Nuove minacce contro il Venezuela bolivariano

Una taglia sul presidente Maduro e altri dirigenti chavisti

Nuove minacce contro il Venezuela bolivariano

La Colombia al fianco degli Stati uniti per destabilizzare il paese
8 aprile 2020

David Lifodi

Hand off Venezuela

Il momento sembra essere propizio. Nonostante imperversi la pandemia del Covid-19 e la situazione interna degli Stati uniti consigli a Trump di dedicarsi a come proteggere il proprio paese dal corona virus, la Casa bianca torna a guardare minacciosamente Caracas e lo fa con il sostegno del tradizionale e fidato alleato colombiano. Il presidente Duque non perde tempo, anche adesso, per provocare il Venezuela bolivariano sia alla frontiera sia sull’aiuto medico offerto da Miraflores a Palacio Nariño, sul quale la destra colombiana non ha trovato niente di meglio da fare che polemizzare.Ad ingolosire gli Stati uniti, aldilà della scusa di giustificare l’intervento in Venezuela con il pretesto di ristabilire una presunta democrazia, ora che anche la stessa credibilità del presidente de facto Guaidó sembra ai minimi termini anche sul versante anti-chavista, quelle ricchezze minerarie e petrolifere a cui mira l’oligarchia Usa, al pari di quella colombiana. Anche il narcotraffico, del quale il Venezuela è accusato, rappresenta un vero e proprio paradosso, soprattutto se a puntare il dito è il governo colombiano, visti i noti legami con i narcos e i paramilitari del duqueuribismo. Come è noto, lo stesso Duque, per raggiungere la presidenza del paese, ha potuto contare sui voti del narcotraffico.

Eppure, la presenza, ancora una volta, di truppe di mercenari al confine tra Colombia e Venezuela, fa capire che il chavismo è di nuovo sotto attacco. All’ennesimo progetto di transizione politica verso la democrazia proposto dal segretario di Stato Usa Mike Pompeo, il cancelliere venezuelano Jorge Arreaza ha risposto che la sovranità del Venezuela non è in discussione. “Le decisioni sul futuro del Venezuela si prendono a Caracas, non a Washington”, ha replicato Arreaza, il quale ha insistito sugli sforzi compiuti dal governo bolivariano nel corso del dialogo con l’opposizione nonostante i tentativi di sabotaggio degli emissari di Trump.

Dall’Unione europea, per ora, è arrivata invece una sollecitazione affinché governo e opposizione trovino un accordo, soprattutto adesso nel pieno dell’emergenza per il coronavirus. Tuttavia, anche dal vecchio continente non è giunta nemmeno una parola di biasimo per l’opera sotterranea di destabilizzazione che sta conducendo la Colombia, nonostante le poco credibili smentite di esercitazioni militari alla frontiera con il Venezuela da parte dell’esercito. Sui social network circola infatti un video che ritrae soldati colombiani scendere da un elicottero modello Black Hawk, ma si è trattato, secondo il Ministro della Difesa di Palacio Nariño, soltanto di manovre volte a stroncare il narcotraffico. Come mai, però, la Colombia non si occupi di dare la caccia ai narcos sul proprio territorio, invece di ammassare truppe alla frontiera, non è dato sapere.

Segnalato dalla senatrice colombiana di Unión Patriótica Aida Avella, il video rappresenta per la stessa sinistra colombiana una chiara provocazione nei confronti del Venezuela bolivariano. Il messaggio della senatrice, sotto al video, è chiaro e facilmente traducibile: «Se escala provocación y amenaza de agresión contra Venezuela; si hay Dignidad hay que levantar con fuerza la consigna de no a la guerra».

​Anche Trump ha inviato militari verso il Venezuela, lo scorso 1° aprile nell’ambito delle indagini che stanno conducendo gli Stati uniti sulle presunte accuse di narcotraffico rivolte e Maduro. La giustizia Usa ha addirittura messo una taglia di 15 milioni di dollari a coloro che siano in grado di fornire informazioni utili per poter legittimare l’arresto del presidente venezuelano. 10 milioni è la taglia che pende invece sul presidente dell’Assemblea nazionale costituente Diosdado Cabello e altri dirigenti bolivariani di primo piano. L’accusa di narcoterrorismo contro Maduro riguarderebbe il suo presunto piano per rifornire di cocaina il mercato statunitense, ma come ritenere veritiere queste voci quando si moltiplicano le dichiarazioni di trame per fare cadere il Venezuela bolivariano provenienti sia dalla Colombia sia dagli Stati uniti?

Si lavora, instancabilmente, a trovare un pretesto per imporre un cambio di governo in Venezuela: il rifiuto di Duque, denunciato dalla vicepresidente venezuelana Delcy Rodriguez direttamente all’ Organización Panamericana de la Salud, di accettare aiuti da parte di Caracas affinché la Colombia possa fronteggiare al meglio l’emergenza Covid-19 fa capire quanto siano caduti in basso gli antichavisti, disposti a tutto pur di cambiare l’inquilino di Miraflores.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l’autore.

Bufale mainstream sull’epidemia di coronavirus in Iran

Contropiano
L’epidemia di coronavirus sta mettendo a nudo, in maniera obiettiva e senza alcuna possibilità di replica, i danni apportati dalle privatizzazioni ai Sistemi Sanitari Nazionali, la debolezza della narrazione dell’utilità pubblica del “privato” e la natura antipopolare e speculativa che ha assunto l’Unione Europea. Solo pericolosi estremisti del Libero Mercato possono continuare a sostenere privatizzazioni e/o l’utilità della UE.

Ci hanno raccontato per anni, da Berlusconi in poi, che gli ospedali erano un ricettacolo di nullafacenti, una spesa inutile, un costo che non potevamo più permetterci. Ed allora, tutti si sono scagliati sul Sistema Sanitario Nazionale, tagliando, regionalizzando, privatizzando, convenzionando e chiudendo. Il risultato è che quella che fino a 20 anni fa era tra le migliori Sanità del Mondo adesso registra la mortalità più alta per Coronavirus.
Bufale mainstream sull'epidemia di coronavirus in Iran

Nessuna scusante, nessun appello. L’unica sarebbe requisire la Sanità privata, ri-statalizzare il servizio sanitaria, assumere in massa e nazionalizzare la produzione di farmaci e macchinari. Ma purtroppo non sembra quella la strada intrapresa, al contrario si procede ancora sulla via del privato che continuerà a fare affari sulla salute dei cittadini.

E poi c’è l’UE che anche in questo caso, da questo orecchio non ci sente. Non darà alcun aiuto vero. Nessuna agevolazione, nessuna concessione a sforamenti: l’ideologia dell’ultraliberismo e del rigore europeista non deve essere messa in discussione per qualche migliaio di morti!

Ancor più se di un paese “cicala” come l’Italia, dove si campa anche troppo per i gusti della BCE.

Come se non bastasse, nel bel mezzo dell’epidemia in Europa, gli Stati Uniti inviano 30.000 soldati e centinaia di carri armati, per l’esercitazione NATO “Defend Europe 20”, in chiave anti-russa.

Come se non bastasse ancora arriva l’aiuto cinese: respiratori, mascherine e medici super specializzati. Si inizia a rompere un po’ il pregiudizio che si ha sulla Cina e sui cinesi, popolo che secondo alcuni governatori ed alcuni giornalisti con l’alito di grappa alle 9 di mattina, mangiano topi vivi, dormono in stanza con i maiali, buttano i morti nell’immondizia.

Lo smacco c’è, inutile negarlo. Ed allora si deve stroncare sul nascere qualunque “prurito”. Il messaggio che deve passare tra i cittadini è che non bisogna azzardarsi nemmeno a pensare di poter uscire dalla UE, perché fuori c’è solo morte e fame. E se si bazzica con la Cina si fa la fine… dell’Iran!

E’ infatti iniziata una campagna di denigrazione mainstream di questo paese mediorientale.

Non stiamo parlando di personaggi del bar prestati alla politica o al giornalismo. Ma di televisioni nazionali, di giornalisti “di sinistra” e di giornali di primo piano. La tesi, “accreditata” dalle testimonianze di oppositori al “regime” iraniano che dal loro salotto a Londra o New York riescono ad avere un punto di vista privilegiato sulla situazione del loro Paese d’origine, è di un “Olocausto”. Si presenta uno scenario di fosse comuni, di morti ammassati su una superficie pari a due campi da calcio (precisione incredibile) e di gente che muore sul marciapiede di fronte all’ospedale senza essere soccorsa, nemmeno si trattasse degli Stati Uniti!

Eppure i numeri ufficiali dicono di un numero di contagiati in calo, che la mortalità non è in situazione critica e, soprattutto, che i guariti sono 5.400 contro i 2.800 italiani. “E allora il regime mente!”.

E non basta constatare che nemmeno i media dei più acerrimi nemici dell’Iran (BBC e CNN) ne facciano menzione: gli italiani ci credono, quasi ad “autoconsolarsi” del fatto che siamo il Paese che probabilmente avrà più contagiati e più morti a fine epidemia, purtroppo.

In realtà la situazione, a quanto vedono con i propri occhi amici e parenti iraniani residenti a Teheran, Karaj, Shiraz (informazioni di prima mano di persone non legate agli Ayatollah), è ben diversa.

Certo, ci può essere un modo diverso e meno esteso per fare tamponi, dunque i numeri potrebbero essere più alti, come altrove del resto, ed i decessi di pazienti con pesanti patologie pregresse potrebbero anche essere ascritti alle patologie principali. Forse. Sicuramente anche lì, principalmente nel focolaio di Gilan, come tra l’altro in Lombardia, la Sanità sta avendo grossi problemi di intasamento. Ma una cosa è certa: lo Stato sta provando a contenere l’epidemia impiegando tutte le sue forze e certo non sta facendo morire per strada i cittadini.

Lo Stato iraniano, tramite polizia e pasdaran distribuisce gratuitamente in strada mascherine e guanti monouso, ci sono sanificazioni notturne, con soluzioni di acqua ed ipoclorito sparate sui muri, sui bancomat, ovunque. C’è un servizio di call center pubblico che chiama a casa i cittadini chiedendo se qualcuno in famiglia presenta sintomi, dando consigli e se necessario visitando a domicilio. Alcuni ospedali sono stati completamente evacuati dai pazienti normali che sono stati sistemati in altri ospedali, anche privati, precettati dallo Stato che contribuisce alle spese del paziente e sono stati istituti ospedali pubblici solo per pazienti affetti da coronavirus.

C’è da notare che i pazienti di Coronavirus sono curati gratuitamente a spese dello Stato in controtendenza al fatto che la Sanità iraniana prevede un contribuito molto elevato da parte del cittadino anche per i salva-vita (e questo è uno dei paradossi in un Paese in cui è tutto nazionalizzato, dalle pompe di benzina ai negozi di tappeti) il che si spiega anche col fatto che le sanzioni non hanno permesso all’Iran di acquistare brevetti e farmaci a prezzi accessibili dall’estero.

Non è stato necessario dichiarare il lockdown perché i cittadini hanno autonomamente deciso di mettersi in quarantena per contenere il virus e chi necessita di andare a lavorare, specialmente nei posti pubblici, vengono monitorati con la misurazione della temperatura all’entrata ed all’uscita dal posto di lavoro.

