi virus da utilizzare in guerra, secondo la popolazione locale che ha assaltato il centro di Kenema perché tutti coloro che vi si recavano per lo screening di Ebola ne uscivano ammalati. Tanto che il Ministero della Sanità della Sierra Leone il 23 luglio scorso ha chiuso laboratorio e ospedale, ha trasferito i pazienti nel centro di trattamento di Kailahun e ha ordinato all’università Tulane di «fermare i test su Ebola». Quali test? Non viene spiegato. Il dicastero ha ordinato inoltre al Cdc, Center for Disease Control statunitense, di «inviare ufficialmente le conclusioni e raccomandazioni della valutazione del laboratorio di Kenema». Riguardo cosa non è chiarito. Che cosa si stava sperimentado?

Su una ricerca pubblicata a luglio dal Cdc e firmata da Humar Khan, Randall Schoepp, Cynthia Rossi, Augustine Goba e Joseph Fair è riportato che «l’Ebola virus che ha infettato la Sierra Leone potrebbe essere il risultato di un Bundibugyo virus o una variante genetica di Ebola». Il 31 luglio il presidente del piccolo paese africano Ernest Bai Koroma ha dichiarato lo stato di emergenza parlando della ricerca del dottor Khan e chiedendosi se la virulenza di Ebola sia stata ottenuta con una mutazione genetica. Perché il virus che porta la febbre emorragica nell’Africa esiste (e uccide) da secoli mantenendosi entro certi confini. Il primo agosto anche il direttore generale dell’Oms Margaret Chan ha cominciato a chiedersi se ci sia una mutazione di Ebola oppure un adattamento naturale del virus. Parlando di «variante fatta dall’uomo».

Quattordici giorni prima di questa dichiarazione è morto Glenn Thomas, esperto di Ebola e Aids dell’Oms. Era a bordo del volo MH 17 di Malaysia Airlines abbattuto da un missile. Il 17 luglio s’era imbarcato ad Amsterdam per andare ad un convegno a Melbourne, in Australia, dove pare dovesse annunciato notizie importanti. E, visto che era pure il portavoce dell’organizzazione incaricato a parlare con giornali e televisioni, c’è chi vede nell’abbattimento del Boeing 777 la soluzione trovata per fermare eventuali sue rivelazioni riguardo le sperimentazioni ad insaputa degli africani per realizzare vaccini e guadagni milionari con il diffondersi dell’epidemia. Sacrificando comunque altre 297 vite. «Tesi accattivante ma lontana dalla scienza», secondo Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto per la malattie infettive «Lazzaro Spallanzani» di Roma.

«Le epidemie si verificano sistematicamente. Possono comparire quando meno ce lo aspettiamo». E per non essere colto di sorpresa il presidente degli Stati Uniti Barack Obama il 31 luglio ha cambiato con un ordine esecutivo l’elenco delle malattie per cui è necessaria la quarantena inserendo tutte quelle che si presentano con febbre e problemi respiratori e sono contagiose tanto da far rischiare la pandemia. Viene esclusa comunque l’influenza. Il virus mutante di Ebola sembra possa passare da uomo a uomo anche attraverso starnuti e non solo entrando in contatto con sangue, urine e fluidi corporei dei malati. Intanto la società californiana Mapp Biopharmaceuticals sta lavorando, insieme alla canadese Defyrur, allo ZMapp, cocktail di antibiotici per curare l’Ebola. Il 14 gennaio scorso Tekmira, che ha un contratto da 140 milioni di dollari con il Dipartimento Usa della Difesa, aveva annunciato la sperimentazione di vaccini sull’uomo.

Preso da: http://appuntiitaliani.com/morto-esperto-in-virus-ebola-sullaereo-malaysian-airlines/

ECCO ALCUNE DELLE PROVE CHE C’È L’USAID DIETRO ALLE MANIFESTAZIONI CONTRO LUKASHENKO IN BIELORUSSIA

Il 6 agosto, tre giorni prima delle elezioni presidenziali in Bielorussia e delle proteste che ne sono seguite, le agenzie di politica estera americane hanno concluso un accordo su “organizzazione di eventi e logistica per USAID-Bielorussia”.

L’appaltatore nell’ambito del contratto è il Centro di studi lituano sull’Europa orientale, secondo “fdps.gov” – il registro degli appalti pubblici degli Stati Uniti. In precedenza, nell’ambito dello stesso contratto statale, gli oppositori bielorussi sono stati formati in Lituania e il centro menzionato è quello che ha ospitato la candidata presidenziale dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaya. In questo contesto, USAID in Bielorussia potrebbe presto essere chiuso.

USA, Ucraina e Lituania sono chiaramente gli organizzatori delle manifestazioni contro Lukashenko.

L’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (USAID) riferisce simultaneamente al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, al Presidente degli Stati Uniti e al Consiglio di sicurezza nazionale. Secondo la carta del contratto statale, il cliente diretto era la filiale ucraina di USAID. La filiale bielorussa di USAID è elencata come la parte finanziatrice. Il contraente è “Rytų Europos studijų centras”, ovvero il Centro di studi sull’Europa orientale (CESE).

La descrizione del lavoro è breve: “Organizzazione di eventi e logistica per USAID / Bielorussia”. L’importo del finanziamento per questo scopo non è specificato.

Nella prima fase dello stesso contratto statale, la descrizione del lavoro era più dettagliata: nel settembre 2018, USAID-Bielorussia ha ordinato la consegna e la formazione di attivisti dal Centro di studi sull’Europa orientale a Vilnius: “USAID / Bielorussia avrà bisogno di supporto logistico portare gli attivisti bielorussi a Vilnius durante diversi round di incontri nell’autunno del 2018-inizio primavera 2019. Il team avrà bisogno di supporto per organizzare gli incontri / viaggi / alloggio per i partecipanti bielorussi “. L’importo della commissione è $ 35.600.

La seconda e la terza fase del lavoro nell’ambito di questo contratto statale sono datate settembre e novembre 2019 – con una breve descrizione: “… Pianificazione e logistica degli eventi per USAID / Bielorussia”, e ancora una volta USAID-Ucraina è stata coinvolta come parte del contratto. Le date di “acquisizione” sono il 25 settembre e il 18 novembre 2019.

È interessante notare che nell’autunno del 2019 si sono svolte numerose manifestazioni in Bielorussia sullo sfondo della campagna elettorale parlamentare bielorussa – ad esempio, il 16 novembre (il giorno prima delle elezioni), si è tenuta una marcia con striscioni come “E il il re è nudo! “.

Pertanto, le azioni su larga scala dell’opposizione bielorussa sono chiaramente correlate per date con i le direttive statunitensi, e gli eventi di agosto hanno dato luogo ad altre manifestazioni- cioè, l’attuazione pratica delle conoscenze acquisite dagli attivisti in Lituania.

Il 6 agosto 2020, l’opposizione ha pianificato una manifestazione su larga scala nel Parco dell’amicizia dei popoli di Minsk, ma il fatto che fosse stato dato ordine di spostarla si è saputo solo il 5 agosto e il 6 agosto Tikhanovskaya ha annullato questo evento. Risulta che gli Stati Uniti nell’ultimo contratto di stato hanno registrato i preparativi non per una manifestazione alla periferia di Minsk, ma per le proteste post-elettorali.

Altri importi dell’USAID a favore del Centro Studi sull’Europa dell’Est sono stati elargiti non in base a contratti statali vincolanti, ma sotto forma di sovvenzioni. Il CESE di Vilnius conduce da tempo propaganda contro Aleksandr Lukashenko e funge da sostegno a Svetlana Tikhanovskaya, fuggita in questa città l’11 agosto. Il lituano Seimas l’ha riconosciuta come presidente della Bielorussia. È nei locali del CESE che è stata scattata la famosa foto di Tikhanovskaya con il famoso tecnologo delle rivoluzioni Bernard-Henri Levy. Lo stesso francese ha ammesso nel suo articolo per il Wall Street Journal che il leader dell’opposizione bielorussa non lo ha impressionato. L’ha definita insolita e ha detto che oltre al servizio di sicurezza lituano, la ragazza è assistita anche da un attivista di Freedom House, un’organizzazione senza scopo di lucro che lavora per il governo degli Stati Uniti da molti anni.

Sulla carta, USAID, fondata nel 1961 dal presidente John F. Kennedy, ha obiettivi nobili. Nei paesi in via di sviluppo, l’agenzia è impegnata nella riduzione della povertà o nell’affrontare le conseguenze della pandemia di coronavirus, come in Bielorussia. Negli ultimi decenni, l’organizzazione si è anche affermata come conduttore della politica estera degli Stati Uniti – questo strumento di “soft power” è stato più volte preso a letto con gli organizzatori delle rivoluzioni colorate. L’USAID è stato un attore chiave nel recente tentativo di colpo di stato in Venezuela. L’agenzia ha anche sostenuto parte dell’opposizione dietro la tentata rivoluzione colorata in Nicaragua nel 2018. USAID ha finanziato anche la diffusione di notizie false contro le autorità cubane sui social network. E alcuni anni fa, si è scoperto che ha pagato milioni di dollari ai politici afgani per cambiare alcune leggi.

Nel febbraio 2019, USAID ha annunciato l’inizio della cooperazione con l’esercito e l’intelligence per promuovere gli interessi della “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti. Stiamo parlando delle forze speciali statunitensi, dell’FBI e di altre organizzazioni. Eritrea, Ecuador, Cuba e Bolivia hanno espulso USAID dai loro territori e gli uffici delle ONG in molti altri paesi sono in fase di chiusura. Le attività dell’agenzia nella Federazione Russa sono state bandite nel 2012 dopo le dolorose manifestazioni di migliaia di persone presso il Cremlino. Il motivo dell’espulsione è stata la fuga di 60 MB di corrispondenza elettronica tra l’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale e rappresentanti dell’opposizione russa. Inoltre, è stata approvata una legge che impone alle ONG straniere di registrarsi come agenti stranieri.

Ma i membri delle ONG locali ad essa associate hanno preso parte attiva alle cosiddette proteste pacifiche.

In precedenza, “Oktagon” ha scritto di un consorzio di difensori dei diritti umani bielorussi e ucraini impegnati nel conteggio dei casi di tortura nella Repubblica – un certo numero di attivisti sono strettamente associati a USAID e Freedom House. Tra le ONG c’erano quelle che diffondevano falsi sui manifestanti uccisi dalla polizia e altri argomenti simili.

Secondo il servizio “GovTribe”, più di 7 milioni di dollari sono passati attraverso la filiale bielorussa di USAID nel 2016-2020. Se le autorità bielorusse riterranno provato il legame di USAID con le proteste, chiuderanno l’ufficio dell’agenzia di Minsk e sarà più difficile per Washington lavorare con gli attivisti della Repubblica.

Aleksandr Kolesnikov

https://www.stalkerzone.org/washington-documented-its-miss…/

Italian Report on Qatari Role in Training Terrorist Groups During 2011 in Libya

August 25, 2020

Italian political analyst Giuseppe Gagliano analysed the military cooperation agreement between Qatar, Libya, and Turkey announced this month, arguing that it is part of a well-planned strategy of cooperation, training, and funding of proxy radical Islamist groups since 2011.

“Doha openly supported the Turkish military Operation Spring of Peace in north-eastern Syria to expand the influence of the Muslim Brotherhood.”— Giuseppe Gagliano

(Libya, 25 August 2020) – According to the Egyptian newspaper Al-Yawm Al-Sabi’, with regard to bilateral relations between Turkey and Qatar, the Italian political analyst Giuseppe Gagliano said: “Turkey has always supported Qatar militarily and received ample financial support in exchange. It is sufficient to recall that, for example, the deputy commander of the Ankara forces, Ahmed bin Muhammad, is also the head of the Qatari Military Academy. In other words, the training of military cadres depends on the pro-Turkish political and religious loyalty.”

He pointed out that the presence of the Turkish security forces in Qatar tangibly represents the importance of the Turkish political-military influence in Doha represented by the Tariq ibn Ziad base that embraces the command of the “Qatari-Turkish joint force.”

The report drew attention to the fact that Qatar’s arms imports from Turkey have increased dramatically allowing Ankara to obtain revenues of US$335 million. “Doha openly supported the Turkish military Operation Spring of Peace in north-eastern Syria to expand the influence of the Muslim Brotherhood,” argued Gagliano.

According to the report: “On the investment side, Qatar has disbursed US$15 billion since 2018 and purchased a 50% stake in BMC, a Turkish armored vehicle manufacturer. There is also the state-controlled military software company in Ankara, which has signed a partnership agreement with Al-Mesned International Holdings in Qatar for a joint venture specializing in cyber-security. However, one of the most important agreements to rectify the ailing Turkish  economy is that of 20 May thanks to which the Turkish Central Bank announced that it had tripled its currency exchange agreement with Qatar.”

The Italian analyst added: “As regards Libya-Qatar relations, Doha took advantage of the political weaknesses of both the European Union and the UN. Furthermore, the relative US disengagement from the Middle Eastern theatre – given that the Trump administration’s priorities are China, the Indo-Pacific, and Russia – have in fact granted an undoubted strategic advantage to Doha.”

On Libya, Gagliano said, “Taking advantage of this situation of instability, Qatar has tried to exploit this propitious opportunity to gain greater weight and significance at the geopolitical level in Libya. Precisely for this reason, Qatar’s military presence in the 2011 conflict, alongside NATO, was certainly significant not only thanks to the use of air force but also through the training of Libyan rebels both on Libyan territory and in Doha. We should not also forget the relevant role that their special forces played in the final assault against Gaddafi.”

Qatari Emir, Tamim bin Hamad Al Thani, kissing the forehead of the radical Islamist cleric Yusuf al-Qaradawi who lives in Doha.

He continued, “With the fall of Gaddafi’s regime, Qatar recognized the National Transitional Council as a legitimate political institution and supported it at all levels. Another leverage, and at the same time a means of penetration into Libya, was certainly the brothers Ali Sallabi and Ismail al-Sallabi persecuted by the Gaddafi regime. In particular, Ali Sallabi is certainly one of the most important men linked to the Muslim Brotherhood. Another key man for Qatar was certainly Abdel-Hakim Belhaj, considered by both the CIA and the US State Department as a dangerous terrorist as leader of the Libyan Islamic Fighting Group (LIFG).”

Qatar’s Hamad al-Marri with the Emir of the Libyan Islamic Fighting Group (LIFG), Abdel-Hakim Belhaj and Mahdi Harati in August 2011.