C’è inoltre un piccolo indennizzo per le famiglie che hanno un familiare che si è ammalato di Coronavirus. Si è anche concesso i domiciliari a molti detenuti che rischiavano di essere contagiati. Iran: 70.000 indultati. Italia: 0 indultati, 14 morti e centinaia di feriti dalla repressione statale.

Insomma, per quanto si possa concordare o dissentire con le misure intraprese dal governo iraniano, non si può certo pensare ad un paese che scava fosse per ammonticchiarci i morti. Questa è una narrazione utile a chi vuole spostare l’attenzione dal problema italiano e da quello della UE. E l’immaginario collettivo, di molti occidentali (anche di parecchi compagni), vede l’Iran come una sorta di retaggio del medioevo islamico.

In realtà si tratta di un Paese, certo, in sofferenza, ma anche industrializzato, con uno stato sociale, con un sistema pensionistico (vige “Quota 90”, 60 anni di età, 30 di contributi) con le parabole a vista che trasmettono la tv americana con tolleranza delle autorità nonostante lo stato di assedio, con un diritto e con delle garanzie per i detenuti, con dei partiti politici di centro, di destra e di “sinistra” (virgolette sono d’obbligo dato che la sinistra iraniana è per l’occidentalizzazione dei costumi e per concessioni sull’hijab, ma è anche per capitolare all’egemonia della UE e degli USA e per le privatizzazioni selvagge. Da questo punto di vista tutto il Mondo è Paese per le “sinistre”).

L’Iran è inoltre un Paese dove la condizione della donna, è molto migliore di quello che si possa pensare. Le donne iraniane sono libere ed emancipate, lavorano quasi tutte e tutte hanno una istruzione. Nulla a che vedere con il vero medioevo islamico, l’Arabia Saudita, che invece ci teniamo stretta come alleato politico e militare.

Sarebbe probabilmente il caso per gli italiani di smetterla di abboccare ai diversivi diffusi a piene mani da chi ci ha ridotto alla condizione attuale e di concentrarsi su quello che tra l’altro la Storia dimostra riuscirci meglio: riuscire ad invertire la tendenza nel momento in cui sembriamo più deboli.

Preso da: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-bufale_mainstream_sullepidemia_di_coronavirus_in_iran/82_33704/

“The Real Case-Fatality Rate of the Novel Coronavirus in Italy is at Least 10 Times Lower than the Official Data”.

Patrizia Cecconi
https://www.lantidiplomatico.it/resizer/picscache/700x350c50/cf03b45280cf1474e530a0d5a3ba7236.jpgIn order to achieve conscious responsibility on the part of the population, the authorities should offer coherence. They have not done so in the past and they do not do so now. In the third interview with Dr. Leopoldo Salmaso (specialist in Infectious and Tropical Diseases, and Public Health, who has worked for 30 years at the Department of Infectious Diseases of the Padua Teaching Hospital (Italy), and 5 years in Tanzania, controlling epidemics like Cholera, Thyphoid, Hemorrhagic Fevers, and intra-hospital Polio), he insists on letting the figures speak for themselves.

The official report on the 2017-18 seasonal flu concludes that 8.7 million people consulted the family doctor/pediatrician by phone for a “flu-like syndrome”. Less than 1/4 were visited by the doctor. No less than 18,000 people, mostly elderly, “died with influenza as a complication”. Of those 18,000, only 173 died in a resuscitation unit.

Q. Good morning doctor, welcome back from Tanzania… through Austria, since no airline has wanted to fly you back directly to Venice. If you had been a few days late, you would not get home, not even from Austria! We Italians are now qualified as plague people: me too I cannot go back to Italy because Great Britain has closed the flights, although they too have the virus: they dance, they embrace each other, they cough in your face, they feel immune, but they have closed a school attended by Italians!…
But let’s move on to our interview: What do you think about the situation in Italy, due to the numerous deaths associated with Covid-19?

A. Every year, in Italy, the deaths associated with the common seasonal flu are 20-30 times more than those recently associated with Covid19. How comes that we don’t clog the resuscitations units every year?
Look at the data on Covid-19 (source: Italian Ministry of Health), updated at March 10th, 2020: 8,514 cases with 631 deaths. Please notice that this is an extremely biased sample, because the tests have been done mainly on sick people. The majority of experts, including Ilaria Capua1, believe that asymptomatic cases are 10 to 100 times higher. Therefore the case-fatality rate would not be 7.4%, but at least ten times lower.

Q. Can you tell us more about the the official data about the last seasonal flu in Italy?

A. Yes, that is the seasonal flu 2017-18: 8.7 million people turned to the family doctor/pediatrician by phone for a “flu-like syndrome”. Less than 1/4 were visited by the doctor. No less than 18,000 people, mostly elderly, died “with flu complications”. Out of those 18,000, only 173 (1 in 100) died in a resuscitation unit, and overall there were 764 “serious cases with confirmed flu in Intensive Care Units”.
That is: the other 17,000 people died at home, or in a nursing home, or in some hospital ward, with no confirmed diagnosis of flu. If the media had unleashed the current uproar two years ago, no less than 75,000 people with influenza would have clogged the ICUs, at a rate of 750 new admissions every day (while so far we have admitted to ICUs a total of 650 patients positive to Covid-19).
The comparison between these data confirms that we are facing an epidemic of panic, and that the very spreaders are the media.

Q. We are told that Italy has the highest case-fatality rate worldwide, and this makes us being considered the top spreaders in Europe, so much so that Italy is now completely isolated and many people, like me, cannot return home.

A. The most reliable data come from South Korea, which records a case-fatality rate around 6 per thousand (1/12 of ours). This is explained by the fact that Korea has done carpet testing since the very beginning (more than 200,000 tests done so far) and confirms what I said above: that our statistics, using a very biased denominator (ill people), falsely magnify the ratio between dead and infected people, i.e. the case-fatality rate.
If we then compare the mortality rates, Covid19 so far has a mortality rate of 1 per 100,000 inhabitants, while the flu every year reaps 20-30 lives per 100,000 inhabitants.

Q. Among the many messages on social networks, in particular Whatsapp, there arrive really worrying calls by doctors from the ICUs. Can you tell us something about that?

A. Thanks to our National Health System, Italy has been ranking at the top of the world, with a very enviable quality/cost ratio, but since 1992 (law for the privatization of the NHS) the whole system has been dismantled to the advantage of private profit: they are not interested in investing in the more expensive sectors, such as organ transplants and ICUs. This plundering will never be denounced and condemned enough.
You ask me about the testimonies and heartfelt appeals by doctors and nurses from the ICUs, who are under real stress because of the seriously ill patients with Covid19. Well, I feel sympathetic on a human level, but I must say that they are misleading in order to understand this “epidemic”. It would be like using the testimony of the sailor of a Titanic lifeboat in order to reconstruct the story of that shipwreck… but here, today, we only have a few lifeboats: there is neither the Titanic nor the iceberg. There is no epidemic, there is no pandemic. And we have two notorious precedents, just with two variants of coronavirus that caused such a sensation and turned out to be real “straw fires”: SARS in the year 2002 (8000 cases in all) and MERS in 2012 (800 cases). And it should be noted that SARS had a case-fatality rate of 9%, MERS an appalling 38%.

Q. We hear rumors of “almost” ready vaccines from Israel or the US, which could save many lives attacked by this virus. What do you think about?

A. Surprise: so much noise for a vaccine?
In the common flu of 2017-18 the prevalent strain was A/H1N1pdm09 (better known as H1N1 or “swine”). It was included in the flu vaccine administered to about half the Italians over-65-year-old, not only that year, but also in the previous years. That strain originated in 2009 in the USA, as a variant of the swine flu. In 2010, our Ministry of Health undertook to pay 184 million euros to Novartis for 24 million doses of the vaccine against “H1N1 porcine”. However, that announced “pandemic” was actually a real media hoax: in fact in Italy we vaccinated less than a million people, and 9 million doses of that vaccine remained in the refrigerators of our public health facilities.
Now, to comment on the vaccine from Israel (Netanyahu promised the vaccine a week before their recent elections) or from the USA (they also are deeply into election campaign and, if not covered by expensive private insurance, they have to pay about $ 3,000 to get tested for Covid-19… and to make matters worse, they have the highest rate of false positive results in the world).
In short: commenting on the Israel-USA vaccine promises would be like shooting on the Red Cross.

Q. The last question I ask you, doctor, is what you think of the measures taken by the Italian government to reduce the speed of contagion.

A. The great Ennio Flajano once said that in Italy “the situation is severe but not serious”. Based on all the data we have examined here, we should conclude that this time in Italy the situation is “serious but not severe”.
I mean “serious” in the sense that the measures taken by our leaders reflect their anxiety of proving they are “serious and responsible” but I ask myself: towards whom? Towards the EU? Towards NATO? Why not towards the Italian citizens? The first requirement of seriousness is consistency, and every citizen knows if he has received consistent messages from the authorities and “experts” in these 40 days. Walter Ricciardi, just hired as a special consultant to the Minister of Health in the midst of this storm, has worked wonders on both the domestic and international front. And when the storm rages, when the sails are torn and the boat is full of water, you can only shovel water and shut up. In science and conscience I believe I am shoveling water, patching up sails, and (almost) shutting up. I said almost shut up: in solidarity with Colleagues (underpaid) who work stressful shifts in hospitals devastated by thirty years of neoliberal filibustering, but also screaming loudly against self-styled “colleagues” who, in anonymity, sow terror by talking about “grandchildren who kill their grandparents by infecting them” or about “reckless people who leave home for a walk”. Other criminals pass off the XY product as a curative panacea (and above all preventive) against the “2020 plague” which is said to be “extremely contagious” and a “ruthless exterminator”…
Let me repeat: those who are in the hospital front line today are really under stress, they must be supported, and we all must take all reasonable measures to reduce the probability of contagion, but a large newspaper in my region, Veneto, today reports that we have 498 beds of intensive care, of which 67 are occupied by patients with a swab positive for Covid-19.
Coming back to the authorities: they threaten 3 months in prison if a grandmother moves to another city to look after her grandchildren who have been left without school and without babysitting (on the other side, their parents can go far away every day, and join thousands of colleagues, if that is their job: perhaps Covid19 is off limits for workers).
So, three months prison for the grandmother; have you seen any threat of sanction against those who sow panic, starting with the mainstream media?

Q. So you accuse the authorities of little consistency, if I understand correctly?

A. Of course, there is no consistency! If the authorities want citizens to behave responsibly, they themselves must be consistent. For the last 40 days I have been explaining that, compared to the real pandemics, the current outbreak looks rather like the storm that Truman Burbank had to face in the film “The Truman Show”. And I would prefer to be wrong, but I see a significant difference: our authorities are not Christof, they are not in the control room, they are in the same boat with Truman, me, you, and 60 million unfortunate fellow Italians. If it can console you, in the place of Christof I see neither European leaders nor Mr. Trump.
In the control room, since mid-January, I have seen CNN, NYT, Guardian, and all the western mainstream media. And now I see that the boomerang they threw against China is hitting back against us, all of us!

Q. Thank you for the time you have dedicated to me. I am now going for a tour of London where, until yesterday, I have managed to count only 11 masks, all on oriental faces. Otherwise I have seen many cool people, serenely sneezing and coughing in the buses and on the streets, in spite of the precautions that prompted their leaders to isolate Italy.

Translation by Marinella Correggia

Source: https://libya360.wordpress.com/2020/03/13/the-real-case-fatality-rate-of-the-novel-coronavirus-in-italy-is-at-least-10-times-lower-than-the-official-data/

“Il tasso di letalità del coronavirus in Italia è almeno 10 volte inferiore ai dati ufficiali”. Nuova intervista all’epidemiologo Salmaso

Sull’influenza stagionale 2017-18, risulta che 8,7 milioni di persone si rivolsero telefonicamente al medico/pediatra di famiglia per una “sindrome simil-influenzale”. Meno di 1/4 furono visitate dal medico. Sono morte “con complicazioni influenzali” non meno di 18.000 persone, in prevalenza anziane. Di quelle 18.000, solo 173 (1 su 100) morirono in un reparto di rianimazione”

di Patrizia Cecconi

Londra 11 marzo 2020

D. Buongiorno dottore, bentornato in Italia… dall’Austria, visto che la Tanzanìa aveva chiuso i voli con l’Italia. Se avesse tardato qualche giorno non sarebbe più entrato neanche dall’Austria! Ormai siamo qualificati come appestati e io stessa non posso tornare in Italia perché la Gran Bretagna ha chiuso i voli, sebbene abbiano anche loro il virus, ballano, si abbracciano, ti tossiscono in faccia, ma si sentono immuni, però hanno chiuso una scuola frequentata da italiani ! Passiamo all’intervista, cosa pensa della situazione che si è creata in Italia e i numerosi decessi che si sono avuti in seguito alla Covid-19?

R. Ogni anno in Italia, i morti con la comune influenza stagionale sono 20 volte di più di quelli morti ad oggi con Covid19. Perché non intasiamo le rianimazioni ogni anno? Ecco i dati del Covid-19 in Italia, aggiornati alle ore 18:00 del 10/3/2020: 8514 casi con 631 deceduti (ISS-Epicentro). Faccio notare che questo campione è estremamente selezionato perché i test sono stati fatti in prevalenza su persone malate. La maggioranza degli esperti, fra cui Ilaria Capua, ritiene che i casi asintomatici siano da 10 a 100 volte superiori. Perciò il tasso di letalità non sarebbe del 7,4%, ma almeno dieci volte inferiore.

D. Bene, può dirci qualcosa di più circa l’ultima influenza stagionale in Italia di cui si hanno i dati ufficiali?

R. Sì, sull’influenza stagionale 2017-18, risulta che 8,7 milioni di persone si rivolsero telefonicamente al medico/pediatra di famiglia per una “sindrome simil-influenzale”. Meno di 1/4 furono visitate dal medico. Sono morte “con complicazioni influenzali” non meno di 18.000 persone, in prevalenza anziane. Di quelle 18.000, solo 173 (1 su 100) morirono in un reparto di rianimazione e in tutto furono 764 i “casi gravi da influenza confermata in soggetti ricoverati in terapia intensiva”. Cioè, le altre 17.000 persone sono morte a casa propria, o in casa di riposo, o in un qualche reparto ospedaliero, senza diagnosi confermata di influenza. Se i media due anni fa avessero scatenato il putiferio attuale, non meno di 75.000 malati con influenza avrebbero intasato le rianimazioni, al ritmo di 750 nuovi ingressi ogni giorno (finora in rianimazione ne abbiamo ricoverati 650 in tutto). Questi dati confermano che siamo di fronte a una epidemia di panico e che gli untori per eccellenza sono i media.

D. Ci dicono che in Italia abbiamo il più alto tasso di letalità e questo ci sta portando ad essere considerati “gli untori” per antomasia in Europa, tanto che siamo ormai isolati e, come me,  molti altri non possono rientrare.

R. I dati più affidabili vengono dalla Corea del Sud, che registra tassi di letalità attorno al 6 per mille (1/12 dei nostri). Questo si spiega perché la Corea ha fatto test a tappeto fin dall’inizio (già più di 200.000) e conferma quanto abbiamo detto sopra, cioè che le nostre statistiche usano un denominatore (persone infettate) assai ridotto e selezionato, il che ingigantisce falsamente il rapporto morti/infettati, cioè il tasso di letalità.

D. tra i tanti messaggi che arrivano nei social, in particolare in Whatsapp che è forse il più diffuso tra i mezzi di comunicazione veloce via smartphone, arrivano appelli di medici di rianimazione veramente preoccupanti, può dirci qualcosa in proposito?

R. Il nostro Sistema Sanitario pubblico collocava l’Italia ai primi posti nel mondo, con un invidiabile rapporto qualità/costi, ma a partire dal 1992 (legge-delega per la privatizzazione del SSN) è stato smantellato per favorire le speculazioni private, che non hanno alcun interesse a investire nei settori più costosi, come grandi chirurgie e rianimazioni. Mi permetta di dire che questo fatto non sarà mai ribadito e condannato abbastanza. Però le testimonianze e gli appelli accorati da parte di medici e infermieri dei reparti di terapia intensiva, ora sotto pressione per i malati gravi con Covid19, mentre sono condivisibili sul piano umano, sono fuorvianti per la comprensione di questa “epidemia”. Sarebbe come usare la testimonianza del marinaio di una scialuppa di salvataggio del Titanic per ricostruire la storia di quel naufragio… ma qui abbiamo solo qualche scialuppa: non c’è né il Titanic né l’iceberg. Non c’è epidemia, non c’è pandemia. E abbiamo due precedenti famigerati, proprio con due varianti di coronavirus che fecero tanto scalpore per poi rivelarsi veri e propri “fuochi di paglia”: la SARS del 2002 (8000 casi in tutto) e la MERS del 2012 (800 casi). Noti che la SARS ebbe una letalità del 9% e la MERS addirittura del 38%.

Il tasso di letalità del coronavirus in Italia è almeno 10 volte inferiore ai dati ufficiali. Nuova intervista all'epidemiologo Salmaso

D. Stanno arrivando voci di vaccini “quasi” pronti da parte di Israele o degli USA che potrebbero salvare molte vite aggredite da questo virus, lei cosa ne pensa?

R. Tanto rumore per un vaccino? Nell’influenza comune del 2017-18 il ceppo prevalente era A/H1N1pdm09 (più noto come H1N1 o “suina”), ed era incluso nel vaccino antinfluenzale somministrato a circa la metà degli ultrasessantacinquenni italiani, non solo quell’anno, ma anche negli anni precedenti. Quel ceppo ebbe origine nel 2009 negli USA, come variante dell’influenza suina. Nel 2010 il nostro Ministero della Salute si impegnò a pagare 184 milioni di euro alla Novartis per 24 milioni di dosi di vaccino contro la “H1N1 suina”, ma anche quella annunciata “pandemia” in realtà fu una vera e propria bufala mediatica: di fatto furono vaccinati meno di un milione di italiani, e 9 milioni di dosi di quel vaccino rimasero nei frigoriferi delle ASL.
Parlare di Israele (Netanyahu promise il vaccino a una settimana dalle recentissime elezioni) o di USA (pure loro in campagna elettorale, coi cittadini che, se disoccupati e non coperti da assicurazione, devono pagare una somma notevole per farsi fare un tampone, e per giunta col più alto tasso di risultati falsi positivi nel mondo) data la situazione conosciuta, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.

D. L’ultima domanda che le faccio, dottore, è cosa pensa delle misure per ridurre il contagio prese dal governo italiano.

R. Il grande Ennio Flajano diceva che in Italia “la situazione è grave ma non seria”. Per tutti i dati che abbiamo qui esaminato, dovremmo concludere che questa volta la situazione è “seria ma non grave”. Dico “seria” nel senso che le misure adottate riflettono l’ansia di dimostrarsi “seri e responsabili” ma mi domando: verso chi? Verso la UE? Verso la NATO? Perché non verso i cittadini italiani? Il primo requisito della serietà è la coerenza, e ogni cittadino lo sa se ha ricevuto messaggi coerenti dalle autorità e dagli “esperti” in questi 40 giorni. Walter Ricciardi, imbarcato nel pieno della tempesta, ha fatto miracoli sia nel fronte interno che su quello internazionale. E quando infuria la tempesta, quando le vele sono già lacerate e la barca è piena d’acqua, puoi solo spalare acqua e stare zitto. In scienza e coscienza io credo di spalare acqua, di rattoppare almeno qualche vela, e di stare (quasi) zitto. Ho detto quasi zitto: solidale coi colleghi (anche sottopagati) che fanno turni stressanti negli ospedali devastati da trent’anni di filibustering neoliberista, ma anche urlante a squarciagola contro “colleghi” veri o sedicenti tali che, in anonimato, seminano il terrore parlando di “nipotini che uccidono i nonni”, o di “incoscienti che escono a fare una passeggiata”, o che spacciano il prodotto XY come panacea curativa (e soprattutto preventiva, così non scappa neanche un potenziale cliente fra i 60 milioni) contro la “peste del 2020” che avrebbe una “contagiosità pazzesca” e una mortalità (sarebbe troppo pretendere da loro il termine corretto letalità) “spaventosa”. Ripeto: chi sta in prima linea negli ospedali oggi è davvero sotto stress, va rispettato e sostenuto, e le misure ragionevoli per ridurre le probabilità di contagio vanno adottate, ma un grande quotidiano della mia regione, il Veneto, oggi riferisce che abbiamo 498 letti di terapia intensiva, di cui 67 occupati da pazienti con tampone positivo per Covid19.

E torniamo alle autorità: minacciano 3 mesi di galera se una nonna si sposta in un’altra città per accudire i nipotini che sono rimasti senza scuola e senza babysitter (i genitori possono andare anche in capo al mondo, in un’azienda con migliaia di dipendenti, se quello è il loro posto di lavoro e il contagio passa in secondo piano). Lei ha visto anche solo la minaccia di una sanzione qualunque contro chi semina panico, a cominciare dai media mainstream?

D. Quindi lei accusa le autorità di poca coerenza se capisco bene? 

R. Certo, manca coerenza! Per ottenere responsabilità consapevole bisogna offrire coerenza. Io, credo coerentemente, da 40 giorni sto spiegando che, se confrontata con le vere pandemie, l’attuale “tempesta” assomiglia piuttosto a quella che un certo Truman Burbank deve affrontare nel film “The Truman Show”. E vorrei tanto sbagliarmi, ma ci vedo una non trascurabile differenza: le nostre autorità non sono Christof, non stanno nella cabina di regia ma nella barca, con Truman, me, lei, e 60 milioni di sciagurati concittadini. Se può consolare, al posto di Christof non ci vedo né i politici di Bruxelles né Trump. Nella cabina di regia io, già a metà gennaio, ho visto CNN, NYT, Guardian, e tutto il codazzo mainstream.

D. La ringrazio del tempo che ci ha dedicato e vado a fare un giro per Londra dove, fino a ieri, sono riuscita a contare solo 11 mascherine e tutte su visi orientali, ma tante persone raffreddate, serenamente starnutenti e tossicchianti sui mezzi pubblici e per la strada alla faccia delle precauzioni che hanno portato le loro autorità a isolare l’Italia.