According to the article: “Qatar invests heavily in the reconstruction of Tripoli’s military infrastructure. Indeed, it is not a coincidence that the Qatari delegation that recently visited Tripoli comprised military advisers and instructors who held meetings with their Libyan and Turkish counterparts.”

Source: https://almarsad.co/en/2020/08/25/italian-report-on-qatari-role-in-training-terrorist-groups-during-2011-in-libya/

IL VIRUS GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO

Andrea Cecchi, 12 maggio 2020.

Può un virus arrivare proprio nel momento esatto per essere considerato come una vera e propria benedizione? Sarebbe quasi un’eresia rispondere di si. Invece, per gli operatori finanziari, è proprio ciò che è accaduto.

Ricapitoliamo.

A giugno 2019 il mercato dei REPO stava iniziando a collassare mostrando segnali di pericolo sistemico.  La maggior parte della gente non sa neanche che cosa siano i REPO.

 

In pratica sono operazioni di pronti contro termine con cui le banche e i maggiori operatori economici si scambiano asset (principalmente titoli di stato) con operazioni di durata brevissima allo scopo di ottenere liquidità istantanea per le ragioni legate soprattutto al rischio controparte che scaturisce da operazioni altamente speculative nel mercato dei derivati.  Il campanello d’allarme inizia a suonare a giugno. A settembre 2019 la situazione diventa preoccupante. Quanto preoccupante? Tipo da “mani nei capelli e bocca spalancata” preoccupante.

Un Report della Banca Regolamenti Internazionali (B.I.S.), la banca centrale che governa tutte le altre banche centrali del mondo, lancia l’allarme e “stranamente” omette di fare i nomi delle 4 principali banche di Wall Street che sono coinvolte. Avverte che il problema si sta espandendo contagiando anche il mercato delle valute.

Si tratta del mercato con cui le banche europee ed extra europee ottengono dollari per le loro necessità operative per le operazioni denominate in dollari americani. Anche questo settore funziona in modo analogo ai Repo e  di conseguenza il problema si diffonde e diventa globale.  La Federal Reserve risponde all’appello accorato delle banche che si trovano in pericolo mortale per mancanza di liquidità e provvede ad aprire una linea di approvvigionamento straordinaria di 350 miliardi di dollari al giorno che in alcuni casi toccano anche punte di oltre 800. Ma non basta. Il panico non si ferma. Ad aggravare la cosa, entrano nel giro delle scommesse dei REPO anche i maggiori Hedge Fund che usano i soldi raccolti dai maggiori fondi pensione (si, anche l’Inps) per fare guadagni in questo oceano molto pescoso ma ad alto rischio. Passano le settimane e le banche non si fidano più l’una dell’altra e si avvicina il collasso monetario. Forse non è ben chiaro quello che può accadere in un collasso monetario. È veramente la peggiore delle ipotesi. In un collasso monetario, tutta la liquidità sparisce perché non arriva più ai destinatari. Se ciò non avviene, l’economia si ferma totalmente. Come un aereo che precipita: muoiono tutti! I vertici delle banche, di concerto con i responsabili economici convergono sul fatto che, se l’aereo precipita, bisogna evitare che si schianti e iniziano a pianificare una soluzione che possa evitare il disastro assoluto, cercando perlomeno di far planare l’aereo il più dolcemente possibile. Questo non tanto per salvare noi di cui non gliene frega niente, ma per salvare più che altro se stessi e il paradigma che consente a pochi soggetti tra cui la banche, di vivere a scrocco su tutti gli altri.

A ottobre 2019, come una bizzarra coincidenza, avviene un vertice tra entità molto influenti, denominato EVENT 201. Giusto un mese dopo il campanello d’allarme della B.I.S.

 

In tale occasione viene simulato un evento di pandemia globale che vede diffondersi un virus a bassa letalità con le caratteristiche esattamente uguali a quello che poi viene annunciato essersi propagato da Wuhan con la storia che tutti conosciamo. Ai partecipanti provenienti da tutto il mondo viene dato un vademecum operativo. Un vero e proprio protocollo di azione, su come comportarsi e su quali misure adottare se (a ottobre eravamo ancora in fase ipotetica)…….. un virus del tipo coronavirus si fosse diffuso e se all’intera popolazione mondiale venissero comunicate misure contenitive da adottare in caso di pandemia. Il 21 gennaio 2020 segue il vertice di Davos dove si riuniscono nuovamente tutti i potenti del mondo. Il 23 gennaio la Cina annuncia il lockdown. Il 30 gennaio 2020, l’ W.H.O. annuncia l’emergenza sanitaria globale. Le notizie del virus che a ottobre era solo ipotetico e simulato, come per miracolo, si materializzano davvero, proprio nelle esatte modalità previste dall’esercitazione dell’EVENT 201. Sembra proprio che l’esercitazione fosse stata una prova generale prima di “andare in scena” come in una opera teatrale planetaria.

Ma facciamo un passo indietro e torniamo al mercato dei REPO che sta esplodendo, visto che del virus ne hanno parlato tutti fino alla nausea.

Ci sono due modi e solo due modi per prendersi cura di un mercato monetario a breve termine:

1)      Pomparci dentro più denaro possibile per mantenere fluida la domanda e impedire agli interessi  richiesti dai prestatori di salire.

2)      Fermare la domanda di prestiti da parte dell’economia globale.

Qui è necessario capire qual è il vero rischio. Il vero rischio è rappresentato dal tasso d’interesse che sale.  Durante tutto questo periodo di tassi d’interesse prossimi o pari a zero si è gonfiata a dismisura la bolla dei derivati. Tutto è sorretto da un filo molto sottile. Operazioni di rischio elevatissimo, basate su scambi virtuali di collaterale preso a debito, quasi sempre titoli di stato, che hanno un equilibrio molto precario. Se per qualche ragione i tassi iniziano a salire, il valore del sottostante a garanzia diminuisce e si innesta la reazione a catena, tipo deflagrazione nucleare, dove ogni operatore cerca liquidità, che non ha, per ricoprirsi dal fallimento istantaneo.

Lo spiego in modo becero: se mi presti 80 euro e ti do a garanzia un titolo che vale 100, ti senti sicuro. Ma se durante il prestito, quel titolo a garanzia non vale più 100 ma 70, allora mi chiedi di rientrare nella garanzia dei 30 che mancano. Da chi li prendo quei 30 che non ho? E qui inizia la crisi. Se si moltiplicano queste dinamiche per migliaia e migliaia di miliardi di scambi algoritmici ad alta velocità, con garbugli e intrecci di garanzie incrociate tutte sorrette da prestiti ad altissimo rischio, (spesso i titoli a garanzia sono presi a prestito a sua volta e re-ipotecati innumerevoli volte) si capisce come in un attimo tutto possa esplodere se non si interviene con secchiate di soldi come ha fatto la Federal Reserve, arrivando a fornire anche 1000 miliardi al giorno.
Come per miracolo, arriva quindi il Covid-19. E cosa succede?

Le Banche Centrali sono autorizzate quindi a intervenire in modo illimitato. Vengono creati dal niente migliaia di milioni o centinaia di miliardi di dollari e vengono distribuiti non solo alle banche ma iniettati anche direttamente alle maggiori aziende. Con questa misura di straordinaria portata, la falla del mercato dei REPO viene calmierato. Le controparti ottengono la liquidità mancante. La domanda generale di prestiti viene invece fermata dal lockdown. Era necessario imporre un blocco forzato all’economia e agli scambi proprio per fermare il contagio che si stava propagando dal mercato dei titoli di stato a breve termine che avrebbe contagiato l’intero debito globale. Questo passaggio è un po’ più difficile da capire, ma anche l’ammontare complessivo dei prestiti erogati ai privati e alle aziende contribuisce al calcolo del rischio complessivo che si ripercuote sul calcolo del tasso d’interesse. Maggiore è il rischio, più alto sarà il tasso. E se nel mercato dei REPO che è interbancario aumenta il rischio, aumenta la possibilità del default a catena. Diciamolo una volta per tutte: i tassi non devono aumentare! Se lo fanno: è la fine.

Tutta l’economia è debito. Quando si sente parlare di Dollari, Euro, Yen, Franchi, Corone, Yuan eccetera, bisogna sempre ricordare che le valute non sono altro che unità debitorie emesse sulla base di un’economia debitoria. Il denaro esiste solo dopo che una banca lo crea indebitando qualcuno: stati, privati o aziende. Le persone si concentrano soprattutto sul mercato azionario. Quello non c’entra niente, Ha dinamiche completamente diverse e anche nel caso di un’economia paralizzata come quella di adesso, potrebbe addirittura sfondare nuovi massimi, proprio grazie a tutta la nuova liquidità creata che non ha altri posti dove confluire. Il nocciolo della questione è il mercato del debito. La gente non si rende ancora conto che stava arrivando una crisi economica pazzesca. Nessuno lo dice perché sono cose difficili da spiegare e pochi ne hanno la voglia e la competenza e la gente non ha voglia di fare lo sforzo di capire queste cose, che quindi possono andare avanti, quasi segretamente senza che nessuno se ne preoccupi. Ma bisogna assolutamente capire che il virus ha fermato una crisi economicsa peggiore di quella che stiamo vivendo adesso. Il virus è arrivato veramente al momento giusto. Se non fosse arrivato, i tassi d’interesse sarebbero schizzati in alto e il mercato del debito e a ruota quello dei derivati (2.5 milioni di miliardi – stima B.I.S.) sarebbe deflagrato in una supernova dalle proporzioni molto, molto peggiori di quello che è avvenuto. Una crisi per la quale non esiste strumento per gestirla.

Fermare l’economia e quindi la domanda di prestiti e inondare le banche di liquidità fresca è sembrata essere la soluzione meno dannosa. Almeno per loro. Lo slogan “andrà tutto bene” che hanno messo in bocca agli zombie acefali, è servito a ribadire che andrà tutto bene a loro, non a noi, e che per adesso, il collasso monetario non ci sarà perché hanno fermato l’economia gettando tutti noi fermi, immobili in un angolo, come in una prigione planetaria. Salvando i REPO sono stati salvati anche gli Hedge Fund e quindi i fondi pensione. Per adesso i pensionati possono stare tranquilli. La loro pensione è assicurata.

Molti allora si chiedono: cosa succederà ora? Ci sarà la ripresa?

Assolutamente no! Mi spiace dirvelo, e mi spiace anche per me, ma ho il mio piano e dedicherò un’apposita newsletter appena sarà pronto.

L’economia non ripartirà. Sarà un grafico a forma di L dove dopo il crollo verticale di adesso seguirà un lungo periodo di lenta e prolungata stagnazione su livelli molto inferiori ai precedenti.  Il 2019 è stato l’ultimo anno di mondo come lo abbiamo conosciuto. Con il 2020 arriva una nuova realtà e che ci piaccia o no, sarà con noi almeno fino al 2032. Se si decidesse di riaprire tutto e tornare alla situazione precedente ci ritroveremmo in un attimo al punto di partenza, ovvero al settembre 2019, con l’esplosione del mercato dei REPO. Questa scelta è stata inevitabile. È il più colossale caso di “TRA L’INCUDINE E IL MARTELLO” della storia dell’umanità.

L’economia non ripartirà perché con il blocco totale dovuto al lockdown e alle restrizioni per il contenimento della pandemia ci saranno molti fallimenti. Moltissimi soggetti non saranno più in grado di pagare i propri debiti.  Moltissimi non saranno più in grado pagare i canoni di affitto. Se da una parte qualcuno non paga, dall’altra c’è qualcun altro che non riscuote. Il gioco è a somma zero. Complessivamente, non c’è guadagno economico perché la somma si sterilizza. Quali sono le possibili soluzioni? Come se ne esce? È molto difficile. Occorre un gioco di grande equilibrio e di lento e cauto procedere. Ci saranno periodi di “stringi e allenta” sempre con il rischio pandemia usato alla nausea per limitare la libertà delle persone concedendo brevi sprazzi di libertà come questa estate, per tornare a stringere il cappio con il prossimo autunno, e così via.

Per descrivere questo momento mi viene in mente un’avventura di pesca alle Bahamas, la mia seconda patria. Ero andato a pescare uscendo con il kayak durante la fase di alta marea. L’alta marea può essere intesa come una sufficiente copertura di liquidità che consente di navigare galleggiando sopra le insidie del fondale.  Al mio ritorno, la marea si era ritirata di molti metri e, per raggiungere la strada, per tornare a casa, dovevo attraversare un tratto di acqua molto bassa con rocce e coralli affioranti e taglienti, compresi ricci di mare. Tutto ciò con delle ciabatte approssimative che mi fornivano una protezione solo parziale. Il rischio era quello di ferirsi i piedi, di scivolare, di rompere il kayak e di perdere i pesci che avevo preso.  Dovevo trovare un sistema per riportare in sicurezza pesci, piedi e kayak. L’unico modo era quello di procedere lentamente. Sondando il terreno prima di compiere un passo. Poi, una volta avanzato, tirarmi dietro l’imbarcazione sul velo di acqua laddove possibile, o caricandola a forza di braccia, spostandola in un punto sicuro. E così via per diverse ore, sotto il sole tropicale, fino alla fine del percorso. È stata una prova di pazienza, forza e abilità, di calcolo del rischio da effettuare prima di ogni passo, approfittando di ogni pozza di acqua più fonda e di ogni appoggio più sicuro dove appoggiare il piede senza tagliarmi o scivolare. Queste sono le doti che dovrebbero avere coloro che in questo momento si trovano nella posizione di stabilire la strategia migliore per tirare fuori l’umanità intera da questa “bassa marea” insidiosa in cui ci troviamo, ben sapendo però che facendo i passi sbagliati, si rischia non solo di fare danni irreparabili, ma anche di affondare e perdere tutto.

Chiediamoci quindi: gli abbiamo nel mondo questo tipo di leader? Esistono uomini o donne capaci di prendere in mano le redini e di guidare saggiamente l’umanità verso un terreno sicuro sul quale ricostruire un modello economico più solido e sostenibile? E i leader che abbiamo: lo vorranno fare?