Leggi le altre due interviste al dott. Leopoldo Salmaso, medico epidemiologo di Padova. Lavora con le popolazioni rurali della Tanzania da oltre trent’anni. Autore di “AIDS: Sindrome da Indifferenza Acquisita?” 

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-sciacalli_panico_e_virus_litalia_sta_dando_i_numeri_intervista_allepidemiologo_leopoldo_salmaso/5496_33231/

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-Ci_Raccontano_Dellincubo_Coronavirus_Dalla_Cina_Ma_In_Africa_Uccide_La_Malnutrizione_E_Linvasione_Di_Locuste_Fa_Paura/82_33083/

L’intervento della Turchia in Libia

Salman Rafi Sheikh, New Eastern Outlook 31.01.2020
Mentre molti rapporti su principali media occidentali affermavano che il “vero motivo” dell’intervento diretto della della Turchia in Libia (riflesso dell’ossessione di Erdogan) era creare un impero neo-ottomano nella regione, ciò potrebbe non essere vero. Creare un “impero”, anche se la parola non è letteralmente tradotta ed è generalmente intesa come catena di Paesi sotto l’influenza turca tramite i Fratelli Musulmani, la creazione di tale catena è lontana dalla realtà e non sarebbe possibile anche se Erdogan ha il supporto di Tripoli. Gli accordi della Turchia col governo di accordo nazionale (GNA) non intendono permettere un “impero”, ma mirano solo a creare una “legittimità” per un maggiore ruolo turco nella regione altrimenti dominata dai Paesi rival Emirati Arabi Uniti, Egitto, Grecia, Cipro ecc. In altre parole, è più una lotta di potere tra Paesi rivali nella regione che un tentativo di ristabilire un “impero”. Le ambizioni della Turchia sono ulteriormente ridotte dal fatto che l’unico alleato nella regione, il GNA, controlla meno del 30% del territorio libico e circa la metà della popolazione, ed affronta l’assalto di Qalifa Haftar, che ha il sostegno dei rivali dei turchi. Sulla questione della legittimità dell’intervento della Turchia, il GNA essendo un governo riconosciuto internazionalmente, può teoricamente “chiedere” alla Turchia di intervenire. Tuttavia, se questo porterà a un massiccio cambiamento dell’equilibrio di potere nella Libia è un’altra domanda, evidente dall’uscita di Qalifa Haftar fuori dal vertice, che sarebbe stato altrimenti uni successo turco imponendo all’opposizione le trattative col GNA.


Numerose forze a sostegno dell’Esercito nazionale libico di Qalifa Haftar serravano i ranghi contrastando l’intervento militare della Turchia in Libia. E, mentre i media turchi richiesero il sostegno da Paesi come Tunisia ed Algeria, entrambi si rifiutavano di partecipare al conflitto fornendo alla Turchia supporto logistico per le sue operazioni in Libia. L’Algeria, invece di accordarsi per dare una base alla Turchia, ricorreva alla diplomazia per risolvere il conflitto, evitando lo scontro militare. Sabri Bukadum, Ministro degli Eteri dell’Algeria, conferiva col Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres e successivamente con le controparti di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Mali, Niger, Ciad e Francia, tutti con un ruolo, diretto o indiretto, nel conflitto libico. La Tunisia, il Paese chiariva la sua posizione a Erdogan quando vi compì una visita non programmata iil 25 dicembre. Lungi dal convincere la Tunisia ad allearsi ai turchi, la visita rafforzò la neutralità tunisina. Il presidente tunisino Qays Said negò che il suo Paese si fosse allineato a Turchia e governo di Tripoli contro l’Esercito nazionale libico guidato da Qalifa Haftar, confermando che non sarebbe entrata nel “nesso”. Il portavoce del parlamento Rashid Ghanuchi, capo di al-Nahda e amico intimo di Erdogan nella rete dei Fratelli Musulmani, affermò che la Tunisia non partecipa al conflitto libico e potrebbe agire solo come mediatrice.
Ci sono ragioni cruciali per cui gli amici dei turchi si rifiutavano di partecipare al conflitto. La Turchia non solo invia truppe in Libia; ma anche vi trasferisce le sue milizie dalla Siria, un fatto che forse va a suo svantaggio allontanando i suoi amici dal conflitto, che evitano di essere coinvolti in un’altra ”avventura jihadista” turca e la crescente minaccia della diffusione dell’islamismo.

Mentre s’inserisce nel conflitto in Libia, la Turchia aumenterà la dipendenza di Tripoli da Ankara, e la Turchia diverrà inevitabilmente mediatrice nella regione, come in Siria, facendo parte dei processi di pace di Astana e Sochi e continuando a proteggere militarmente i suoi interessi attraverso la presenza militare aperta ad Idlib, dove bandiere turche e ritratti di Erdogan decorano le strade. Tuttavia, anche dopo aver combattuto per anni, il suo intervento in Siria non diede frutti facendo avanzare il sogno dell’impero turco “neo-ottomano”. Di conseguenza, a causa della posizione ancora più debole in Libia e dell’opposizione che affronta da amici e rivali, limiterà ulteriormente la misura che può adottare. Inoltre, anche l’UE non sostiene l’intervento turco. Mentre la Turchia, negli ultimi anni, ha sempre più adottato un approccio in politica estera piuttosto indipendente dalla NATO abbracciando un mondo sempre più polare, non si può dire che parte dei motivi della Turchia non sia contro la Grecia, derubando le zone marittime di un membro dell’UE; perciò la posizione dell’UE contro la Turchia.
Con la Grecia che offre i suoi militari come forza di mantenimento della pace in Libia e la minaccia della Turchia d’intervenire dalla parte del governo dei Fratelli Musulmani, si arriverebbe a una pericolosa escalation, invitando ulteriormente interventi diplomatici esterni e limitando la capacità di manovra della Turchia. Pertanto, l’unico vero vantaggio che la Turchia potrebbe trarre dall’intervento è che avrà molto più voce in capitolo syl risultato del conflitto di quanto non sarebbe altrimenti. Inviando truppe e milizie si creava uno spazio significativo di manipolazione tattica. La sua capacità di cambiare in modo massiccio l’equilibrio del potere a favore di Tripoli, sconfiggendo Haftar, è una possibilità estremamente remota, per non parlare della creazione di un “impero neo-ottomano”.
Salman Rafi Sheikh, analista di relazioni internazionali e affari esteri e interni del Pakistan, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio

A quando un risveglio fra popoli in Europa ?

11 dicembre 2019.
di Luciano Lago
Le manifestazioni di protesta in Francia e lo sciopero generale che sta paralizzando quasi del tutto il paese ci fanno accendere un barlume di speranza. La speranza che si vada avvicinando l’ora di un possibile risveglio dei popoli d’Europa che trasmettano un segnale forte alle elite finanziarie dominanti, un segnale di rivolta e di cambiamento.
Il risveglio di una Europa che possa rompere le sbarre invisibili della gabbia neoliberista, quella che ha avvolto ciascuno stato europeo affossando le possibilità di crescita, non può essere lontano ma, come avviene per molti cicli storici, bisogna arrivare al punto più basso della involuzione per poi afferrare la possibilità di un riscatto.
L’ispirazione per un riscatto e una rinascita di paesi europei non può che provenire da est dove già da tempo si è verificato il risveglio dei giganti asiatici, la Federazione Russa, la Cina, l’India, paesi che oggi dimostrano una vitalità ed una capacità di rompere l’ordine mondiale di marca anglo USA che avviluppava il mondo.
Nella fase attuale, dopo decenni di pratiche neoliberiste che hanno minato le capacità agroindustriali un tempo fiorenti di paesi come la Francia, l’Italia, la Spagna, sotto la gabbia dell’euro “postindustriale”, è diventato evidente che l’austerità e l’aumento delle tasse sono le uniche soluzioni che i tecnocrati dell’eurocrazia e i padroni della moneta, che si trovano nella Banca Centrale europea, potranno consentire . Questo perchè l’appartenenza all’euro proibisce a qualsiasi nazione di sforare il rapporto deficit /PIL al di sopra del 3%, mentre non esistono i mezzi finanziari per generare credito statale sufficiente per costruire progetti su larga scala necessari per una ripresa economica.
In altre parole, dal punto di vista delle regole del gioco imposte dalle elite finanziarie transatlantiche, la situazione è senza speranza.
Sul versante orientale dell’Eurasia si può constatare che la Russia e la Cina hanno trasformato con successo l’ordine internazionale utilizzando grandi risorse per investimenti in infrastrutture, fra queste la creazione della “Belt and Road” Initiative che può essere estesa a vari paesi europei. Diventa facile comprendere che, l’agganciarsi a questa iniziativa offre una opportunità unica per i paesi europei (almeno per quelli che desiderano mantenere la testa fuori di fronte all’imminente collasso economico).
Potrebbe essere questo l’unico mezzo praticabile per fornire lavoro, sicurezza e crescita economica a lungo termine alla loro gente poiché la Belt and Road, cocepita dagli strateghi cinesi, è radicata come un progetto di sistema aperto che non è collegato alla geopolitica del sistema chiuso atlantista di ispirazione hobbesiana.

Rivolta a Parigi dei gilet gialli

Per seguire questa strada è necessario contrastare i piani dei neoconservatori in Europa di ispirazione atlantista, fra i quali i partiti dei finti sovranisti, che vorrebbero ritornare ad un ordine atlantista chiuso che escluda la possibiltà per ogni stato di trattare e cooperare con i grandi paesi dell’est ed agganciarsi a questo sviluppo.
Non è un caso che il partito atlantista agiti lo spettro della minaccia russa e della minaccia cinese per impedire ai paesi europei di affrancarsi dalla dominazione americana sull’Europa che esiste dal 1945 e che oggi, superata da quasi 30 anni la politica dei blocchi contrapposti, non ha più alcun senso.
Piuttosto la elite di potere di Washington cerca con ogni mezzo, dalle sanzioni alle minacce ed ai ricatti, di imporre all’Europa una nuova politica dei blocchi anti Russia-Cina che impedirebbe all’Europa di affrancarsi dall’ipoteca della dominanzione americana sul continente.
La guerra commerciale lanciata dall’Amministrazione Trump contro la Cina e le continue provocazioni contro Pechino, con interferenze sui disordini a Hong Kong e divieto ai paesi alleati di utilizzare le reti 5 G, sono parte della strategia USA di impedire lo sviluppo di un progetto euroasiatico. Forma parte di questa strategia anche l’ostilità manifestata dagli USA al progetto energetico del nuovo gasdotto russo Nord Stream 2 che deve fornire gas alla Germania e all’Austria contro cui Washington, dopo aver inutilmente cercato di porre ostacoli, sta minacciando sanzioni.