La soluzione adesso sarebbe quella di intraprendere colossali opere pubbliche infrastrutturali che darebbero lavoro alla gente, e adottando misure fiscali adeguate a garantire la stabilità dei flussi monetari. La fusione tra Banche Centrali e Governo che sta avvenendo renderebbe più agevole il meccanismo di finanziamento necessario per mettere in cantiere queste opere. Donald Trump è maestro di bancarotta avendone subite diverse come imprenditore soprattutto nel settore dei casinò, quindi nel gioco d’azzardo. Ironicamente sembra proprio la persona adatta a gestire una bancarotta globale causata dal casinò delle scommesse sul mercato dei REPO. Visti i suoi successi e le sue esperienze precedenti: è uno del mestiere!

Le prossime tappe vedranno l’annuncio di una cripto valuta mondiale che servirà all’inizio solo alle compensazioni tra banche centrali. Sarà una cripto valuta su base aurea. I paesi che hanno le maggiori riserve auree saranno quelli dominanti. Per questo hanno voluto azzerare l’Italia. L’obiettivo è quello di farci cedere il nostro oro che è comunque al 4° posto al mondo. Speriamo di resistere. Gli USA al pimo posto. La Cina e la Russia hanno iniziato dieci anni fa a comprare tutto l’oro che viene prodotto. Non lo hanno comprato per rivenderlo. Lo hanno comprato perché vogliono giocare da protagonisti.

L’oro quindi tornerà ad avere il suo ruolo da protagonista nel nuovo sistema economico. Questo anche perché essendo l’oro scarso per natura, impedirà all’economia di espandersi in modo esponenziale creando questo genere di squilibri e fornendo una solida base su cui ripartire in modo più sostenibile, il che concorda anche con i dettami “green” che vanno tanto di moda. Abituiamoci a tutto questo e calcoliamo bene i nostri passi per uscire incolumi dalla “bassa marea” che caratterizzerà i prossimi anni. Ci sarà un assestamento da qui al 2025. Poi un lento incedere fino al 2032. Quindi: questa è la nuova realtà: more with less! Bisogna fare di più con meno. Aguzzare l’ingegno e darsi da fare. Sennò ci sarà il reddito di sussistenza statale e la lenta morte in un angolo, fuori dai giochi.

Preso da: https://andreacecchi.substack.com/p/il-virus-giusto-al-momento-giusto?utm_campaign=post&utm_medium=web&utm_source=facebook&fbclid=IwAR0huaFCdIXTbi1D-35yb0TBxjo5oI0Zb0FsQQ6hb7WcorQWZvgeH5wHAVs

About AFRICOM’ withdrawal and foreign military presence

About AFRICOM’ withdrawal and foreign military presence

The recently appointed US AFRICOM commander, Army Gen. Stephen Townsend, revealed on July 29, 2020 that AFRICOM will leave its headquarters in Stuttgart Germany: “While it will likely take several months to develop options, consider locations, and come to a decision, the command has started the process.” He added, “We will ensure we continue to support our host nation and African partners and our families and forces throughout.”

We welcome this decision to pull out troops dedicated to Africa. GRILA was among the first on the continent to stand in the way of the expansionist aims of the post-apartheid era, notably with Warren Christopher’s African crisis response force [1], and to propose our pan-African option, the Africa Pax[2]. GRILA is also the first group that denounced AFRICOM at its inception in 2007, also when it settled in Stuttgart a year later. On May 25, 2013, on the occasion of the fiftieth anniversary of African “independence”, we launched a declaration co-signed by 50 prominent African and German personalities, entitled “AFRICOM go home, neither in Africa nor in Germany” [3]. We have campaigned for the withdrawal of the AFRICOM base as well as against military occupation and aggression on the African continent. In addition, we have almost succeeded in convincing some major parts of the German population that the base violates their own constitution, however the terrorist attack in Berlin jeopardized our peace effort. During this period, Germany became more proactive, and has now taken on a more aggressive stance on the African continent. We remain thankful to German pacifists like Gesellschaft Kultur des Friedens, and some of the progressive German deputies as well as members of civil society, including American activists like the Black Alliance for Peace, who have courageously opposed AFRICOM over the past while.
It is very likely that some of the alleged 1200 US AFRICOM soldiers will be redeployed elsewhere in Europe, in the U.S. European Command and in Special Operations Command Europe as well as in facilities on the African continent. The relocation plan which it might take some time to implement does not mention what may happen with forward bases such as the Ramstein Air Base, a strategic hub for operations in the Middle East and Africa that is headquarters to the U.S. Air Forces in Europe and Africa; the U.S. Special Operations Command Africa or the Theater Special Operations Command located in Stuttgart. We ask all progressive Americans to pressure their government to close these imperialist bases and to dismantle the so-called US strategic control of the African continent.

The U.S. defense budget exceeds the combined budget of the seven countries that follow it, like an alpha male in a wolf pack, but in addition this pack of US allies accounts for 75 percent of the world’s military spending. Bilateral relations between the US and Germany are difficult these days, and, in June 2020, the U.S. Ambassador to Germany, Richard Grenell, resigned. There were issues such as Germany’s gold which was repatriated from its American British and French allies, and Germany’s refusal to spend 2% of its GDP in Western collective defense all of which probably served to convince the Trump administration to redeploy its troops in other strategic areas of American expansionism.
However, the extension of the American system and the cooptation of our military regimes are ultimately of greater significance. We should not underestimate the presence of France, which has assets linked to secret defense agreements conditional to neo-colonial independence and the militaristic connivance of business networks. The introduction of other players like Russia, Germany, China or Turkey also demands more scrutiny. There is a continuous escalation of insecurity in Africa because of the presence of foreign forces.

About AFRICOM’ withdrawal and foreign military presence

As predicted in the film AFRICOM go home, foreign bases out of Africa [4], an independent study from the University of Maryland (National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism) illustrates the dramatic increase in transnational attacks since the establishment of AFRICOM. France and the United States bear the burden of military responsibility for this state of affairs. On March 19, 2011, AFRICOM launched Operation Odyssey Dawn, the first phase of a war, which was completed by France, in overthrowing the government in Tripoli. The sinister result is the dislocation of Libya amidst subversive activities by France, Russia, Turkey, Egypt, Saudi Arabia, Qatar, the Emirates, jihadist forces, Syrian mercenaries, Libyan tribes, Sudanese and Chadian ethnic militia groups, and all kinds of trafficking. This destabilization in the Sahelistan model extends to Mali, Burkina Faso and Nigeria, creating dislocation, as far as Mozambique, in the sub-region.
US administrations change but the system remains. Since the US is a great power that tries to temper its decline by employing cunning and force, the African continent is now riddled with drones and military installations that, for the moment, make the presence of a mega-base useless. NATO and AFRICOM actually need no more than their current senior military liaison officer acting as a point of contact with the African Union. The African Union’s attitude at the moment is still pathetic. It has overseen the placing of national armies under the control of AFRICOM and NATO forces. It lives under the constant threat of seeing the AFRICOM base move to Africa. It also accepts the resurgence of French and other military interventions and even condones recently-created military bases under Japan and China in Djibouti, Germany in Niger, Turkey, and Israel influences. All of these developments culminate in jeopardizing any real African integration. The prospect of an AFRICOM base in Africa, although still rejected by most countries on the continent, is attractive to a few. It has indeed become a fait accompli as the strategy of indoctrination, encirclement and diffusion progresses across the continent and as hotbeds of tension are maintained. Indeed, AFRICOM and NATO’s arrangements, as well as unilateral initiatives by some NATO countries such as France, are undertaken in the exclusive interest of the countries of the Core and their comprador allies in Africa. The sole purpose of these bases is to secure, in the long term and for their own purposes, our raw materials and our strategic space as a counter to the appetite of the powerful emerging BRIC countries (Brazil, Russia, India, China) and the prospect of our own unity.
None of the NATO countries needs such a large military base in Africa. Not only do they have several bases and facilities, but they go wherever they want on the continent, because of bilateral clauses and other related agreements. Most of the armies of African countries have been co-opted by the forces of imperialist states, their private militias and other security companies. These forces, moreover, are fueling, directly or indirectly, the terrorist peril that thrives in the breeding ground of underdevelopment.
The placing of our national armies, or what remains of them, under the command and supervision of foreign imperial forces, and AFRICOM spreading in Africa, as well as the resurgence of French and other military interventions, are undermining any real African integration. Africa is gradually being forcibly brought under the umbrella of NATO. AFRICOM is helping NATO and vice versa without any discernible nuances. Both AFRICOM and NATO are crisscrossing the continent, practicing a sophisticated policy that goes back a long way. The impediments to independence and the overthrow of progressive regimes; the failure to contain the fight against apartheid; the errors of US policy in Somalia and Sudan and its dealings with El Qaeda as well as the jihadist attacks before those of September 11 added to the so-called anti-terrorist policy that followed, are some of the significant historical events of this era.
Unfortunately, Africa is still subservient to imperialism. The integrated nebula of transnational firms, mainly American and Canadian, imposes its iniquitous economic conditions on African countries and “legalizes” the plundering of mineral resources to the detriment of Africa’s peoples.
However, the emergence of more dynamic African social formations, the bulimic appetite of China and India for resources, the arrival on the scene of no less important players such as Brazil, Qatar or Israel, are blurring the situation.
The failure of neo-liberalism, the consequences of three decades of monetary liberalization and the dismantling of areas of sovereignty are giving rise to a new logic of multipolar partnerships. It’s a South/South type of logic, which changes the geopolitical, economic and cultural terrain. Some countries’ debts are being wiped out; raw materials are being exchanged for infrastructure projects or business opportunities without imposing conditionalities, while OECD official development assistance is declining. In fact, it is now less than the remittances and various monetary transfers that African immigrants send home from abroad. This worries the economically weak but geopolitically dominant powers. They are therefore playing the military card to maintain their pre-eminence.

So, there is now a constellation of facilities in our countries rubbing shoulders with NATO, AFRICOM, logistics intelligence networks side-by side with the total co-option of our armies and political leaderships. With technological dependency and voluntary servitude of entire depoliticized or misinformed sections of our modern skirmishers, we are less prepared to resist these complex phenomena than when we were able to resist colonization in the twentieth century. Now Chinese market socialism is also being hit by bourgeois tendencies and the impulses of mandarin oligarchs concerned only with their own interests. But the oligarchs are nothing without the Chinese state. There is a delicate balance of power and a deafening internal struggle going on in China. If the pro-business trend triumphs, Africa will have to guard against what will then become an assertive social imperialism. For the time being, apart from economic hegemony and its voracity for raw materials, under pretext of defending its economic and commercial interests in the Gulf of Aden, China has just followed Japan’s military model. In Djibouti, on top of the bases of the French, Americans and Japanese, China has a logistical space in Obock, which is currently under American control. Whether it’s there or more likely somewhere else, it sets a dangerous precedent. The industrial free zone signed with Djibouti and the security of the new silk road on African soil raise up the geopolitical covetousness of imperialism on the continent another notch. At that time, China is more likely to join the centres of imperialism and in so doing violate the principles of its non-aligned and south-south discourse. China, until that occurs, could be seen as mainly defending what is inside its walls, while cognizant of its increased power and what fear that is causing around the world. China therefore seems anxious to reassure both imperialism and the countries of Africa, which for the time being can still benefit from this south-south exchange when intelligently practiced with the interests of the people coming first.
Given China’s insatiable appetite for mining and trade, the rapid changes brought about by the mutations of its bourgeoisie and the inflation of the hegemonic threat it might represent on the world stage, as trumpeted by the United States, Europe and Japan, it becomes difficult to read the future of its use of bilateral cooperation. The AFRICOM go home film shows precisely that having lost the economic battle to China, the countries of the triad are forced to impose the security and geopolitical agenda in order to gain access to their “safe haven”. China has meanwhile opened a military base in Africa, and the battle rages between those who still believe in internationalist cooperation in China and those who want to close this parenthesis and opt for greater liberalization of market socialism – or social-capitalism – and reinvigorate an exhausted capitalism.
In the Sahel, the French President is both concerned about French human and material losses, as well as the disaffection of popular support in the face of the duplicity of French policies and his desire to build a new international coalition in the Sahel. He has inherited a militaristic policy of rival administrations entangled in paternalistic visions of France overseas, combined with his own disparate Franco-African networks.
The opaque or unofficial networks feed each other macabrely which makes it possible to manage the quagmire that is the status quo. At the same time, those networks are also essential to the survival of the regimes of French-speaking Africa, and one can recall, for example, the exfiltration of Blaise Compaoré towards the Ivory Coast.
It makes sense for US and NATO forces to count on the allegiance of their African allies, to help silence social discontent and to redistribute so-called democratic roles. This has been the case since the end of the 19th century, but is now taking place in a more complex way with refinements of the geostrategy of the 21st century and the transnational networks of destabilization adding nuance to the situation. African countries are no longer mere pawns. They also have their own agenda and are not passive in the wider game of NATO, AFRICOM and other extra-African and transnational state actors.

The war on terror has done everything but get rid of terrorism. The alliances and tactics used by the USA and France serve their interests and nothing will change that. They are doing everything possible to counter their loss of influence or credibility and are determined to protect their interests differently by dividing up the risks of their past policies.
It is up to us pan-Africans to make a lucid analysis of our own interests. It is clear that today our allies, during this global war, are besieging us and ‘assisting’ us at the same time. We can also see that our countries, which have been bruised by market fundamentalism and the disengagement of the State from the economy within ridiculous margins of sovereignty, cannot be complacent about any aid offered, especially military and strategic aid. Libya stands as a stark illustration of the situation, in both its pre-colonial and colonial phase, in the assassination of Gaddafi and also in the ongoing war and partition of the country.

 

References :
[1] Warren Christopher: “[…] We would like to develop that force for use in various ways. Primarily, as a humanitarian concept at the present time, but also if the forces are there, trained, integrated and able to work together we have other options that we are completely deprived of, at the present time. George Moose, the assistant secretary for African affairs, has reported that his initial trip to Africa provided encouraging indications that African countries are prepared to supply the troops. We will consult with our European allies to see if they are prepared to help by providing the logistics and financial support […] at the same time, in each of the countries where I’ll be meeting with leaders, I’m going to be talking about the ACRF, urging them not only to contribute themselves, but also to urge other African leaders to participate”.

[2] Africa Pax, http://www.grila.org/index_grila.php?gri=org&org=231234&lang=fr Widerstand, Revolutionen, Renaissance: Stimmen zum sozialen Aufbruch in Afrika, Africavenir International, Berlin, p189

[3] The advocacy and awareness-raising work of the declaration Africom go home has been translated into 9 languages, which you can find on the website of the GRILA (Research and Initiative Group for the Liberation of Africa).

http://www.grila.org/index_grila.php?gri=org&org=231200&lang=en

[4] Africom Go Home, Foreign bases out of Africa https://youtu.be/-HLjrzVHWPM

Source: https://grila.org/index_grila.php?gri=org&org=231310&lang=en&fbclid=IwAR3vgWaCt5bGCIpa0FxJoSYnVTbfNOar8a3lyxIEl9okw96AF7Q7hJQ7l_A

QASEM SOLEIMANI MARTIRE DEL MONDO MULTIPOLARE E LA NUOVA GEOGRAFIA DELLA GRANDE GUERRA DEI CONTINENTI

14.01.2020

L’assassinio del generale Soleimani nel contesto dell’Apocalisse

L’assassinio del generale Qasem Soleimani, comandante delle forze speciali di Al-Quds del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, avvenuto il 3 gennaio 2020 per mezzo di missili americani, rappresenta un momento decisivo che segna una situazione completamente nuova nell’allineamento delle forze in Medio Oriente.

Nella misura in cui il Medio Oriente è lo specchio dei mutamenti globali nel panorama geopolitico mondiale, questo evento assume una dimensione ancora più ampia che interessa l’ordine mondiale nel suo complesso. Non è un caso che molti osservatori abbiano interpretato la morte del generale Soleimani, eroe della lotta contro l’ISIL in Siria e in Iraq, come l’inizio di una terza guerra mondiale o quantomeno di una guerra degli Stati Uniti contro l’Iran. L’attacco missilistico iraniano a due basi militari americane in Iraq l’8 gennaio 2020 sembra confermare questa analisi: la morte di Soleimani è il punto di inizio della «battaglia finale». È esattamente in questo modo che tale evento è stato percepito nel mondo sciita, dove le aspettative sulla fine del mondo e sulla venuta del Mahdi, il Salvatore promesso alla fine dei tempi, sono così forti da influenzare non solo la loro visione religiosa del mondo, ma anche l’analisi degli eventi politici e internazionali di tutti i giorni. Gli sciiti vedono la fine del mondo come una «battaglia finale» tra i sostenitori del Mahdi e i suoi avversari, le forze di Dajjal.

I sostenitori del Mahdi si ritiene siano i musulmani (sia sciiti che sunniti, ma con l’eccezione di correnti come i wahhabiti e i salafiti, riconosciuti come estremisti, «eretici» e «takfiri»), mentre Dajjal, l’anticristo islamico, è costantemente associato all’Occidente, in primo luogo agli Stati Uniti d’America. La maggior parte delle profezie sostiene che la battaglia finale avrà luogo in Medio Oriente e che il Mahdi stesso apparirà a Damasco. La figura del Mahdi può essere individuata anche tra i sunniti, ma se gli sciiti ritengono che tale figura coincida con l’apparizione dell’«imam nascosto» che rimane vivo ma «occultato» a tutt’oggi, i sunniti interpretano il Mahdi come il leader del mondo islamico che apparirà alla fine dei tempi per intraprendere una battaglia decisiva contro Dajjal, in cui la maggioranza dei sunniti vede la civiltà materialista e atea dell’Occidente moderno e, di conseguenza, l’egemonia americana come l’avanguardia più aggressiva dell’Occidente.

Questa regione è anche direttamente legata ad altri racconti apocalittici specifici di altre religioni. I religiosi israeliani (Haredim), per esempio, si aspettano l’arrivo del Messia in Israele, con il quale sarà ricostruito il Tempio di Gerusalemme, il Terzo Tempio. La comparsa di quest’ultimo è ostacolata dalla Moschea al-Aqsa, situata a Gerusalemme nel luogo dove si trovava il Secondo Tempio. Sette ebraiche estremiste, come i «Fedeli del Monte del Tempio», hanno ripetutamente tentato di costruire tunnel sotto il Monte Santo per far saltare in aria al-Aqsa. Ciò naturalmente conferisce al conflitto arabo-israeliano una dimensione particolare. A quanto si apprende, il generale assassinato Soleimani era a capo della divisione del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche chiamato «Al-Quds», che significa «Gerusalemme» e il cui obiettivo principale è quello di impedire agli israeliani di iniziare a costruire il Terzo Tempio, e di liberare la Terra Santa dai sionisti. Questo, a sua volta, secondo le credenze dei musulmani, dovrebbe avvenire proprio alla vigilia della fine dei tempi.

Negli Stati Uniti, un’enorme influenza viene esercitata da sette evangeliche estremiste che, nello spirito del «sionismo cristiano», interpretano gli eventi della politica mediorientale come un preludio alla «Seconda venuta di Cristo», dove i «nemici di Cristo» sono considerati essere gli «eserciti del Re Gog» del «Paese del Nord», che gli evangelicalisti tradizionalmente associano alla Russia. La Russia, infatti, sta operando attivamente in Siria e sta rafforzando la sua influenza in tutta la regione.

Se mettiamo tutto questo insieme, il quadro che ne esce appare estremamente nefasto: l’assassinio di Soleimani ricade in un contesto di aspettative apocalittiche e viene interpretato da molti come il punto di partenza dell’Armageddon, o per lo meno come un analogo dell’assassinio dell’arciduca Ferdinando a Sarajevo che ha innescato la prima guerra mondiale.

Così, l’assassinio del generale Soleimani e gli attacchi di ritorsione dell’Iran contro le basi americane costituiscono eventi estremamente radicali, carichi di significati fondamentali e gravidi di conseguenze difficili da prevedere.

Multipolarismo contro Unipolarismo

Data l’ampiezza del significato degli eventi che si sono già verificati all’inizio del 2020, è importante iniziare la loro analisi tenendo presente il più ampio contesto generale. Tale contesto è definito dal passaggio del sistema mondiale dal mondo unipolare formatosi alla fine del XX secolo sotto il dominio inequivocabile dell’Occidente (nello specifico degli Stati Uniti) a quello multipolare, i cui contorni sono diventati sempre più chiari in relazione al ritorno sull’arena storica della Russia di Putin come potenza sovrana e indipendente e al deteriorarsi delle relazioni sino-americane fino alla guerra commerciale.

Nella sua campagna elettorale del 2016, lo stesso presidente Trump aveva promesso agli elettori che avrebbe rifiutato l’interventismo e avrebbe limitato le politiche neoimperialiste e globaliste, cosa che lo aveva reso un potenziale sostenitore della transizione pacifica verso il multipolarismo. Ma con la sua decisione di assassinare Soleimani, Trump ha completamente negato questa possibilità e ha confermato ancora una volta il posizionamento degli Stati Uniti nel campo di quelle forze che combatteranno disperatamente per preservare il mondo unipolare. In queste azioni, alle spalle di Trump, hanno fatto capolino i neoconservatori americani e i sionisti cristiani che conducono gli eventi verso la battaglia finale. Ma questa battaglia – che inizi ora o in un secondo momento – si svolgerà già in nuove condizioni: i successi della Russia nella politica internazionale, l’impressionante ascesa dell’economia cinese, così come il graduale riavvicinamento tra Mosca e Pechino hanno reso il mondo multipolare una realtà, presentando così a tutti gli altri Paesi e civiltà – compresi quelli grandi come l’India così come leader regionali quali l’Iran, la Turchia, il Pakistan, i Paesi del mondo arabo, ma anche l’America Latina e l’Africa – la possibilità di decidere la propria posizione in questa costruzione antagonista: o posizionarsi (rimanere) come satelliti dell’Occidente (cioè giurare fedeltà all’agonizzante unipolarità), o schierarsi dalla parte del mondo multipolare e cercare il proprio futuro in questo contesto.

Il suicidio di Donald Trump 

Una situazione fondamentalmente nuova si è venuta a creare intorno ai tragici eventi in Iraq del 3 gennaio 2020: il generale Soleimani, assassinato dagli americani, costituiva una componente organica del mondo multipolare e rappresentava in questo equilibrio di forze non solo la Guardia Rivoluzionaria Islamica o addirittura l’Iran nel suo complesso, ma tutti i sostenitori del multipolarismo. Al suo posto avrebbe potuto benissimo esserci un soldato russo accusato infondatamente dagli Stati Uniti di aver partecipato alla riunificazione con la Crimea o al conflitto nel Donbass, un generale turco che ha dato prova di sé nella lotta contro i terroristi curdi, o un banchiere cinese macchiatosi di gravi danni al sistema finanziario americano. Soleimani era una figura simbolica del multipolarismo, ucciso dai sostenitori dell’unipolarismo in spregio a qualsiasi norma del diritto internazionale.

Decidendo di liquidare Soleimani, Trump ha agito dalla posizione di forza puramente unipolare – «così ho deciso, così sarà» – senza tener conto delle conseguenze, del rischio di guerra, o delle proteste di tutte le altre controparti. Come i precedenti presidenti statunitensi, Trump ha agito secondo la seguente logica: esclusivamente gli Stati Uniti possono da soli etichettare i «cattivi» o i «buoni» e agire nei confronti dei «cattivi» come meglio credono. Teoricamente, Putin, Xi Jinping o Erdogan potrebbero benissimo essere considerati «cattivi», e allora l’unica domanda sarebbe se sono in grado di difendersi con i mezzi di difesa a loro disposizione, anche contro i colpi di stato (come quello che ha già affrontato Erdogan) o le «rivoluzioni colorate» (che l’Iran si trova costantemente a fronteggiare e che, con l’aiuto della «quinta colonna» dei liberali, l’Occidente cerca continuamente di incitare in Russia). Trump stesso aveva criticato in modo convinto e severo tali politiche da parte delle precedenti amministrazioni, sia repubblicane che democratiche, ma nel decidere di assassinare Soleimani, ha dimostrato di non essere diverso da loro.

Quello che stiamo vivendo è un momento molto importante nella transizione dall’unipolarismo al multipolarismo. Trump rappresentava la speranza che questa transizione potesse realizzarsi pacificamente, nel qual caso gli Stati Uniti non sarebbero stati il nemico di tale passaggio, ma un suo partecipante a pieno titolo, una posizione che avrebbe teoricamente permesso loro di rafforzare significativamente il proprio ruolo di forza di primo piano nel contesto della multipolarità e di assicurarsi un posto privilegiato nel club multipolare nel suo complesso. Queste speranze si sono frantumate il 3 gennaio 2020, dopo di che Trump è diventato un normale presidente americano come tutti gli altri – né peggiore, né migliore. Egli ha confermato lo status degli Stati Uniti di un agonizzante drago imperialista folle, malvagio e ancora pericoloso, ma che non ha alcuna possibilità di evitare la «battaglia finale». A seguito di ciò, Trump ha cancellato sia il suo futuro che quello degli Stati Uniti come polo nel mondo multipolare. Così facendo, ha firmato la condanna a morte dell’America nel futuro.

Per il mondo multipolare in via di consolidamento, gli Stati Uniti non sono più un soggetto del processo, ma un oggetto, proprio come Trump, assassinando Soleimani, ha trattato non solo Teheran ma anche Baghdad, Ankara, Mosca e Pechino come «oggetti» rappresentanti meri ostacoli al rafforzamento dell’egemonia americana. Questo significa guerra, dal momento che lo scontro tra unipolarismo e multipolarismo è una battaglia per lo status di soggetto. Oggi non possono esserci due soggetti di questo tipo; può essercene uno solo, come Trump ha cercato di ribadire, o più di due, il che è alla base delle strategie della Russia, della Cina, dell’Iran, della Turchia e di tutti gli altri attori che accettano il multipolarismo.

Il successo delle potenze multipolari e il nuovo equilibrio di forze: la fine dell’America

Questa analisi dell’equilibrio globale delle forze rende estremamente più nitida l’intera struttura della politica mondiale, perché riporta la situazione indietro alla politica nello spirito di George W. Bush, Obama o Hillary Clinton. Trump, che scherniva in modo così sarcastico Hillary, oggi è apparso nei panni nel ruolo di sanguinaria strega globalista. Ma gli eventi degli ultimi anni – il rafforzamento delle posizioni della Russia in Medio Oriente e i suoi successi particolarmente rilevanti in Siria, il riavvicinamento di Russia e Cina e la convergenza tra il progetto di integrazione One Belt One Roadcon la strategia eurasiatica di Putin, e persino i precedenti passi di Trump volti ad evitare uno scontro diretto che ha permesso il rafforzamento delle forze multipolari nel Mediterraneo (dove il ruolo più importante è stato giocato dal riavvicinamento delle posizioni tra Putin ed Erdogan) – hanno già cambiato in modo irreversibile l’equilibrio delle forze. In primo luogo, questo vale per il territorio strettamente adiacente al regno dell’Armageddon come unanimemente, seppur con segni diversi, viene riconosciuto da ogni tipo di apocalittismo politico.

Lo sviluppo degli eventi che inevitabilmente seguiranno all’assassinio del generale Soleimani vedrà la contrapposizione tra, da un lato, gli Stati Uniti e l’Occidente a fianco dei loro mandatari regionali come Israele, l’Arabia Saudita e alcuni Stati del Golfo, e dall’altro le potenze multipolari di Russia, Cina, Iran, Turchia e altri, portarsi ad un nuovo livello. Gli Stati Uniti stanno usando la politica delle sanzioni e della guerra commerciale contro i loro avversari in modo tale che una percentuale sempre maggiore dell’umanità sta finendo sotto le sanzioni americane, e non solo in Asia, ma anche in Europa, dove le aziende europee (soprattutto quelle tedesche) sono state sanzionate per la partecipazione al progetto Nord Stream. Questa è una manifestazione dell’arroganza dell’egemonia americana, che tratta i suoi «sostenitori» come lacchè e li gestisce mediante punizioni fisiche. Gli Stati Uniti non hanno amici, hanno solo schiavi e nemici. In questo stato, la «superpotenza solitaria» si sta dirigendo verso uno scontro, questa volta virtualmente con tutto il resto del mondo. Ad ogni occasione, gli «schiavi» di oggi cercheranno, indubbiamente, di sottrarsi all’inevitabile resa dei conti per il loro collaborazionismo unipolare.