Protesta contro il Dominio delle Banche in Europa

Non c’è però molto tempo a disposizione perchè il prossimo collasso economico dei paesi europei, stretti fra crisi economica, immigrazione incontrollata, disgregazione sociale, ipoteca finanziaria (vedi il MES) imposta dalle oligarchie di Bruxelles, non lascia molta scelta. I leader dei veri movimenti sovranisti hanno un margine di tempo ridotto per fare le scelte indispensabili: impugnare i trattati della gabbia eurocratica e neoliberista, essendo questi in contrasto con le costituzioni nazionali e con le necessità sociali delle popolazioni, e affrancarsi dai vincoli atlantisti prima di essere trascinati in nuovi conflitti bellici che il “Deep State” degli USA sta maturando in Medio Oriente e nelllo spazio indoasiatico.
La domanda è se esistano oggi questi leader consapevoli di quale sia la sfida oggi o se ci siano in giro solo delle controfigure che si agitano sulle piazze dei paesi eiropei lanciando slogans vuoti e contestando soltanto gli effetti delle politiche eurocratiche (austerità, immigrazione, precarietà e disoccupazione, ecc..) senza risalire alle cause primarie del disastro in corso d’opera.
La domanda attende ancora una risposta e il tempo stringe………

Preso da: https://www.controinformazione.info/a-quando-un-risveglio-fra-popoli-in-europa/

La Francia manipolata

Proseguiamo la pubblicazione del libro di Thierry Meyssan, Sotto i nostri occhi. In questo episodio l’autore ci mostra come la Francia post-coloniale sia stata reclutata da Regno Unito e Stati Uniti per unirsi alle loro guerre contro Libia e Siria. Queste due potenze l’hanno però tenuta all’oscuro del progetto “primavera araba”. Troppo impegnati a sottrarre fondi, i dirigenti francesi non si sono accorti di nulla. Quando si sono resi conto di essere stati esclusi dalla progettazione, la loro reazione è stata puramente comunicazionale: hanno tentato di farsi passare per gli ammiragli dell’operazione, senza preoccuparsi delle conseguenze dei maneggi dei partner.

| Damasco (Siria)

Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi.
Si veda l’indice.

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Il Regno Unito ha manipolato la Francia trascinandola nelle proprie avventure in Medio Oriente Allargato, senza rivelarle che vi si stava preparando, insieme agli Stati Uniti, sin dal 2005.

LA PREPARAZIONE DELLE INVASIONI IN LIBIA E SIRIA

Ancor prima dell’ufficializzazione della nomina da parte del Senato, il futuro segretario di Stato Hillary Clinton contatta Londra e Parigi per condurre una doppia operazione militare nel “Grande Medio Oriente”. Dopo il fiasco in Iraq, Washington reputa impossibile utilizzare le proprie truppe per un’operazione del genere. Dal suo punto di vista, è giunto il momento di rimodellare la regione – ossia ridisegnare gli Stati i cui confini erano stati definiti nel 1916 dagli imperi inglese, francese e russo (la “Triplice Intesa”) – per imporre linee di demarcazione favorevoli agli interessi degli Stati Uniti. L’accordo è noto con il nome dei delegati inglese e francese Sykes e Picot (il nome dell’ambasciatore Sazonov è stato “dimenticato” a causa della rivoluzione russa). Ma come convincere Londra e Parigi a mettere in discussione il proprio patrimonio se non promettendo di concedere loro di ricolonizzare la regione? Da qui la teoria della “leadership da dietro le quinte” (leading from behind). Tale strategia viene confermata dall’ex ministro degli Esteri di Mitterrand, Roland Dumas, che dichiarerà in TV di essere stato contattato da inglesi e statunitensi, nel 2009, per sapere se l’opposizione in Francia fosse a favore di un nuovo piano coloniale.

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Su istigazione degli Stati Uniti, Francia e Regno Unito firmano gli accordi di Lancaster House. Una clausola segreta prevede la conquista di Libia e Siria. l’opinione pubblica tuttavia ignora l’accordo tra Londra e Washington sulle future “primavere arabe”.

Nel novembre 2010 – ossia prima della cosiddetta “Primavera araba” – David Cameron e Nicolas Sarkozy firmano a Londra gli accordi di Lancaster House [1]. Ufficialmente, è un modo per creare sinergie tra gli elementi della Difesa – anche nucleari – e poter realizzare economie di scala. Benché sia un’idea decisamente bizzarra, alla luce degli interessi divergenti dei due paesi, l’opinione pubblica non capisce cosa si stia tramando. Uno degli accordi riunisce le “forze di proiezione” – da intendersi come forze coloniali – delle due nazioni.

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Operazione “Southern Mistral”: lo strano logo del Comando delle operazioni aeree. Il reziario non protegge l’uccello della libertà, bensì lo imprigiona nella rete.

Un allegato agli accordi precisa che il corpo di spedizione franco-britannica avrebbe condotto la più grande esercitazione militare congiunta nella storia dei due paesi – tra il 15 e il 25 marzo 2011 – sotto il nome di “Southern Mistral”. Il sito web della Difesa specifica che lo scenario di guerra prevede un bombardamento a lungo raggio per aiutare le popolazioni minacciate da “due dittatori del Mediterraneo”.

È proprio il 21 marzo che AFRICOM e CENTCOM – comandi regionali delle forze armate statunitensi – scelgono come data per l’attacco congiunto di Francia e Regno Unito nei confronti di Libia e Siria [2]. È il momento giusto, gli eserciti anglo-francesi sono pronti. Visto che le cose non vanno mai come previsto, la guerra contro la Siria viene rimandata e Nicolas Sarkozy – nel tentativo di colpire per primo – ordina alle sue forze di attaccare solamente la Libia, il 19 marzo, con l’operazione “Harmattan” (traduzione in francese di “Southern Mistral”).

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L’ex compagno di Gheddafi, Nuri Massud El-Mesmari, ha disertato il 21 ottobre 2010. Si è messo sotto la protezione dei servizi segreti francesi.

La Francia crede di avere un asso nella manica: il capo del protocollo libico Nuri Masud al-Masmari, che ha disertato e chiesto asilo a Parigi. Sarkozy è convinto che l’uomo sia un confidente del colonnello Gheddafi e che possa aiutarlo a identificare chi è pronto a tradirlo. Purtroppo, il “chiacchierone” conosceva gli impegni del colonnello, ma non partecipava alle riunioni [3].

Pochi giorni dopo la firma degli accordi di Lancaster House, una delegazione commerciale francese si reca in visita alla Fiera di Bengasi con funzionari del Ministero dell’Agricoltura, i capi di France Export Céréales e France Agrimer, i dirigenti di Soufflet, Louis Dreyfus, Glencore, Cani Céréales, Cargill e Conagra. Lì gli agenti della DGSE che li accompagnano incontrano in segreto alcuni militari per preparare un colpo di Stato.

Avvertita dagli Stati Uniti, Tripoli arresta i traditori il 22 gennaio 2011. I libici credono di essere protetti dalla nuova alleanza con Washington, quando dall’America si stanno invece preparando a condannarli a morte. I francesi, dal canto loro, si ritrovano costretti a tornare all’ombra del Grande Fratello statunitense.

Mentre i francesi si adoperano per predisporre l’invasione della Libia, gli statunitensi avviano la loro operazione, di portata decisamente superiore rispetto a quanto comunicato al loro agente Sarkozy. Non si tratta soltanto di detronizzare Muammar Gheddafi e Bashar al-Assad – come in effetti gli avevano fatto credere –, ma tutti i governi laici in vista di una sostituzione con i Fratelli musulmani. Iniziano così dagli Stati amici (Tunisia ed Egitto), lasciando gli inglesi e i francesi a occuparsi dei nemici (Libia e Siria).

Il primo focolaio si accende in Tunisia. In risposta al tentato suicidio di un venditore ambulante – Mohamed Bouazizi, il 17 dicembre 2010 – esplodono proteste contro gli abusi della polizia e, successivamente, contro il governo. La Francia, che crede siano state spontanee, si offre di dotare la polizia tunisina di attrezzature antisommossa.

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Nicolas Sarkozy e Michèle Alliot-Marie, all’oscuro del progetto anglosassone delle “primavere arabe”, mentre in Tunisia sta iniziando la “rivoluzione dei gelsomini”, negoziano con la famiglia del presidente Ben Ali la vendita di un aereo ufficiale, di cui si sono appropriati.

Nicolas Sarkozy e il ministro degli Interni Michèle Alliot-Marie nutrono piena fiducia in Zine El-Abidine Ben Ali, con il quale intrattengono “affari” personali. Dopo essersi fatti costruire ed equipaggiare un Airbus A330 come aereo presidenziale, hanno rivenduto i due vecchi velivoli destinati ai viaggi ufficiali. Uno degli A319 CJ è stato oscuramente rimosso dagli inventari e ceduto alla società tunisina Karthago Airlines, di proprietà di Aziz Miled e Belhassen Trabelsi (fratello della moglie di Ben Ali) [4]. Nessuno sa chi sia stato il fortunato beneficiario della transazione. Dopo la fuga del presidente Ben Ali, il velivolo sarà recuperato e venduto a una società di Singapore e, successivamente, alla Turchia.

Mentre si occupano della sua protezione, Nicolas Sarkozy e la Alliot-Marie restano increduli quando ricevono la richiesta del presidente Ben Ali di atterrare e rifugiarsi a Parigi. L’Eliseo fa appena in tempo ad annullare l’invio di un aereo cargo per il trasporto delle attrezzature di polizia che sono state promesse – aereo che sta aspettando sulla pista a causa delle lungaggini burocratiche della dogana – e quindi ad allontanare l’aereo del presidente decaduto dal suo spazio aereo.

Nel frattempo, in Egitto, l’ingegnere informatico Ahmed Maher e la blogger islamista Esraa Abdel Fattah invitano a manifestare contro il presidente Hosni Mubarak il 25 gennaio 2011, “giorno della rabbia”. Subito sostenuti dalla televisione del Qatar, Al Jazeera, e dai Fratelli musulmani, danno il via a un movimento che, con l’aiuto delle ONG della CIA, destabilizza il regime. Le manifestazioni si svolgono ogni venerdì – all’uscita dalle moschee –, a partire dal 28 gennaio, sotto il comando dei serbi “addestrati” dal promotore delle “rivoluzioni colorate”, Gene Sharp. L’11 febbraio Nicolas Sarkozy scopre da una telefonata del proprio patrigno – l’ambasciatore statunitense Frank G. Wisner – che, su istruzione della Casa Bianca, ha convinto il generale Mubarak a ritirarsi.

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Arrivato per partecipare alla riunione di lancio delle “primavere arabe” di Libia e Siria, il

La CIA organizza allora un incontro segreto al Cairo dove il presidente Sarkozy invia una delegazione che comprende il lobbista Bernard-Henri Lévy, ex amante di Carla Bruni e Ségolène Royal. Il Fratello musulmano Mahmud Gibril, il secondo uomo del governo libico a entrare nel locale, ne esce come capo dell’“opposizione al tiranno”. Tra i siriani presenti si annoverano, in particolare, Malik al-Abdah (già della BBC, ha creato Barada TV con il denaro della CIA e del Dipartimento di Stato) e Ammar al-Qurabi (membro di una serie di associazioni di difesa dei diritti umani e fondatore di Orient TV) [5].

È appena iniziata la guerra contro Libia e Siria.

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Mostrandosi sulla piazza Verde di Tripoli il 25 febbraio 2011, Gheddafi denuncia un attacco alla Libia da parte dei terroristi di Al Qaeda e proclama fieramente che, insieme al popolo, si batterà fino alla fine, pronto a far scorrere “fiumi di sangue” e a sacrificare sé stesso. Annuncia che saranno distribuite armi ai cittadini per difendere la patria in pericolo. La propaganda atlantista lo accuserà di voler far scorrere il sangue del popolo libico.

L’INIZIO DELLA GUERRA CONTRO LA LIBIA

La stampa occidentale assicura che la polizia libica ha represso una manifestazione a Bengasi, il 16 febbraio 2011, sparando sulla folla. Così il paese insorge – riporta sempre la stampa – e le autorità sparano su qualsiasi cosa si muova. Dal paese cercano di fuggire circa 200 mila lavoratori immigrati, che le TV mostrano in attesa ai valichi di frontiera. Muammar Gheddafi – che appare tre volte sullo schermo – parla senza mezzi termini di un’operazione architettata da Al Qaida, dicendosi disposto a morire da martire. Poi denuncia la distribuzione di armi al popolo per versare “fiumi di sangue”, sterminare questi “ratti” e proteggere il paese. Le frasi, estrapolate dal contesto originale, vengono diffuse dalle reti occidentali, che le interpretano come un annuncio non della lotta al terrorismo, ma della repressione di una presunta rivoluzione.

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Presi dal panico, gli operai neri dell’Est della Libia cercano di fuggire prima che la Jamahiriya sia rovesciata. Sono convinti che, ove gli Occidentali ristabilissero il vecchio regime, sarebbero ridotti in schiavitù. Secondo l’ONU, si riversano alle frontiere in decine di migliaia.

A Ginevra, il 25 febbraio, il Consiglio delle Nazioni Unite ascolta con sgomento la testimonianza della Lega libica per i diritti umani. Il dittatore è impazzito e “massacra il suo popolo”. Anche l’ambasciatore del Pakistan ne denuncia la violenza. Di colpo, la delegazione ufficiale libica entra nella stanza, conferma le testimonianze e si dichiara solidale con i concittadini contro il dittatore. Viene approvata una risoluzione, poi trasmessa al Consiglio di sicurezza [6], che adotta nell’immediato la Risoluzione 1970 [7], sotto il capitolo VII della Carta che autorizza l’uso della forza, stranamente pronta da diversi giorni. La questione viene posta all’esame della Corte penale internazionale e la Libia finisce sotto embargo. Quest’ultima misura è immediatamente adottata ed estesa all’Unione Europea. In anticipo rispetto agli altri paesi occidentali, Sarkozy dichiara: “Gheddafi deve andarsene!”.

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L’ex ministro della Giustizia, Musfafa Abdel Gelil, (qui con BHL), che aveva fatto torturare le infermiere bulgare, diventa capo del governo provvisorio.

Il 27 febbraio gli insorti a Bengasi creano il Consiglio nazionale di transizione libico (CNLT), mentre, lasciando Tripoli, il ministro della Giustizia, Mustafa Abdel Gelil, crea un governo provvisorio. Entrambi gli organi, controllati dai Fratelli musulmani, si uniscono per dare un’apparenza di unità nazionale. Subito le bandiere dell’ex re Idris spuntano a Bengasi [8]. Da Londra, suo figlio S.A. Mohammed El Senussi si dice pronto a regnare.

Non riuscendo a convincere tutti i membri del CNLT ad appellarsi agli occidentali, Abdel Gelil nomina un Comitato di crisi che gode di pieni poteri ed è presieduto dall’ex numero due del governo di Gheddafi, Mahmud Gibril, di ritorno dal Cairo.

A Parigi si ammira il modo in cui Washington gestisce gli eventi. Eppure, contraddicendo le informazioni provenienti da Bengasi e dalle Nazioni Unite, diplomatici e giornalisti a Tripoli assicurano di non presagire nulla che possa far pensare a una rivoluzione. Ma poco importa la verità, se le apparenze sono propizie. E così il “filosofo” Bernard-Henri Lévy persuade i francesi che la causa è giusta, assicurandosi di aver convinto lo stesso presidente della Repubblica a impegnarsi per la libertà dopo l’incontro con i libici “rivoluzionari”.

L’esercito francese preleva Mahmud Gibril e lo conduce a Strasburgo, dove egli chiede al Parlamento europeo l’intervento “umanitario” occidentale. Il 10 marzo Nicolas Sarkozy e il premier inglese David Cameron scrivono al presidente dell’Unione Europea per chiedere di riconoscere il CNLT al posto del “regime” e per imporre una no-fly zone [9]. Con perfetta coordinazione, il deputato verde francese Daniel Cohn-Bendit – agente d’influenza degli Stati Uniti dal maggio ’68 – e il liberale belga Guy Verhofstadt, riescono – il giorno stesso – a far adottare dal Parlamento europeo una risoluzione che denuncia il “regime” di Gheddafi e invita a prendere il controllo dello spazio aereo libico per proteggere la popolazione civile dalla repressione del dittatore [10]. Sempre lo stesso giorno, il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, rende noto il lavoro in corso sugli strumenti tecnici necessari per l’attuazione della no-fly zone.

Il 12 marzo la Lega araba vota a favore della no-fly zone nonostante l’opposizione di Algeria e Siria.

Unica stonatura in questo concerto unanime è la Bulgaria che, memore del fatto che Abdel Gelil aveva coperto le torture alle infermiere bulgare e al medico palestinese, rifiuta di riconoscere il CNLT. Da parte sua, l’Unione africana è fortemente contraria a qualsiasi intervento militare straniero.

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Il Libro Verde di Muammar Gheddafi.

La Jamahiriya Araba Libica è organizzata secondo i principi del Libro Verde di Muammar Gheddafi, estimatore dei socialisti libertari francesi del XIX secolo, Charles Fourier e Pierre-Joseph Proudhon. Il colonnello ha così ipotizzato uno Stato minimo che si rivela però incapace di difendere il popolo dagli eserciti imperialisti. Inoltre, ha affidato allo Stato il compito di soddisfare le aspirazioni dei beduini: un mezzo di trasporto, casa e acqua gratis. Così ognuno possiede un’auto propria, mentre il trasporto pubblico è di fatto riservato agli immigrati. In occasione del matrimonio, a ciascuno viene donato un appartamento, ma talvolta è necessario aspettare tre anni prima che la casa sia costruita, per poi potersi sposare. Si eseguono enormi lavori per attingere acqua da falde millenarie nelle profondità del deserto. Nel paese regna la prosperità, il tenore di vita è il più alto rispetto a tutto il continente africano. Ma, in materia di istruzione, si fa molto poco: anche se le università sono gratuite, la maggior parte dei ragazzi lascia presto gli studi. Muammar Gheddafi ha sottovalutato l’influenza delle tradizioni tribali: tre milioni di libici conducono una vita agiata, mentre due milioni di immigrati africani e asiatici sono al loro servizio.

Il 19 marzo si incontrano a Parigi 18 nazioni (Germania, Belgio, Canada, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Spagna, Stati Uniti, Francia, Grecia, Italia, Iraq, Giordania, Marocco, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Qatar e Regno Unito) e 3 organizzazioni internazionali (Lega araba, Unione Europea e ONU) per annunciare l’intervento militare imminente [11]. Poche ore dopo, la Francia scavalca i partner e attacca per prima.

In Siria la situazione è diversa e procede più lentamente. Gli appelli a manifestare del 4, 11, 18 e 25 febbraio e del 4 e 11 marzo a Damasco non sortiscono alcun effetto. Anzi, è in Yemen e in Bahrein che il popolo scende in piazza senza alcun invito.

Nello Yemen i Fratelli musulmani – tra cui la giovane Tawakkul Karman, che in seguito vincerà il Nobel per la Pace – danno il via a una “rivoluzione”. Ma, come nel caso della Libia, il paese si fonda su un’organizzazione tribale, per cui non è possibile disporre di una lettura prettamente politica degli eventi.

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Nicolas Sarkozy dà istruzioni a Alain Bauer per contrastare la rivoluzione in Bahrein.

Su richiesta del re del Bahrein, l’esercito saudita arriva nel minuscolo regno che ospita la V Flotta statunitense per “ristabilire l’ordine”. Il Regno Unito invia il torturatore Ian Anderson, che aveva fatto meraviglie nella gestione della repressione in epoca coloniale – ossia, prima del 1971 – mentre, per riorganizzare la polizia, la Francia invia Alain Bauer, consigliere per la sicurezza del presidente Sarkozy ed ex responsabile per l’Europa della NSA statunitense in Europa ed ex gran maestro del Grand Orient de France [12].

Il caos si propaga per contagio, ma resta ancora da far credere che siano stati i popoli a ispirarlo e che l’obiettivo sia l’instaurazione della democrazia.

(Segue…)

Traduzione
Alice Zanzottera
Rachele Marmetti
Giornale di bordo

La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.

[1] « Déclaration franco-britannique sur la coopération de défense et de sécurité », Réseau Voltaire, 2 novembre 2010.

[2] “Washington cerca il sopravvento con “l’alba dell’odissea” Africana”, di Thierry Meyssan, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 20 marzo 2011.

[3] “Sarkozy manovra la rivolta libica”, di Franco Bechis, Libero, 23 marzo 2011.

[4] « Un avion présidentiel dans la 4e dimension », par Patrimoine du Peuple, Comité Valmy , Réseau Voltaire, 6 mars 2011.

[5] Rapporto dell’intelligence estera libica.

[6] « Résolution du Conseil des droits de l’homme sur la situation en Libye », Réseau Voltaire, 25 février 2011.

[7] « Résolution 1970 et débats sur la Libye », Réseau Voltaire, 26 février 2011.

[8] « Quand flottent sur les places libyennes les drapeaux du roi Idris », par Manlio Dinucci, Traduction Marie-Ange Patrizio, Réseau Voltaire, 1er mars 2011.

[9] « Lettre conjointe de Nicolas Sarkozy et David Cameron à Herman Van Rompuy sur la Libye », par David Cameron, Nicolas Sarkozy, Réseau Voltaire, 10 mars 2011.

[10] « Résolution du Parlement européen sur le voisinage sud, en particulier la Libye », Réseau Voltaire, 10 mars 2011.

[11] « Déclaration du Sommet de Paris pour le soutien au peuple libyen », Réseau Voltaire, 19 mars 2011.

[12] « La France impliquée dans la répression des insurrections arabes », Réseau Voltaire, 3 mars 2011.