Washington non ha imparato alcuna lezione dalla volontà del popolo americano che ha eletto Trump. Il popolo non ha votato a favore della continuazione delle politiche di Bush/Obama, ma contro di esse, per il loro radicale rifiuto. Le élite americane (e, più in generale, quelle globaliste) non ne hanno tenuto conto, liquidando invece il tutto come macchinazioni di «hacker russi» e «blogger». E ora, con Trump che ancora una volta tende parzialmente la mano verso l’aggressiva élite globalista che ha perso ogni senso di razionalità, alla «maggioranza silenziosa» americana non rimane che una opzione: voltare totalmente le spalle al governo americano. Se anche Trump ha finito per diventare un giocattolo nelle mani dei globalisti, allora questo significa che i metodi legali di lotta politica si sono esauriti. In una prospettiva di medio termine, l’assassinio del generale Soleimani si ripercuoterà nell’inizio di una vera e propria guerra civile negli stessi Stati Uniti. Se nessuno esprime la volontà della società, allora la società stessa entrerà in una speciale modalità di sabotaggio passivo. Se non Trump, se il popolo americano, nello spirito delle sue tradizioni culturali e politiche, sceglie il multipolarismo, allora esso non starà con lo Stato, ma contro lo Stato «dirottato» dall’élite globalista che nemmeno la prima persona della Casa Bianca è in grado di contrastare. L’assassinio di Soleimani significa la fine dell’America.

Il campo unipolare è in profonda crisi 

I partner europei degli Stati Uniti non sono affatto pronti a un brusco scontro con il club multipolare. Né la Merkel, che ha ricevuto un altro schiaffo per il Nord Stream, né Macron assediato dai Gilet Gialli e che ora capisce in un modo o nell’altro che il populismo dovrà essere affrontato (da qui la sua «posizione speciale» nei confronti della Russia e i progetti per la creazione di un esercito europeo), né Boris Johnson, che è appena riuscito a strappare la Gran Bretagna dalla palude soffocante dell’UE liberale (ed è difficile che possa scambiare così rapidamente la sua duramente conquistata, seppur relativa sovranità, con una nuova schiavitù in favore dei pazzi americani che hanno perso ogni senso di realismo), stanno bruciando dalla voglia di buttarsi nel fuoco di una terza guerra mondiale, alimentata da Washington, e di esservi inceneriti senza lasciare traccia. La Nato si sta sgretolando davanti ai nostri occhi attorno alla Turchia, che non sostiene più gli Stati Uniti in pressoché tutto il Medio Oriente o nel Mediterraneo orientale (che i turchi chiamano la «Patria blu», Mavi Vatan), ovvero la propria area di controllo sovrano. Altrettanto incondizionato e completamente irrazionale – o, si potrebbe dire, disperato e persino provocatorio – è il sostegno di Washington a Israele nel minare le relazioni con il mondo arabo e, più in generale, con il mondo islamico. Allo stesso tempo, Trump sta ridimensionando l’alleanza degli Stati Uniti con l’Arabia Saudita ad un accordo finanziario, che non costituisce una base promettente per una vera e propria alleanza, per la quale gli Stati Uniti sono del geneticamente tutto incapaci.

Così, gli Stati Uniti stanno entrando in una terza guerra mondiale tra l’agonizzante unipolarismo e un multipolarismo in costante irrobustimento, in condizioni molto peggiori anche rispetto a quelle della precedente amministrazione. In queste circostanze, Trump deve ancora farsi rieleggere, mentre chi lo ha spinto a uccidere Soleimani cercherà ugualmente di farlo fuori per esserne stato responsabile. Dopo l’assassinio di Soleimani, sia la guerra che la pace non fanno che minare la posizione di Trump. L’assassinio di Soleimani è stata una decisione fatale che lo distruggerà. Anche le posizioni di quei populisti di destra europei che hanno sostenuto questo gesto suicida di Trump sono state sostanzialmente indebolite. Il punto non è nemmeno che hanno scelto di schierarsi dalla parte dell’America, ma che si sono schierati a favore del moribondo unipolarismo – e questo può rovinare chiunque.

Le nuove prospettive del mondo multipolare

In questo contesto, i Paesi che sono stati oggetto di sanzioni, in primo luogo la Russia, la Cina e lo stesso Iran, hanno già imparato a vivere in queste condizioni e hanno risposto con lo sviluppo delle proprie armi strategiche (Russia), della propria struttura economica (Cina, anche al di là del proprio territorio nel contesto dell’enorme spazio coinvolto nel progetto One Belt One Road), dell’energia indipendente (Iran) e della geopolitica regionale indipendente (Turchia). Ora non resta che ridistribuire le carte vincenti più forti tra i membri del club multipolare, e il multipolarismo diventerà un avversario veramente serio e relativamente invulnerabile. Più forte sarà questo avversario, maggiori saranno le possibilità di evitare una terza guerra mondiale nella sua fase calda e di aspettare il crollo dell’unipolarismo, che verrà inevitabilmente da sé.

Alcune delle conseguenze dell’assassinio del generale Soleimani sono già chiare. L’Iran ha dichiarato il Pentagono un’organizzazione terroristica alla stessa stregua dell’ISIL, e questo significa che ciò che è successo al generale Soleimani potrebbe accadere a qualsiasi soldato americano. Non essendoci stata risposta all’attacco missilistico contro le basi americane in Iraq, l’Iran avrà piena fiducia nella sua efficacia di combattimento e comincerà a sviluppare armi con rinnovato vigore, contando soprattutto sulla Russia. È importante che in queste circostanze l’Iran abbia già dichiarato il suo ritiro dal trattato sul suo sviluppo di armi nucleari – dopo tutto, non ha nulla da perdere. Un altro Stato islamico, il Pakistan, ha già armi nucleari. Così come le possiede un altro antagonista regionale dell’Iran: Israele. Teheran non ha più motivo di trattare ulteriormente con coloro che considera ufficialmente «terroristi».

Importante è anche la posizione dell’Iraq, dove gli sciiti costituiscono la maggioranza. Per tutto il mondo sciita, il generale Qasem Soleimani era un eroe indiscusso. Da qui la richiesta del parlamento iracheno di ritirare immediatamente tutte le truppe americane dal territorio del Paese. Naturalmente, una decisione parlamentare democratica non è assolutamente sufficiente per i cinici assassini americani – essi andranno ovunque lo riterranno necessario e ovunque avranno qualcosa da guadagnare. Ma questo significa l’inizio di una mobilitazione generale antiamericana della popolazione irachena – non solo degli sciiti, ma anche dei sunniti, che sono radicalmente antiamericani (da qui il motivo per cui molti sostenitori sunniti di Saddam Hussein si sono uniti all’ISIS, credendo di combattere contro gli americani con cui gli sciiti erano arrivati a stringere un accordo). Ora tutti, sia gli sciiti iracheni che i sunniti iracheni, chiedono il ritiro delle truppe americane, poiché ormai praticamente tutta la popolazione dell’Iraq, esclusi alcuni curdi che gli Usa hanno a loro volta di recente cinicamente tradito, è pronta a iniziare una lotta armata contro gli occupanti. Questo è già molto, ma l’Iraq potrebbe contare nella sua guerra antiamericana anche sulla Russia e in parte sulla Cina, che insieme rappresentano le colonne portanti del multipolarismo, oltre che sull’Iran e sulla Turchia.

In questa situazione, la posizione della Russia è fondamentale: da un lato, la Russia non è coinvolta in contrasti regionali tra Stati, etnie e correnti religiose, il che rende la sua posizione obiettiva e la sua aspirazione alla pace e al ripristino della sovranità dell’Iraq sincera e coerente; dall’altro, la Russia detiene un livello significativo di armamenti per sostenere la guerra per la libertà e l’indipendenza degli iracheni (come è stato fatto in Siria, dove la Russia ha dimostrato tutta la sua efficacia, o come sta accadendo ora in Libia). L’Iraq sta diventando la principale arena della politica mondiale, e ancora una volta abbiamo a che fare con una civiltà antichissima, con il cuore del Medio Oriente, con quella terra che, secondo la geografia biblica, un tempo era «il paradiso in terra» e oggi è stata trasformata nel suo opposto.

Ora, la cosa più importante in queste circostanze è approfittare di quello che, da un punto di vista globale, potrebbe essere considerato «l’errore fatale di Trump». L’assassinio del generale Soleimani non migliora la posizione degli Stati Uniti, ma esclude uno scenario pacifico di transizione verso la multipolarità e priva Trump di qualsiasi possibilità di successo per la riforma a lungo termine della politica americana. La situazione di Israele, tenuto in ostaggio da un odio totale verso tutti i popoli circostanti, sta diventando estremamente problematica. Nel momento in cui l’esistenza di Israele non dipende da un complesso equilibrio di forze, ma da un solo campo che sta rapidamente perdendo il suo predominio, la sua situazione diventa estremamente rischiosa. Israele, in quanto progetto troppo avventato e pseudo-messianico creato da nazionalisti filo-occidentali che hanno deciso di non aspettare il Messia ma di sostituire il suo arrivo con il loro volontarismo, rischia di cadere vittima della morte dell’ordine mondiale unipolare – e per questo deve «ringraziare» Trump e l’estrema destra israeliana che lo ha spinto verso tali passi suicidi.

La Russia è perseverante e vincente 

E la Russia? La Russia non aveva alcuna fretta di schierarsi inequivocabilmente dalla parte dell’Iran, mentre nello stesso Iran una parte dell’élite preferiva negoziare con gli Stati Uniti ed evitare il riavvicinamento a Mosca. In entrambe le potenze, Russia e Iran, la «sesta colonna» ha agito in tandem nel tentativo di rompere con ogni mezzo l’asse Mosca-Teheran e impedire una stretta alleanza russo-sciita che, nonostante tutto, ha preso forma in Siria, dove gli iraniani (sotto il generale Soleimani) e i russi hanno combattuto fianco a fianco contro estremisti che oggettivamente fanno il gioco del mondo unipolare. Tali tentativi continueranno sicuramente, e i globalisti cercheranno di usare la «quinta colonna» in Iran in una strategia di «rivoluzione colorata» volta a rovesciare i conservatori e a far sprofondare il Paese nel caos della guerra civile. L’Occidente è certamente pronto a scatenare lo stesso scenario anche in Russia, e questo sta diventando sempre più rilevante man mano che ci avviciniamo alla fine dell’ultimo mandato di Putin, il quale rappresenta la principale promessa di una politica sovrana e multipolare della Russia.

Il mondo unipolare è condannato, ma sarebbe sciocco sperare che esso si arrenda senza combattere. Inoltre, l’assassinio del generale Soleimani esclude uno scenario pacifico per il futuro, poiché non ci si può più aspettare che Trump e Washington acconsentano volontariamente a questo mutamento dell’ordine mondiale e, di conseguenza, accettino di riconoscere la soggettività di qualsiasi potenza al di fuori degli Stati Uniti.

L’unica cosa che resta alle potenze del mondo multipolare – Russia, Cina, Iran, Turchia, Iraq e tutti gli altri – è di spingere tutti coloro che si oppongono disperatamente al multipolarismo ad accettarlo. Dopo tutto, questo non significa costringere nessuno ad accettare la dominazione russa o cinese. È proprio questo che differenzia il multipolarismo dall’unipolarismo. Il mondo multipolare lascia a tutti il diritto di costruire la società che vogliono con i valori che scelgono. Qui non esistono criteri universali; nessuno deve niente a nessuno se non il rispetto del proprio diritto a consolidare la propria identità, a costruire la propria civiltà (che piaccia o meno a qualcuno) e a partecipare al proprio futuro (non a quello di qualcun altro). Le spinte verso la multipolarità sacrificano solo il mondo unipolare, l’egemonia americana, l’ideologia liberale totalitaria e il suo sistema capitalistico intesi come universali. L’Occidente può rimanere liberale e capitalista quanto vuole, ma i confini di questa ideologia e di questo sistema economico, così tossici per le altre culture, dovrebbero essere rigorosamente delimitati. Ecco a cosa è finalizzata la lotta in corso – la lotta in nome della quale il martire del mondo multipolare, l’eroe della Resistenza, il grande generale iraniano Qasem Soleimani, ha dato la vita.

Traduzione di Donato Mancuso

Preso da: https://www.geopolitica.ru/it/article/qasem-soleimani-martire-del-mondo-multipolare-e-la-nuova-geografia-della-grande-guerra-dei

Fighting the Invisible Enemy: Imperial Fascism, Not Covid-19

Lauren Smith

What could possibly be a better way to usher in a racist New World Order, that’s hell-bent on population control, than an invisible enemy that gets nearly everyone to gladly jail themselves, fear physical contact with their family, friends, and neighbors, and that disproportionately kills the impoverished and African Americans?

What could possibly be a better way to bail out Wall Street’s failing repurchasing (repo) market, increase surveillance on a more granular level, and mandate an experimental global vaccination program that’s eagerly awaited even though it’s spearheaded by Bill Gates, the second richest man in the world, whose major concern is ending overpopulation in predominately non-white populations?

What could possibly provide wide enough cover to desensitize all to the massive troop buildup in Europe that encircles Russia, and the deployment of warships that threaten Venezuela, Iran, and China with invasion, and that ratchets-up its criminal economic sanctions against the most vulnerable people in these respective countries and 36 others under the hypocritical ruse that these measures are really to protect them?

What could possibly be a more effective way to accomplish repatriation, seal borders, discourage protest, and position the United States into perfect alignment for WWIII? If you’ve correctly answered imperial fascism 2020, you’ve won, they’ve lost, and the resistance takes a quantum leap forward. At minimum, one could convincingly argue that the arrival of COVID-19 is fortuitous for certain economic sectors within the United States. For even if COVID-19 is not perceived as a U.S. bioweapon, Washington is undeniably its pimp.

BIOWEAPONS

While most activists organize based on COVID-19 being a natural event that’s exacerbated by rabid industrialization, and that it reveals the unequivocal failure of the capitalist system to provide for its people – a very strong unifying argument on its own volition – some venture to argue COVID-19 is a bioweapon that originated in U.S. labs, believing it was first released in China, Iran, and Italy. Yet, others say it was first released in the U.S. in Wisconsin last summer and its ravages were wrongly attributed to it being a deadly reaction to vaping. In hindsight, it can be argued that the flu-like symptoms; ground-glass opacities visible in lung CT scans; and deaths of EVALI patients are eerily similar to those found in COVID-19 cases.

Consider that Wisconsin, the center of the EVALI outbreak, had a biosafety-3 lab that was caught in 2007, by a watchdog group, doing biosafety-4 experimentation with Ebola. This occurrence demonstrates the lack of oversight by the National Institutes of Health (NIH), the University of Wisconsin, Madison, and the CDC. Subsequently, the researcher, Yoshihiro Kawaoka, invented a genetically altered virus, based on H5N1, an avian influenza strain, that allows transmission between ferrets, the animal that most closely mimics the human response to flu. Another researcher was doing similar work in the Netherlands.

Scientists believe it’s likely that the pathogen, if it emerged in nature or were released, would trigger an influenza pandemic, quite possibly with many millions of deaths.”

Since this possibility was unnerving to many scientists at the time, it resulted in Kawaoka’s work being halted in 2014. However, in 2019, he was allowed to resume the research. Studies like this that have a potential public health benefit (i.e. vaccine development) but could also be useful for nefarious purposes like biowarfare or bioterrorism and are referred to by scientists as dual-use research.

So, no matter how you spin it, a pandemic based on bat soup is a hard sell – despite how many times it’s repeated in the news media. It’s like 9/11. No one’s really sure what happened, but the official story is patently unbelievable to anyone not suffering from cognitive dissonance.

Overall, it’s stunning to read how the scientific community marvels at the ability of influenza type viruses to cause pandemics, because unlike Ebola people don’t die-off within days of exposure but productively transmit the airborne pathogen for two weeks undetected when asymptomatic.

Influenza is usually transmitted by direct contact but can also be transmitted by aerosol (e.g. on a passenger plane). Indeed, international transmission is increasingly frequent. Notably, aerosol transmission of influenza requires up to 27,000 times fewer virions to induce equivalent disease. Taken together with the fact that the influenza virus is readily accessible and may be causing more deaths than previously suspected, the possibility for genetic engineering and aerosol transmission suggests an enormous potential for bioterrorism.”

Some of the more fascinating discussions in the scientific community involve ethical issues with gain-of-function experimentation. Gain-of-function research involves genetic manipulations that expand the adaptability and/or virulence of a given pathogen.

Ralph Baric, an infectious-disease researcher at the University of North Carolina at Chapel Hill, last week (November 9) published a study on his team’s efforts to engineer a virus with the surface protein of the SHC014 coronavirus, found in horseshoe bats in China, and the backbone of one that causes human-like severe acute respiratory syndrome (SARS) in mice. The hybrid virus could infect human airway cells and caused disease in mice, according to the team’s results.”

Other interesting discussions involve the resistance of certain DNA and blood types to particular infections and the sensitivity of others:

One of the reasons COVID-19 can be so fatal to some people is because of their bodies elicit an overzealous immune response called a cytokine storm, which may originate in their DNA. A small study of patients who died from the 2009 H1N1 flu outbreak found that many carried mutations that triggered this self-destructive flood of cytokine molecules. Results from studies on the genetics of COVID-19 susceptibility and severity are beginning to trickle in. One study suggests that variants in the HLA genes likely play a role. Others point to differences in the ABO blood type, as well as variants in the ACE2 gene, which codes for the protein SARS-CoV-2 latches onto to infect human cells. But the findings are all preliminary and require follow-up with larger datasets.”

Also noted by scientists are the distribution of similar DNA and blood types to particular geographical regions and ethnic groups which could potentially enable effective targeting.

Rather than specifically triggering the toxic effects of organisms such as anthrax, the Sunshine project warned that weapons based on a new medical technique called RNA interference could shut down vital genes. If the sequence of the target gene varies between two different populations the technique could be used to interrupt key body functions in one population and not the other. If as little as 10% or 20% of a target population would be affected, this would wreak havoc among enemy soldiers on a battlefield or in an enemy society as a whole, the group said.”

Many activists discussed the U.S. unabashed proclivity for using biological weapons against its foreign enemies, especially Cuba and even testing these weapons out on its prisoners, orphans, military personnel, and civilians in both rural and urban settings.

U.S. commerce secretary, Wilbur Ross, glibly remarked in January that the COVID-19 epidemic in China would be positive for the U.S. economy. Some cynical journalists believe Wuhan was a good spot for release because any genetic modifications revealed in its sequence could later be blamed on Wuhan’s biosafety level-4 lab, thus achieving plausible deniability the CIA’s operational hallmark.

Moreover, any blowback to the U.S. from the release of COVID-19 could be used to whip-up the gullible into believing that the virus was a plot by the Chinese Communists against Trump’s America when in fact all economic, political and social indicators show that China is eclipsing the United States. China didn’t need to shoot itself in the lung in Wuhan to take out the United States, Washington’s failing repo market, militarism, and unique brand of gangster capitalism already did the work.

As of November 2019, the U.S. debt to China was $1.09 trillion. That’s 16% of the total public debt owned by foreign countries. Many are concerned that this gives China political leverage over U.S. fiscal policy and worry about what would happen if China started selling its Treasury holdings. It also would be disastrous if China merely cut back on its Treasury purchases. By buying Treasurys, China helped keep U.S. interest rates low. If China were to stop buying Treasurys, interest rates would rise. That could throw the United States into a recession.”

BIOMETRICS

While the designing of pathogens to attack particular DNA and blood types, remains top-secret, what’s not is Washington’s extensive efforts to collect biometric data from diplomats worldwide that include DNA samples. Without question, these efforts have been met with considerable resistance and suspicion.

Russia has raised its concerns over attempts by the U.S. military to collect DNA samples from Russian nationals, noting the potential use of such biological samples for the purpose of creating new genetic warfare weaponry.”

Domestically, the Intelligence Community has made it a stated goal to collect DNA widely but discourages its personnel from taking “at home” DNA tests because these tests can compromise security.

Russia, China, and Iran have made claims that COVID-19 is a bioweapon that was released by the U.S. during training exercises in Wuhan in October. And they have pointed out that the early pattern of COVID-19 cases showed a massive geographical leap from China to Iran and Italy – countries Washington has threatened and targeted with economic sanctions. While Italy was a surprise to many, others understood their trade with China to be a point of contention in Washington.

GLOBAL CLASS WARFARE

Either way, all respected activists see the vulnerability of the impoverished and African Americans to COVID-19 as a function of a domestic & foreign policy that’s rooted in slavery and exploitation. So, no matter how COVID-19 arrived, it’s time to understand its appearance as an unprecedented opportunity to unleash class warfare on a global scale.

Despite the CIA’s longstanding and pervasive operations Gladio and Condor, and Trump’s political strategist Steve Bannon’s promotion of U.S. imperial fascism throughout Europe and Latin America, massive grassroots protests erupted in France, Chile, Columbia, Brazil and Argentina against neoliberal policies, fascist governments and austerity measures in 2019. What hasn’t been seen is massive protests in the United States since the invasion and occupation of Iraq in 2003.

But, given the Intelligence Community’s stranglehold over the news, social media, and Hollywood style productions through operation Mockingbird and its actual infiltration now into the corporate and alternative news media as writers and newscasters, this is no surprise. Moreover, the Intelligence Community actively continues COINTELPRO against dissidents, especially African Americans and Environmentalists and has a long-standing symbiotic relationship with religious organizations. Yet, despite extrajudicial killings, lawfare jailings and persecutions of resistance leaders worldwide such as the bounty placed on the sitting elected president of Venezuela, Nicolas Maduro, it’s an accomplishment that protest and independent new media remain inextinguishable. This is a clear victory and not to be underestimated.

RESISTANCE

While the resistance doesn’t have a cohesive global movement under one leader, what it’s achieved is a patchwork quilt of independent activist groups. It can be argued that this is its strength and makes it more difficult to infiltrate and eradicate. The only vulnerability remains typical COINTELPRO type sabotage such as infighting, competition, and identity politics. Since all dissidents bleed red blood irrespective of gender, race, color, creed, and sexual orientation and preference, and view each other as comrades and companeros, the movement will advance. When party platform differences are placed aside and the imperial enemy is clear, resistance is unstoppable.

Activist, educator, and co-host of WBAI’s Voices of Resistance program, Lucy Pagoada-Quesada explains that no matter what obstacles are put in the resistance’s path, the solution is always “organize, educate and mobilize”. Many activist groups follow this playbook faithfully to great success. Through webinars, educational forums are becoming membership drives and effective calls to actions despite COVID-19 restrictions on assembly and movement.

Through webinars, political economy is taught by the Party for Socialism & Liberation; labor history is taught by Workers World; and, Struggle LaLucha, teaches about Vladimir Lenin and unites essential workers from different economic sectors in actions; Ajamu Baraka, the national organizer and spokesperson for The Black Alliance for Peace (BAP), explains the connection between domestic and global issues and leads actions that protect Venezuela and Iran from military invasion and economic sanctions – critical situations that are concealed by the pandemic’s hype

CODE PINK hosts “WTF is Going on in Latin America”, which provides ongoing critical news coverage that shows resistance to Washington’s imperial fascism. Co-founder, Medea Benjamin’s reports from the front-lines in Bolivia during Washington’s backed white nationalist fascist coup against indigenous president Evo Morales were invaluable, and CODE PINK’s campaign to Divest from the War Machine is not to be missed.

Tangible results from webinars and outreach involve support for communities through mutual-aid as well as the organizing of strikes and car caravans to free prisoners and ICE detainees; defend workers, and put rent payments on hold. Sara Flounders, writer and organizer with the International Action Center, Workers World Newspaper and SanctionsKill.org, says she’s “extremely busy coordinating webinars and car caravans lately.” A car caravan is scheduled for International Workers Day (May 1) in NYC, the epicenter of COVID-19 in the United States. It will conclude at Governor Cuomo’s Manhattan office.

Cooperation Jackson’s called for a general strike on May 1.

A Call to Action: Towards a General Strike to End the COVID-19 Crisis and Create a New World, provides the rationale and the broad demands that Cooperation Jackson says must ground the strike. The overall principle and strategic goal of the action is that the people must make demands that will transform our broken and inequitable society, and build a new society run by and for us – the working-class, poor, oppressed majority.”

Kevin Zeese, co-director of Popular Resistance, speaks about the importance of strikes, seeing the one scheduled for May 1 as the beginning:

The General Strike campaign will be ongoing with actions on the first of every month…This new era of mass strikes builds on successful strikes by teachers, healthcare workers, hotel workers, and others.  According to the Bureau of Labor Statistics, in the last two years, there has been the largest number of major work stoppages in 35 years with more than 400,000 workers involved in strikes in both 2018 and 2019. This continues in 2020 with a wave of wildcat strikes. Striking is the most powerful tool of the people. United action magnifies popular power and shows those in power that they cannot ignore us any longer.”

Many voters dissatisfied with the United States’ corporate party duopoly, and/or still reeling from the recent loss of the campaigns of Bernie Sanders and Tulsi Gabbard, are actively engaged and now seeking to support socialist candidates such as Gloria La Riva & Leonard Peltier and those offered by the Green Party. Many believe this is a critical time for third party candidates to gain ballot access throughout the United States at all electoral levels. Will third party candidates win the presidency? Probably not, but they raise bread & butter issues and unite constituencies that resist neoliberal economic policies and fascism both nationally and internationally. Additionally, incremental change at the local level can’t be underestimated.

ROLE OF INTELLIGENCE COMMUNITY DEFECTORS

Activist groups know this is not a time for exclusivity and nitpicking, this is a time to adopt the well-known adage “the enemy of my enemy is my friend.” By focusing on commonalities, imperial fascism and its deep state intelligence community lackeys can be defeated. COVID-19 shows the world that the system is totally out of control and must be stopped by any means necessary. Activists recognize that former intelligence community members and military personal have undermined the opposition with their heroism and truth-telling. Shining examples of whistleblowers are Philip Agee, John Kiriakou, Edward Snowden, and Chelsea Manning. In NYC, The Big Apple Coffee Party has taken the lead in defending journalist, Julian Assange, and whistleblower, Chelsea Manning.

ROLE OF THE RULING ELITE

While COVID-19 certainly benefits members of the ruling elite that are most vested in the military-industrial complex, fossil fuel, financial and pharmaceutical industries, and its tech titans, it doesn’t benefit them all and some may not believe the end justifies the means when it comes to pandemics. The ruling elite might agree on bottom-line benefits, but power is never static. Jockeying for position reveals exploitable fissures. Capitalism remains, even at the highest echelons, a zero-sum game that is inherently cannibalistic by its contradictions – as evident by the fight between Amazon and Microsoft for the Pentagon’s Jedi cloud contract – a contract that reads like the premise of the Hollywood blockbuster movie Terminator. These contradictions are now ripe for weaponization.

While the proletariat and underclass are not surprised by the ravages of COVID-19 against them in an intrinsically unjust sociopolitical economic system, the pandemic has now demonstrated to the petty-bourgeois and even the bourgeoisie itself that quarantines are no party; essential workers are essential; all the best restaurants are closed; and now their maid, driver or sex-slave’s cough can kill them. And, it’s a real drag to find a country that allows a jet to land these days. Dissidents within the ruling elite can join the resistance in its divestment campaigns and also anonymously fund independent grassroots organizations; striking workers go-fund-me campaigns, and independent news media – just leave co-optation and capture out. Activists know many progressive organizations and independent news media that were neutered by the donner class and are alert to the tricks. Sabotage and whistleblowing are also great ways for the dissident elite to get down with the people.

CONCLUSION

COVID-19 is not the time to fight for breadcrumbs and concessions, but the time to fight for revolutionary changes. Join one of the activist groups listed above; follow webinars; help your neighbors and community; support the growth of Socialist and Green political parties and, observe general strikes as workers, consumers, protesters, writers, videographers, etc.

Power to the people.

Lauren Smith is an independent journalist. Her work has been published by Alliance for Global Justice, Black Agenda Report, Common Dreams, Counterpunch, The Duran, Global Research, CA, Monthly Review, and Telesur amongst others. She holds a BA in Politics, Economics, and Society from SUNY at Old Westbury and an MPA in International Development Administration from New York University.  Her historical fiction novel based on Nicaragua’s 1979 revolution is due out this year.

Source: https://libya360.wordpress.com/2020/04/29/fighting-the-invisible-enemy-imperial-fascism-not-covid-19/

New York, morti perchè? IL VIRUS SIAMO NOI ! Eliminare i vecchi, neutralizzare i giovani, domare il resto

Fulvio Grimaldi
3 maggio 2020

New York, morti perchè?
IL VIRUS SIAMO NOI !
Eliminare i vecchi, neutralizzare i giovani, domare il resto

Hanno sbagliato, o voluto sbagliare, tutto

“ I pazienti deceduti avrebbero sofferto le conseguenze delle prime diagnosi sbagliate. Covid 19 è una malattia infiammatoria vascolare sistemica… addirittura i respiratori avrebbero peggiorato l’esito della malattia…” (Maria Rita Gismondo, direttore microbiologia clinica e virologia del ‘Sacco’ di Milano)

New York: intubati da morire

Ma forse si va oltre al sadismo. Da New York arrivano testimonianze raggelanti su cosa succede in certi ospedali ad anziani intubati e ventilati. Siamo all’orrore. Già da varie fonti mediche, che nessuno ha potuto accusare di fake news, erano arrivati dubbi sulle terapie applicate a chi veniva sospettato di covid-19 e quindi di patologia polmonare. Diversi professionisti avevano asserito che si trattava invece di malattia del sangue con l’esito frequente di trombi letali, contro la quale la ventilazione forzata non era idonea, anzi poteva, con l’eccesso della pressione, provocare danni e perfino morte.