L’appello degli accademici contro la riforma del Mes

 

L’accademia italiana apre un fronte contrario alla riforma del Mes di cui tanto si discute nelle ultime settimane. Dopo che grossi calibri come il presidente della Consob Paolo Savona avevano colpito duramente una riforma definita incompleta e rischiosa, trentadue economisti di tutta Italia hanno presentato un appello per invitare a ragionare seriamente su un’evoluzione delle regole europee definita, per l’Italia, “inutile: non ne abbiamo bisogno e comunque ricorrervi peggiorerebbe la nostra situazione”.
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L’appello dei trentadue economisti è stato pubblicato sotto forma di lettera aperta su Micromega. Tra i firmatari alcuni dei nomi più importanti degli studi economici italiani: dall’accademico postkeynesiano Sergio Cesaratto, docente all’Università di Siena e noto critico delle dottrine economiche dominanti in Europa, al direttore di Economia e Politica,Riccardo Realfonzo. Passando per un importante studioso delle disuguaglianze come Maurizio Franzini, per il consolidato gruppo degli economisti di Roma Tre e per Giovanni Dosi, docente alla Scuola Superiore Sant’Anna ed ex consigliere del Movimento Cinque Stelle.
Un elenco di firmatari di tutto rispetto, per una presa di posizione netta: con la riforma del Mes, che vincola l’intervento del “fondo salva-Stati” a precise regole sul debito e il deficit “si rafforzano i poteri di un organismo assolutamente coerente con l’impostazione che ha prevalso nell’Unione, secondo cui gli obiettivi essenziali della politica economica, quelli su cui si concentrano le regole del Fiscal compact non a caso richiamate in questa riforma, sono essenzialmente il consolidamento dei conti pubblici e la riduzione del debito”. L’ennesima celebrazione del pericoloso dogma dell’austerità, insomma. Ai fini della crescita “questa concezione non prevede altro che le “riforme strutturali”, che dovrebbero stimolare le forze spontanee del mercato. Il fatto che ciò non sia avvenuto e che non stia avvenendo viene del tutto ignorato”.
Il manifesto, inoltre, sottolinea come ci sia incongruenza tra la prospettiva di un Mes inteso come prestatore di ultima istanza dell’Eurozona e la limitatezza delle risorse ad esso conferito, oltre che con l’esplicito divieto per la Bce di svolgere tale compito. Rilievo già evidenziato di recente dal citato Savona, e che forse rappresenta il punto di maggior vulnerabilità di un organismo che, è bene ricordarlo, è esterno all’architettura tradizionale Ue.
La riforma del Mes ha inoltre evidenziato una serie di incoerenze nel governo italiano, con le dichiarazioni di Giuseppe Conte Roberto Gualtieri sulle prospettive di modificabilità del Mes che puntualmente si smentivano reciprocamente prima che a far chiarezza intervenissero, da Berlino e Bruxelles, Olof Scholz e Mario Centeno. Il Mes è immodificabile, prendere o lasciare.
E allora che dovrebbe fare l’Italia, in un contesto che vede la riforma proseguire da sola, senza contrappesi che aiutino a stabilizzare i rapporti tra rischi attesi e dividendi sperati per i diversi Paesi dell’Eurozona? Secondo gli economisti “l’Italia non dovrebbe sottoscrivere la riforma dell’Esm. L’obiezione che in questo modo il nostro paese si troverebbe politicamente isolato è singolare: l’Italia è già politicamente isolata, altrimenti non saremmo in questa situazione. E d’altronde in una situazione analoga ci troveremo quando si stringerà sulla seconda riforma, quella sulla garanzia dei depositi: non potremo mai accettare la condizione posta da Scholz, che equivarrebbe a tuffarci nel default”.

Al veto sull’Esm bisognerebbe “dare il significato di un rifiuto della logica che ha finora prevalso in Europa e che si è rivelata perdente dal punto di vista dell’efficacia”. L’invito rivolto al Parlamento è dunque a prendere una decisione coraggiosa, che da sola non basterà. Serve che l’Italia sappia farsi promotrice di un progetto capace di superare veramente il fronte dell’austerità, stabilendo alleanze con quei Paesi, specie mediterranei, che dal rigore sui conti hanno avuto più da perdere. Ne saremo capaci?

La Libia e la Turchia si spartiscono il Mediterraneo, sfidando l’Unione europea e l’Egitto

Il governo fantasma di Tripoli e la Turchia firmano accordi di cooperazione sugli idrocarburi offshore, ai danni di Cipro, Grecia, Egitto e Israele

[2 Dicembre 2019]

Il 30 novembre, la delegazione della Grecia che stava assistendo all’inaugurazione del Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline (TANAP), il gasdotto che porterà il gas del giacimento azero di Shah Deniz dal Mar Caspio in Italia e in Europa, ha abbandonato la cerimonia dopo che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato che entrerà in vigore l’accordo tra Turchia e Libia sul confine marittimo e che sarà applicato in tutte le sue disposizioni. La delegazione greca presente all’inaugurazione del TANAP era guidata dal vice-ministro dell’ambiente e dell’energia Dimitris Ikonomu che dopo aver definito provocatorie le dichiarazioni di Erdogan ha spiegato: «Ero lì come rappresentante del governo greco su questo tema molto concreto: il gasdotto TANAP sarà connesso al gasdotto transadriatico TAP. Era la ragione della nostra partecipazione all’inaugurazione. Quando Erdogan ha affrontato dei problemi scollegati con l’inaugurazione del gasdotto e ha evocato la Grecia in maniera provocatoria, ho giudicato giusto andarmene. I turchi mi hanno chiesto perché stavo andando via ed ho spiegato loro che non potevo restare dopo una tale dichiarazione».

Erdogan aveva dichiarato che la Turchia non fermerà le prospezioni e le trivellazioni al largo di Cipro e nella Zona economica esclusiva (Zee) di Cipro, che considera come area turca perché di fronte a Cipro Nord, lo Stato etnico turco auto-dichiaratosi indipendente nel 1983, dopo l’invasione militare turca del 1974, e che é riconosciuto solo da Ankara. Secondo Erdogan, sono i diritti dei turco-ciprioti allo sfruttamento di quei giacimenti hoffshore ad essere violati e, quindi, la Turchia «agisce nel quadro del diritto internazionali». E ha aggiunto: «Crisi e vociferazioni non costringeranno la Turchia a evacuare le sue navi».
In seguito, il ministero degli esteri della Grecia ha definito Erdogan «Il principale violatore del diritto
Dopo i colloqui tra Erdogan e il presidente del Consiglio presidenziale libico Fayez Sarraj a Istanbul,. la Libia e la Turchia hanno firmato due memorandum d’intesa sulla sicurezza e la cooperazione marittima. Secondo un comunicato della presidenza turca «Erdogan ha discusso con Sarraj della situazione in atto in Libia e in altre questioni regionali in una riunione che è durata per più di due ore» e ha ribadito il sostegno della Turchia al governo libico di Tripoli contro il generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar – il capo della Libyan National Army (LNA) che sta assediando e bombardando da mesi la capitale libica e che occupa gran parte del Paese – di Haftar, confermando che «Non esiste una soluzione militare al conflitto libico».
Il ministro degli interni del governo libico di Tripoli, Fathi Bashagha, «I memorandum d’intesa includono formazione, scambio di competenze e promozione dei sistemi di sicurezza, oltre alla lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata», mentre il ministro degli esteri Mohammed Sayala ha rivelato che «Il protocollo d’intesa marittimo mira a proteggere i diritti legittimi dei due Paesi nelle rispettive zone economiche. Questo protocollo d’intesa contribuirà alla protezione della sovranità libica sul Mediterraneo».
In realtà, con l’accordo Serraj e Erdogan (ri)definiscono come vogliono loro i confini delle acque territoriali. Come fa notare l’agenzia iraniana Pars Today, «La delimitazione non è nota, ma protestano Egitto e Grecia, già in contrasto con Ankara sulle trivellazioni a sud di Cipro», facendo notare che l’accordo «potrebbe complicare le controversie di Ankara sullo sfruttamento energetico con gli altri Paesi dell’area».
La Turchia non ha specificato come siano stati delineati i limiti delle acque turche e libiche. Negli anni scorsi la Libia aveva riconosciuto unilateralmente di propria pertinenza le acque attualmente corrispondenti alla zona search and rescue (SAR), cosa che quando ci provò Gheddafi gli costò i primi bombardamenti statunitensi.
Secondo il ministro degli Esteri turco. Mevlut Cavusoglu, «Questo significa proteggere i diritti della Turchia derivanti dal diritto internazionale».
L’accordo firmato tra il governo fantasma di Tripoli (sostenuto dall’Italia e dalla comunità internazionale) è stato duramente criticato da Grecia, Cipro, Israele ed Egitto, Per il regime del Cairo, stretto alleato di Ḥaftar, l’accordo è completamente illegale, mentre per la Grecia, è geograficamente assurdo perché ignora non solo la sovranità di Cipro, ma addirittura la presenza dell’isola greca di Creta tra le coste della Turchia e della Libia.
Pars Today fa notare che «A pochi giorni dal Med, la conferenza per il dialogo fra i paesi mediterranei, che avrà inizio il 5 dicembre e che vedrà, tra gli altri la presenza del ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, la situazione della Turchia si va sempre più complicando ed è probabile che il summit di Roma, dove sono attesi anche il ministro degli esteri del governo di accordo nazionale libico, Mohamed Taher Siala e l’omologo turco Cavusoglu, servirà a sciogliere i nodi di questa trama sempre più complessa. La disputa sulla Continental Shield ha lasciato Ankara alla ricerca di alleati nella regione. I nuovi accordi firmati mercoledì dal presidente turco Tayyip Erdogan e Fayez al-Serraj, il capo del governo di Tripoli assediato dall’esercito ribelle del generale Haftar, segnano un’importante alleanza destinata a far schierare i Paesi della Ue, che di recente hanno varato un pacchetto di sanzioni economiche nei confronti della Turchia per le trivellazioni a sud di Cipro».
Infatti, si tratta di un vero e proprio schiaffo in faccia sferrato all’Unione europea e di una provocazione verso il nostro governo che appoggia Sarraje che, attraverso il gasdotto TAP è coinvolto anche economicamente in tutta questa faccenda.
Il 15 luglio il Consiglio dei ministri dell’Ue aveva deciso che. «Alla luce delle attività illegali di trivellazione della Turchia, protratte nel tempo e anche nuove, di sospendere i negoziati sull’accordo globale sul trasporto aereo e aveva convenuto di non tenere, per il momento, il consiglio di associazione né ulteriori riunioni dei dialoghi ad alto livello tra l’Ue e la Turchia». Aveva inoltre approvato la proposta della Commissione Ue di «ridurre l’assistenza preadesione alla Turchia per il 2020 Il Consiglio aveva anche deciso che l’alto rappresentante e la Commissione dovessero proseguire i lavori su opzioni in vista di misure mirate». E aveva invitato la Banca europea per gli investimenti a riesaminare le sue attività di prestito in Turchia, in particolare per quanto riguarda le attività di prestito garantite da titoli di Stato.
Nelle sue conclusioni il Consiglio deplorava che, «Nonostante i ripetuti inviti dell’Unione europea a cessare le sue attività illegali nel Mediterraneo orientale, la Turchia prosegua le trivellazioni nelle acque territoriali cipriote. Il Consiglio ha ribadito il grave impatto negativo immediato che tali azioni illegali hanno nell’ambito delle relazioni Ue-Turchia. Ha chiesto ancora una volta alla Turchia di astenersi da tali azioni, di agire in uno spirito di buon vicinato e di rispettare la sovranità e i diritti sovrani di Cipro conformemente al diritto internazionale».
In precedenza i ministri degli esteri dell’Ue avevano approvato sanzioni contro la Turchia contro l’esplorazione di giacimenti di idrocarburi nella Zona economica esclusiva di Cipro dove operavano le navi trivellatrici turche Yavuz e Fatih.
Il 10 ottobre al Cairo si è tenuto il settimo incontro tripartito consecutivo del vertice Cipro-Grecia-Egitto, che hanno visto la partecipazione del presidente di Cipro Nicos Anastasiades, del presidente dell’Egitto Abdel Fattah el-Sisi e del primo ministro della Grecia Kyriakos Mitsotakis. Allora Sisi aveva spiegato: «abbiamo discusso dell’escalation e degli sviluppi in Medio Oriente derivanti da azioni unilaterali che mirano a disturbare e turbare la stabilità dei Paesi della regione. Abbiamo sottolineato che la sicurezza e la stabilità sono una priorità strategica per tutti noi, che è necessario un coordinamento comune e che senza di essa non possiamo godere dei frutti del processo della cooperazione tripartita». Riferendosi al problema di Cipro, il presidente egiziano ha sottolineato «Il sostegno del nostro Paese per le azioni intraprese dal governo di Cipro e per una soluzione pacifica del problema di Cipro».
Anastasiades aveva aggiunto. «Sulle questioni energetiche, che sono uno dei pilastri fondamentali del meccanismo tripartito, abbiamo ribadito la nostra forte volontà di rafforzare la nostra cooperazione attraverso una serie di nuovi accordi per lo sfruttamento e trasporto di gas naturale. Ho informato i due leader sugli ultimi sviluppi in merito al problema di Cipro (…) perché le ultime azioni inaccettabili della Turchia e l’intenzione di condurre esercitazioni esplorative all’interno dei lotti riconosciuti e autorizzati come della Repubblica di Cipro a livello internazionale, non solo inquinano il clima e aumentano le tensioni, ma costituiscono anche una palese violazione dei diritti sovrani della Repubblica di Cipro e del diritto internazionale (…) Ho informato i miei interlocutori che siamo determinati a esaurire tutti i mezzi diplomatici a nostra disposizione per far cessare le violazioni turche e affinché ci sia pieno rispetto per l’esercizio senza ostacoli dei diritti sovrani della Repubblica di Cipro. Le azioni unilaterali e inaccettabili della Turchia, sono molto lontane da questi principi, mentre allo stesso tempo costituiscono una minaccia per la più ampia stabilità, pace e sicurezza nel già tumultuoso Mediterraneo orientale. In questo contesto, siamo certi che, in momenti così critici, avremo il forte sostegno e la solidarietà, come già abbiamo, della comunità internazionale e dell’Unione europea».
Il premier greco Mitsotakis ha espresso tutto il sostegno della Grecia «per trovare una soluzione giusta e praticabile al problema di Cipro. Una soluzione sulla base di una federazione bi-zonale, bi-comunitaria, in conformità con le risoluzioni delle Nazioni Unite e senza truppe di occupazione e senza garanzie ed è per questo che noi, tutti e tre i Paesi, siamo a favore della ripresa dei colloqui sull’isola. Cipro, Egitto e Grecia, abbiamo tutti condannato categoricamente le azioni illegali della Turchia nelle zone marittime di Cipro, che mancano di rispetto al diritto internazionale e incitano a una sterile tensione, mentre abbiamo anche condannato il comportamento provocatorio della Turchia nell’Egeo che è anche contro il diritto internazionale e le relazioni di buon vicinato. Ho anche presentato queste problematiche al Segretario di Stato americano che era in visita ad Atene. E vale la pena registrare le sue due chiare posizioni ufficiali: sia a favore della protezione che della sicurezza nazionale della Grecia sia contro le esercitazioni illegali nella zona economica esclusiva cipriota e nel lotto 7. Abbiamo discusso in particolare dell’annuncio delle intenzioni di azioni a Varosha che violano le chiare decisioni del Consiglio di sicurezza e, naturalmente, il fatto che la Turchia stia procedendo con l’ennesimo atto illegale nel mare che non solo rientra nella zona economica esclusiva cipriota, ma è stato delimitato ed è stato concesso in licenza a società europee».
Ma dopo le ultime dichiarazioni di Erdogan gli Usa hanno fatto sapere che non hanno niente in contrario all’accordo turco-libico. Evidentemente, come è suo costume, Trump ha cambiato idea.
Invece, il 17 e 18 ottobre l’Ue ha ribadito «piena solidarietà a Cipro per quanto riguarda il rispetto della sua sovranità e dei suoi diritti sovrani, in conformità del diritto internazionale, e ha invitato la Commissione e il servizio europeo per l’azione esterna a presentare proposte relative a un quadro di misure restrittive». E ha ricordato e riaffermato «Le precedenti conclusioni del Consiglio e del Consiglio europeo, comprese le conclusioni del Consiglio europeo del 22 marzo 2018 e del 20 giugno 2019, contenenti una ferma condanna delle continue azioni illegali della Turchia nel Mediterraneo orientale». Il Consiglio ha espresso «seria preoccupazione per le attività illegali di trivellazione della Turchia nel Mediterraneo orientale» e ha deplorato che la Turchia non avesse ancora risposto ai ripetuti inviti dell’Unione europea a cessare tali attività.
L’11 novembre il Consiglio Ue ha adottato «un quadro di misure restrittive in risposta alle attività di trivellazione non autorizzate della Turchia nel Mediterraneo orientale. Il quadro consentirà di sanzionare le persone o entità responsabili o coinvolte nelle attività di trivellazione non autorizzate nel Mediterraneo orientale in cerca di idrocarburi. Le sanzioni prevedono: «Il divieto di viaggio nell’Ue e il congelamento dei beni per le persone e il congelamento dei beni per le entità. Sarà inoltre fatto divieto alle persone ed entità dell’UE di mettere fondi a disposizione di persone ed entità inserite nell’elenco. Il quadro di misure restrittive consente di sottoporre a sanzioni: 1. persone o entità responsabili delle attività di trivellazione connesse alla ricerca e alla produzione di idrocarburi non autorizzate da Cipro nel suo mare territoriale o nella sua zona economica esclusiva (ZEE), oppure sulla sua piattaforma continentale. Tali attività di trivellazione includono, nei casi in cui la ZEE o la piattaforma continentale non sia stata delimitata in conformità del diritto internazionale, le attività suscettibili di compromettere od ostacolare il raggiungimento di un accordo di delimitazione. 2. persone o entità che forniscono alle suddette attività di trivellazione sostegno finanziario, tecnico o materiale. 3. persone o entità ad esse associate».
Come risposta l’Unione europea ha avuto le provocatorie e tracotanti dichiarazioni di Erdogan e del governo fantocci libico che sta in piedi solo grazie ad aiuti di Paesi dell’Unione europea, a partire dall’Italia.