Ora, a partire da un’infermiera che, per non subire rappresaglie nel proprio ospedale, ha chiesto a una collega, Sara N.P., di un’altra struttura, di denunciare quanto ha visto con i propri occhi, la vicenda ha atterrito gli Stati Uniti. Secondo il suo racconto i pazienti anziani venivano fatti morire in massa proprio per l’errata applicazione del ventilatore, nei termini illustrati anche in Italia. La denuncia è stata ripresa dal dr. Cameron Kyle-Sydell del Maimonides Medical Center di N.Y., che ha confermato come i respiratori artificiali provocassero gravi danni ai pazienti, stroncando gli alveoli dei polmoni. Una nota di sospetta corruzione arriva dal dr. Scott Jensen, senatore del Minnesota, secondo cui gli ospedali che impiegano i respiratori ricevono dal ministero il triplo dei fondi rispetto agli altri. Infine, dall’Italia il dr. Giampaolo Palma, cardiologo con vent’anni al Centro Trombosi di Salerno, ribadisce come questo virus attacchi i vasi sanguigni e solo in seconda istanza i polmoni.

Secondo i denuncianti, la pratica degli ospedali di N.Y. di attaccare qualsiasi paziente affetto da coronavirus alle macchine ventilatrici, avrebbe provocato un numero altissimo di decessi. Praticamente saputi e voluti, afferma l’infermiera. L’esclusione immediata di tutti i parenti da qualsiasi contatto con i malati, subito dopo il ricovero, e la loro morte in assenza di testimoni esterni, sarebbe da ricondurre a questa pratica. E forse anche certi numeri in esponenziale crescita. Ma poi, come diavolaccio si conciliano la distanza di un metro tra potenziali contagiati in strada, o nel negozio, e quella di un metro, anche due, negata tra parenti e morenti? Non casca forse l’asino anche qui? E’ fattuale: agli operatori dell’operazione cambiamondo Covid-19 occorrono morti, tanti morti. Ed è altrettanto fattuale che dall’antro da cui sono usciti questi operatori è uscito di tutto, il peggio di tutto.

La migliore di loro: “hanno sbagliato tutto”

E se non fosse bastata la mia piccola ricerca, ecco che sul Fatto Quotidiano del 3 maggio esplode l’atomica di Maria Rita Gismondo, virologa numero uno d’Italia in quanto direttrice di virologia e microbiologia clinica all’ospedale pubblico più rinomato: “Il Sacco” di Milano. E’ la luminare già aggredita con diffida dal noto dr. Burioni (San Raffaele) per aver detto che il Covid-19 le pareva poco più di una normale influenza. Scrive oggi la Gismondo, denunciano il danno inflitto dalle terapie della ventilazione universamente adottate e confermando esplicitamente la scoperta di New York: “L’ipotesi italiana è confermata anche dagli Usa…Sars coV2 colpisce soprattutto i vasi sanguigni, impedendo il regolare afflusso del sangue, con formazione di trombi. La polmonite ne è solo una delle conseguenze”. La cura in questo caso sono gli antinfiammatori, mentre la ventilazione spacca i polmoni e uccide. Si sapeva? Si faceva? “E’ una vera rivoluzione”, conclude Gismondo. Verrà ascoltata? Verrà bruciata sul rogo? Chi appiccherà il fuoco, Roberto Burioni? Bill Gates? Voi che dite?

Ma è mai possibile che, di fronte a un’ipotesi, un dubbio, con tanti elementi e testimoni alla sua base, alla luce di tanti morti soffocati dai ventilatori in tutto il mondo, non si scateni un dibattito internazionale, a tutti i livelli, su chi abbia ragione, tra coloro che insistono a intubare e a nascondere i morenti ai loro cari e viceversa, e quelli che invocano e praticano altre terapie, meno invasive e rischiose?

https://www.corriere.it/…/quella-relazione-pericolosa-tutti… Questo è il link a un articolo del Corriere della Sera, subito rimosso.

La conclusione è una sola. Cosa ci si deve aspettare da chi ha ridotto la distanza tra ricchi e poveri a quella tra la galassia e il pianeta Terra, da chi, sotto copertura di menzogna, frode e altosonanti valori come democrazia, antifascismo e diritti umani, percorre il mondo come un’ininterrotta esplosione termonucleare, cancella al suo passaggio nazioni intere, Stati sovrani, devasta, distrugge, contamina, infliggendo sofferenza e ingiustizia come neanche nelle epoche più buie e terrificanti della storia umana? E prepara, servendosi di una muta di ratti mediatici per le opportune diffamazioni, fake news, manipolazioni, quell’aggressione alle potenze indocili, Russia, Cina, che renderà tutti gli olocausti succedutisi nella Storia umana, comprese ere glaciali cadute di corpi celesti, diluvi universali, un incidente di percorso?

Prima gli anziani, costosi, improduttivi, dotati di memoria….

“Dal di che nozze e tribunali e are
dier alle umane belve esser pietose…”

file:///C:/Users/Fulvio/AppData/Local/Packages/microsoft.windowscommunicationsapps_8wekyb3d8bbwe/LocalState/Files/S0/3/Attachments/APPELLODELLACULTURA[32047].pdf

Un appello relativo all’argomento del prossimo paragrafo, gli anziani mandati al macero, lanciato dalla scrittrice Donatella Bisutti, firmato da molti e pubblicato sui media. Da diffondere.

Abbiamo assistito all’eliminazione dei vecchi tramite assembramento di infetti nelle case di riposo, intubazioni letali a chi poteva essere curato con eparina o clorochina, come incomincia a succedere da noi e altrove, alla faccia dei bonzi sanitari che, grazie al vaccino, aspettano di farsi depositi di Paperoni e califfati tipo quelli del Golfo. Abbiamo visto i nuovi Mengele, Alan Dulles e Shimon Peres, dell’eugenetica costringerli a morire in casa per interruzione delle cure, tutte sospese, mancanza di moto, aria, sole, socialità, per depressione, infarti, perfino inedia. Pulizia generazionale di deboli, improduttivi e costosi che avevano tuttavia la grave colpa di infettare il Nuovo Ordine Mondiale con il patrimonio della memoria di cose, nomi, valori, libertà.

E poi al danno, se così si può definire, l’insulto. Alla persona che muore e che, su falsi pretesti, in maniera sadica viene privato del conforto dei suoi brani di vita affettiva nei momenti del freddo che gela il midollo. Alle persone consanguinee, con-affettive, che si vedevano negate la vicinanza del massimo reciproco bisogno. Nessuno a cui ribadire che ci è cara la sua vita, nessuno da cui farsi accompagnare in un passaggio che, da solo, vuol dire orrore. Da Antigone, da quando eravamo animali pre-umani, la morte, come la nascita, misteri insondabili che ogni civiltà ha affrontato con ritualità sacra, era onorata, alleviata, accompagnata.

Poi i bambini e ragazzi, improduttivi, costosi, pericolosi

Ma tocca anche ai giovani. Non di morire. I feldmarescialli hanno bisogno di turnover. Ai giovani tocca di non rompere, come sarebbe nella loro natura di incontaminati dalla vista chiara e, come troppe volte è stato nella Storia, di agenti di cambiamenti radicali, catastrofici per le élites dell’epoca. Tocca ammazzarli, nel senso di decerebrarli, da piccoli. Tutti ricordano di cosa accadde cinquant’anni fa in quasi tutte le strutture dell’istruzione, dalle medie, con ragazzini e adolescenti, alle università dei ventenni e, poi, nelle fabbriche e nei quartieri, con tutta una generazione. Se non nelle fondamenta, il palazzo dell’élite tremò nei vetri e nelle pareti. Ne sono ancora terrorizzati.

Sfumata l’operazione AIDS, di negazione della sessualità conquistata in quegli anni, scoperchiata da guerre e sanzioni a classi e nazioni la “guerra al terrorismo”, hanno capito che dovevano colpire alla radice della vita. Per neutralizzare i caratteri vitali, la forza, la curiosità, l’intelligenza delle nuove generazioni, bisognava ridurne l’“assembramento”, sempre gravido di intemperanze e minacce. Impedire l’associarsi, l’incontrarsi, l’organizzarsi, che a una generazione danno un carattere, addirittura una fisionomia, comune, rabbie e aspirazioni condivise, come succede nelle rivoluzioni, con la ricchezza delle sue diversità e sfaccettature. Un sognare, sentire, pensare, volere che produce forza di massa.

Per prima cosa era necessario disgregare i corpi portatori di tale comunità, separarli, isolarli. Compito delle piattaforme digitali. Rapporti che da fisici, con suoni, occhi, odori, contatti, espressioni, all’asettico del virtuale. Virtuale da smartphone e reti social, autocelebrativo nell’immagine, a compenso di un’identità che, senza confronti con la realtà fisica, diventa incerta, minimalista; semplificata, infantile, nel linguaggio. L’apoteosi delle chat, del pensiero breve e, dunque, della comunicazione corta. Fine del crescere dell’uno sull’altro, con l’altro, per l’altro, ad arrampicarsi insieme, legati, sulla roccia che ha in cima la maturità. Conferma di una gerarchia famigliare ossificata e patriarcale, che poi dovrà rafforzarsi nei rapporti sociali e di classe. Un rapporto dogmatico e quindi autoritario, negatore della dialettica e della contestazione.
Come quello dei monopolisti della Scienza. Che controllano l’OMS pagandola, non diversamente dall’organismo ONU che sovrintende al digitale, Internet Governance Forum (IGF). Da chi è composto? Dai governi, per forza, dalle piattaforme dettaleggi e dettacensura di Silicon Valley e dalla “società civile”. Cosiddetta, perché composta dalle grandi ONG, tipo Medici Senza Frontiere, Save the Children, Open, generosamente finanziate dalle stesse piattaforme e pure da Soros. Conflitti d’interesse. Nessuno. Come quelli dell’OMS.

Scuola o centro di addestramento?

Poi l’eliminazione della scuola, luogo deputato alla formazione, tanto attraverso l’apprendimento didattico quanto a quello autogestito nella comunità di ragazzi che si crea e che ne alimenta l’opera collettiva, anche la resistenza, nei confronti degli adulti e l’affinamento piscofisico reciproco attraverso l’amicizia, l’amore, l’emulazione, il conflitto. Un fronte di forza e di responsabilità fondato sullo scambio. Negato, ne riduce i membri alla solitudine, alla debolezza, al blocco del processo evolutivo e formativo. Nessuna comunicazione e nessun insegnamento virtuale, la scuola telematica con i suoi elementi degenerativi di isolamento e solipsismo, può sostituire anche in minima parte, anzi, la linfa vitale del confronto diretto nella comunità. E neppure il rapporto discente-docente, fatto com’è di espressioni, vibrazioni sensoriali e intellettive, fascino, direi, forzando, di elettromagnetismo, potrà mai essere restituito dalla freddezza disumanizzante di uno schermo.

Scuola di classe

O vogliamo scordarci di cosa avesse già provocato, con gli strumenti del digitale appositamente prodotti, la defisicizzazione della realtà esterna e conseguente annichilimento di quella interna che con essa dialoga, e non solo visivamente. Smartphone e tablet tanto comodi, tanto utili e tanto appositamente pensati e diffusi per analfabetizzarci in termini di comprensione della complessità e della sua riduzione a sintesi. Ora questa improbabile ministra dell’Istruzione, Azzolina, prevede, per la ripresa, una scuola spaccata a metà. Come una pianta, un edificio, una vita qualsiasi, che nelle sue parti divise non è più niente di ciò che era. Metà in classe e metà al computer da casa. Due forme non tanto alternative, ma contrapposte, di procedere alla formazione di donne e uomini adulti e coscienti. Ne usciranno due categorie che non avranno nulla da dirsi. Una più dotata, l’altra profondamente disabilitata. E così, nella più importante occasione di socializzazione dei ragazzi, si ricreano le diseguaglianze che la Scuola era chiamata ad annullare. E’ lotta di classe dall’alto verso il basso. Vigliacca, perché se la prende con i meno armati. E una volta di più, il sistema è riuscito a dividere la società. E a imperare. Lo scopo di tutto quello che ci succede non è forse questo?

Resta da dire dei bambini che, dopo due mesi in gabbia, a sfondarsi di Lego e diseducarsi con disneyani filmati di animali, simpatici e degni di affetto solo nella misura in cui paiono esseri umani travestiti da cerbiatto, o orso, o passero, possono uscire con mamma o papà. Un giretto, ma non incontrarsi tra loro, non andare sull’altalena, o sullo scivolo e correre e fare capriole, in gara con i compagni. Non sanno mantenere le distanze, i bambini! In qualche modo colpevoli, mentre ancora odorano di latte materno. Una bella partenza per la crescita da anchilosati nei muscoli e nel cuore, mamma e papà-dipendenti, soli. Ammazzarli da piccoli, appunto.

Originale: https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2861332593955278&id=117480098340555&__xts__[0]=68.ARAFehGX5wadcjPbu0Tztd2P3ESoGo16gy7XhsRZnF-fkElzTdH7QdNb1TIbrZnSsplfidx5bw91kB3dvRAOiYqkWK42tM7Y61-A3TEsGsAtIDiI0PEwXdznnZXn8CKLWnes0-mXFPK44OKBe85IgAwoRckkpsfiu9ZZsxm3pPWyC7lfKToWQsYTWxpUK7LgIefx3CtNlbUfAcZqMXSOe7cjUByia4icdvDrHp0074L0fv7DLW7_tQUiWr2qYQtLtP2p8lLbHm2iJYG3L2gF42EypQLVYnuHuBPmrM59FI8uK_TFmQHcjqXmV0Ek5lTkTQZIPxYmkMhz3taZ68Qw8Re02g&__tn__=H-R

Agnelli segreti, la storia d’Italia mai raccontata

Gli Agnelli sono stati la vera famiglia regnante del Novecento italiano, con buona pace dei Savoia e della Repubblica, ma raramente nel nostro paese si è scritto di loro con schemi diversi da quelli dell’agiografia lecchina. Del resto il mito piccolo borghese dell’Avvocato era troppo evidente per essere ignorato da giornalisti in fondo alla caccia soltanto di una battuta da titolo, se non di una FIAT in comodato d’uso.

Di qui milioni di articoli e servizi su Ferrari, Juventus, nuovi straordinari modelli di auto, quadri, tendenze della moda, eccetera, e un po’ meno sull’onnipresenza di Agnelli nel mondo finanziario e politico. In altre parole, per decenni invece di parlare del principale gruppo finanziario italiano e della principale industria si è trovato più facile parlare della figura di Gianni Agnelli.

Gigi Moncalvo nel suo Agnelli segreti, uscito nel 2012 per Vallecchi e omaggiato di poche recensioni (leggendolo si capisce anche il perché), prova ad andare oltre i simboli esteriori del potere o le storie da copertina, per condurci attraverso una grande inchiesta nei meandri del potere vero. Quello che non viene mai fotografato allo stadio, in barca, alle mostre.

Il libro è apparentemente una storia della famiglia, con qualche incursione nel gossip pesante (gli amori lesbici di Susanna Agnelli, i veri compiti di Montezemolo, eccetera), ma in realtà pur essendo abbastanza lungo (più di 500 pagine) compie scelte molto precise mettendo fatti e personaggi collaterali al servizio delle storie principali. Che sono fondamentalmente quattro.

La prima è quella della relazione fra Virginia Agnelli, fresca vedova di Edoardo e madre di Gianni, Susanna, Umberto, eccetera, con Curzio Malaparte. I dettagli da cronaca rosa sono incredibilmente messi in fila dall’OVRA, la polizia segreta fascista, che appare quasi al servizio di Giovanni Agnelli. Cioè il fondatore, il rigidissimo e sabaudo (ma all’occorrenza levantino) Senatore.

Con funzionari pubblici che pedinano Virginia allo scopo di trovare particolari e prove che consentano di toglierle l’affidamento dei figli (a beneficio del nonno, chiaramente). Si arriva al paradosso di Virginia che chiede a Mussolini di essere difesa dal suocero di lei e dalla polizia di lui… Malaparte non è certo un comprimario, ma un ex direttore della Stampa agnelliana che ha vissuto diverse fasi del fascismo e che si atteggia a suo oppositore più per posa intellettuale che per istinto democratico. E la sua storia con Virginia, ma soprattutto il modo in cui viene osteggiata, dice molto del potere FIAT nell’Italia fascista, nonostante il Senatore a Torino provi a smarcarsi perché nella vita non si sa mai.

La seconda macrostoria all’interno del libro è quella riguardante Gianni Agnelli, il nipote del senatore, non dal lato del cazzeggio mondano ma da quello della presa del potere nei confronti di fratelli e altri parenti, per precisa volontà del nonno. Impressionante è la valutazione del gruppo FIAT subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, pur con tutte le cautele del caso: circa 64 miliardi di euro, ai valori attuali. La costruzione di ‘Agnelli’ passa attraverso vent’anni di mondanità ma anche di rapporti internazionali coltivati ai massimi livelli fra una donna e l’altra (Pamela Churchill, nuora di Winston, e Anita Ekberg su tutte le altre, per motivi diversi), mentre la FIAT veniva mandata avanti con intelligenza, ma anche con metodi oltre l’autoritarismo, dal professor Valletta fino ai 45 anni dell’Avvocato.

La vicenda forse più appassionante è quella di Edoardo Agnelli, della sua infelice vita (a 40 anni e passa era di fatto sotto tutela, controllato anche nella quotidianità minima) e della sua stranissima morte avvenuta nel 2000, a 46 anni, seguita da un’inchiesta imbarazzante per le lacune della magistratura e i tentativi di insabbiamento di parte della famiglia o forse di qualcuno che in quei frangenti già controllava la famiglia.

Una storia che ha avuto un’appendice dopo la morte di Gianni Agnelli, con tanto di tentativi della sorella di Edoardo (Margherita, madre fra gli altri di John e Lapo Elkann) per conoscere la verità. Impressionante in generale, non tanto in relazione alla storia di Edoardo, la freddezza di Marella, la madre, in contrapposizione al crollo anche fisico dell’Avvocato. Ben raccontato è il modo astuto in cui possibili successori di Gianni Agnelli venivano dati in pasto ai media, da Giovanni (figlio di Umberto e fratello dell’attuale presidente della Juventus) allo stesso John Elkann, ritenuto più plasmabile dell’idealista Edoardo e ovviamente anche dell’estroso Lapo.

La quarta storia, che avvolge tutte le altre, è vero giornalismo investigativo e riguarda il reale controllo del gruppo dagli anni Novanta ai giorni nostri. Attraverso la costituzione di società più o meno schermate, in Italia e in Lichtenstein, Agnelli voleva occultare gran parte del suo patrimonio, ‘allontanare’ la sua figura dalla realtà operativa delle società italiane (si era in piena Tangentopoli, si era quasi arrivati a Romiti…), ma soprattutto assicurare al gruppo una unitarietà di gestione che il diritto di famiglia dopo la sua morte non avrebbe permesso: Edoardo era ancora vivo e desideroso di occuparsi degli affari della sua famiglia.

Attraverso documenti riservati e pubblici Moncalvo dimostra che di fatto il controllo del gruppo ad un certo punto è stato nelle mani di due avvocati (uno svizzero, René Merkt, e uno del Liechtenstein, Herbert Batliner), ma che nell’ultimo ventennio è stato sostanzialmente di Gianluigi Gabetti (ora 91enne) e di Franzo Grande Stevens (ora 87 anni), cioè due fra i più stretti collaboratori di Agnelli. Con il rapporto di sudditanza che ad un certo punto si è ribaltato, grazie a statuti societari con articoli ai confini della realtà, sottoscritti con superficialità dall’Avvocato. In copertina ci vanno Briatore e al limite Berlusconi, ci sono quasi funerali di Stato per Michele Ferrero, ma non è sbagliato dire che l’uomo più potente d’Italia negli ultimi decenni sia stato e tuttora sia Gabetti.

Un lettura appassionante, per chi fosse interessato a capire chi ha comandato e comanda in Italia al di là dei segni esteriori del potere. Fra questi segni anche la Juventus, finita nel 2006 in una guerra molto più grande di lei e dell’intero calcio italiano e da qualche anno tornata ai massimi livelli sotto la gestione della parte ‘perdente’ del gruppo, una sorta di premio di consolazione pronto comunque ad essere cancellato in presenza di certe situazioni. Un libro di giornalismo investigativo, quello di Moncalvo (una ottima carriera nei giornali e anche in televisione, molti ragazzi anni Ottanta lo ricordano come volto dell’informazione di Canale 5 prima dell’arrivo di Mentana), che in molti capitoli restituisce dinamiche umane terribili ma anche commoventi, ben lontane dai servizi di Capital e dalle interviste in ginocchio di tante prime firme. Inutile sottolineare che i giornalisti escono a pezzi da molte situazioni, per il modo in cui i loro servizi vengono concordati con l’ufficio stampa FIAT, ma non mancano neppure esempi di grande valore.

Non si possono scrivere biografie senza essere appassionati al soggetto, quindi anche questo libro in fondo (ma proprio in fondo) contribuisce al mito di Agnelli. Ma lo fa con un’inchiesta vera, che mette in luce tutte le contraddizioni del personaggio: un patriottismo poco retorico insieme a un cosmopolitismo cinico, la coscienza dell’importanza sociale della FIAT insieme all’evasione fiscale, le follie da jet set e i bei gesti sconosciuti ai più, la noia mortale per qualsiasi argomento e allo stesso tempo la curiosità vampiresca. C’è ancora tanto da scrivere sugli Agnelli, il tempo non mancherà. Sarebbe adesso più urgente, non soltanto per i mitici ‘mercati’, rispondere alla domanda: chi c’è dietro a John Elkann?

Preso da: https://www.indiscreto.info/2015/02/agnelli-segreti-litalia-mai-raccontata-dal-fascismo-john-elkann.html

House-to-House: How Venezuela is Stopping the Coronavirus (with the Help of Cuban Doctors)

One of the strategies for dealing with the coronavirus in Venezuela is, in addition to quarantine, house-to-house visits that doctors make to detect cases of contagion and treat them early. Many of the doctors are Cuban, and they walk around the neighbourhoods every day in their white coats and masks.

They search for cases of coronavirus infection even inside the home. This is what the so-called “house-to-house” approach is about, one of the most effective methods that has been implemented in Venezuela, along with quarantine, to deal with the COVID-19 pandemic.

The scenario has been repeated every day since the deployment of the SARS-CoV-2 strategy began shortly after the first cases were confirmed in the country on Friday, March 13. Currently, in the state of Miranda alone, in central-northern Venezuela, at least 1,500 Cuban doctors are covering the neighbourhoods with their white coats, chins, lists to be filled in with data on the people visited in their homes.

Arreaza claims that the U.S. is lying when it asks Venezuela to accept humanitarian aid It is not a random route. The deployment is based on a database collected by the government through a digital data storage system – called Plataforma patria – where those who have symptoms warn of their situation.

Thus, instead of having an influx to health centers, doctors go to those who may have COVID-19.

“We go doctors, nurses, laboratory personnel, looking for the houses where there are people who have had contact with people from abroad and people who have symptoms and have reported through the Plataforma patria,” explains Rafael Crespo Plasencia, a doctor who recently arrived from Cuba to join the battle against the coronavirus.

The work is also educational: “There are still people who do not perceive risk, they have not been very well informed despite all the information networks, radio, television. At home they are informed that they should wear a face mask and wash their hands”.

The majority of people comply with the rules, although during a tour of a popular neighbourhood in Petare, in Caracas, Plasencia pointed out that some people still do not use a mask when they stand, for example, at the door of their house. This is the absence of risk perception, he insists.

How does the Venezuelan health system work?

The San Miguel Arcángel Integral Diagnostic Center (CDI), or Petare Cemetery, as it is known in the area, is located on a main avenue. Behind it is one of Petare’s many neighbourhoods that rises on a hill through narrow streets, corridors, stairs, a labyrinth for those who do not know.

The ICDs belong to the secondary level of health: on the first level are the Barrios Adentro clinics, and on the third level are the hospitals. The CDIs, together with the consulting rooms, are part of the health architecture that was developed during the Bolivarian revolution in conjunction with the Cuban medical mission in the country.

One of the keys to that system was based on two central pieces: prevention and community participation, which are part of the current keys in the strategy to combat the coronavirus.

The health personnel who go out every morning to tour the neighbourhood from the CDI are accompanied by an individual belonging to one of the popular forms of organization that exist in the neighbourhood, such as communal councils, communes, local supply and production committees.

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“We accompany the doctors on the tours to take them to the houses, we are always there, because we know our community, we know the cases, otherwise they are like boats adrift,” explains Norma Josefina Urbina, part of the community council, who walks with Plasencia and the health group that tours the steep neighbourhood.

They are another great strength along with the digital database with the cases of people with coronavirus. They know who lives in the homes, the people most at risk, who had symptoms and didn’t report them. They guide Cuban and Venezuelan doctors with knowledge of the area.

The objective is “to detect any person who has any symptoms, including respiratory ones, and to visit and assess the state of health of the most vulnerable groups, such as the elderly, women, pregnant women and people with chronic diseases,” explains Carlos Luis Oliver Santana, a Cuban doctor who has been in the country for a year.

A total of 11,988 people have been visited, of the approximately 37,000 who live within the radius of action of the CDI Petare Cemetery. The work is daily, constant.

In the houses they talk to people, ask questions about possible symptoms, contact with people who have returned from abroad or who have had the virus and “if we notice any symptoms or evidence” then the person is transferred to the CDI and “is given a quick test that does not cost anything.

The Petare Cemetery

Petare belongs to the state of Miranda, where about 3 million people live. There are 60 ICDs for this territory, of which 38 are the Sentinel ICDs, which provide 24-hour surveillance to deal with the pandemic. “They deal with all pathologies, but only respiratory conditions related to the coronavirus are admitted,” explains Angel Sierra, the state’s deputy chief medical officer.

The CDI Cemetery of Petare is one of these 38 sentinels and has been equipped to carry out this mission. At the entrance there is a doctor protected from head to toe with a complete suit, gloves, mask, and eye protection, who receives patients with symptoms.

Patients are then given a quick test to see if they are positive for COVID-19. “They don’t go anywhere else unless they test positive or have symptoms of the virus and don’t have a positive test, or have a positive test without symptoms,” Santana explains.

If they are in one of these situations, they are admitted to the intensive care unit where they are isolated, placed under observation for 14 days – the incubation time of the virus – and given the various drugs, such as interferon, to strengthen the immune system.

Once they are discharged, “a doctor will visit you at home for seven days to see that there are no symptoms”.

Sierra explains that they have “all the resources, supplies, medicines and equipment to treat the coronavirus in all the ICDs. In Miranda, they have a total of 2,198 members of the Cuban health team, of whom an average of 1,600 travel to investigate, while the rest provide care.

“Between 49,000 and 52,000 patients are seen daily, and 500 are detected with respiratory symptoms every day”.

Coronavirus in Venezuela: a model of combat

The house-to-house system has been successful in Venezuela. It is a method that builds on what had already been established in terms of healthcare and popular organization, reinforced by the arrival of medical supplies from countries such as China, Russia, Cuba, as well as international agencies such as the Red Cross and the Pan American Health Organization (PAHO), the regional arm of WHO.

Its implementation has made it possible to launch an offensive against the coronavirus, conducting a search of every home to detect it early and avoid complications in patients, breaking the chains of transmission, and preventing its proliferation – which can be very fast, as has been demonstrated in other countries, such as Italy and Spain.

This is part of the reason why the curve remains flat in Venezuela. The role played by Cuban aid is crucial, as much as it was in building part of the healthcare system from the beginning of the Bolivarian revolution. There are doctors, every day, in the hills, in their white coats, masks, knocking on door after door, asking questions, giving advice, contributing to the battle against the pandemic.

Original: https://libya360.wordpress.com/2020/04/20/house-to-house-how-venezuela-is-stopping-the-coronavirus-with-the-help-of-cuban-doctors/