Preso da:  http://www.greenreport.it/news/energia/la-libia-e-la-turchia-si-spartiscono-il-mediterraneo-sfidando-lunione-europea-e-legitto/

Nino Galloni: il Mes è una follia, ma il tradimento risale al 1981

25 novembre 2019.
Alto tradimento, da parte di Giuseppe Conte, se ha firmato un accordo segreto sul Mes che espone gli italiani al rischio di dover sostenere di tasca propria l’eventuale “ristrutturazione” del debito pubblico? «Se Conte avesse stipulato un patto segreto contro il suo paese, il reato di alto tradimento dovrebbe essere accertato dai magistrati competenti».
Lo afferma l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, richiamando l’allarme lanciato da Paolo Becchi. Per Galloni, «Becchi ha sollevato una questione reale, ma il problema – sottolinea – è dimostrare che questi accordi ci siano stati». In ogni caso, aggiunge, «le grandi decisioni di politica economica, come il divorzio del 1981 tra Tesoro e Bankitalia, non sono mai passate per il Parlamento». Galloni sgombra il campo da un equivoco: non è stata “l’Europa” a mettere nei guai l’Italia. E’ stata la classe dirigente italiana a smontare l’industria pubblica e svendere quella privata. «A quel punto, Francia e Germania hanno fatto dell’Italia una colonia a vantaggio dei loro interessi», ma solo dopo la decisione dell’Italia di rinunciare a valorizzare il proprio grande potenziale economico.
A Galloni, il Mes sembra «una follia», letteralmente: «Dato che il credito privato è più elevato del debito pubblico, allora i privati pagheranno la differenza?». Assurdo, visto che «chi compra i titoli di debito sta dando risorse allo Stato». Quanto all’ex Fondo salva-Stati, ora Meccanismo Europeo di Stabilità (creato per assicurare fondi ai governi, senza più moneta sovrana, nel caso il mercato non comprasse i loro bond), Galloni è netto: «Non si può decretare la depenalizzazione per un istituto come il Mes», i cui funzionari non rispondono alle leggi dei paesi membri. «Casomai, gli Stati avrebbero dovuto accordarsi sull’istituzione di un tribunale penale europeo per le questioni monetarie, finanziarie e tributarie», sostiene l’economista.
«Sarebbe stato coerente con la Costituzione italiana, laddove parla di limitazioni della sovranità (ma certo non contro la logica del diritto, depenalizzando reati commessi da qualcuno che è al di sopra della legge)». Aggiunge Galloni: «Se tutta questa manfrina sul Mes serve a introdurre nel sistema la categoria del “legibus solutus”, cioè del sovra-sovrano, è chiaro che siamo tornati indietro dal punto di vista della civiltà».

Conte con Moscovici

Il problema però non è di oggi, ricorda Galloni: innanzitutto, «i partner Ue hanno sottoscritto accordi basati su parametri che non tenevano conto del fatto che l’economia potesse andare male: si riteneva che l’Ue e l’euro, di per sé, avrebbero garantito una crescita costante, attorno al 2% annuo». Poi c’è stata la doccia fredda del 2009, eppure le premesse allarmanti non mancavano: i tassi di sviluppo negli anni ‘70 erano altissimi, ma sono calati già negli anni ‘80. Negli anni ‘90 sono ulteriormente scesi, e così negli anni duemila, fino a crollare negli ultimi anni. L’economia è in crisi, ma i parametri Ue sono ancora quelli della crescita presunta.
«In base al principio “ad impossibilia nemo tenetur”, questi parametri sono annullabili». In una situazione recessiva, che senso ha limitare ancora il deficit al 3% del Pil, e il debito pubblico al 60% del prodotto interno lordo? «Non si era prevista una situazione di crisi e recessione? Male: allora l’accordo era mal fatto, quindi bisogna modificarlo».

Moscovici con Soros

Comunque, ragiona Galloni, «riguardo al parametro debito-Pil, quelli che firmarono per l’Italia ai tempi di Maastricht non lo sapevano, che il debito italiano aveva superato il Pil già da anni? Perché sono andati a firmare che il debito pubblico doveva scendere sotto il 60%, quando già era al 115%?». Secondo l’economista, «sarebbe stato meglio dire: debito pubblico e debito privato non possono superare il 400%».
In quel caso, oltretutto, noi italiani «saremmo “virtuosi” insieme alla Germania, mentre oggi tutti gli altri paesi sono oltre il 400%, se si somma il debito dello Stato a quello delle famiglie e delle imprese». In altre parole, «noi siamo le pecore nere solo per il debito dello Stato, ma si sa che grossomodo il debito pubblico corrisponde alla ricchezza privata».
Vie d’uscita, a parte le polemiche sul Mes? Per Galloni, «qui bisogna mettersi intorno a un tavolo seriamente – Italia, Francia e Germania in primis – e dire: rispettiamo solo i parametri che abbiano un senso (e questi non ne hanno: lo sanno pure i sassi). E che siano parametri espressi da organi che sanno di cosa stanno parlando, e non da politici che vanno a svendere i loro paesi».
(Fonte: video-intervento di Nino Galloni su YouTube registrato con Marco Moiso il 20 novembre 2019).

Preso da: https://www.controinformazione.info/nino-galloni-il-mes-e-una-follia-ma-il-tradimento-risale-al-1981/