La ricostituzione del Partito Coloniale francese

Eletto presidente per ripiego dopo l’arresto di Dominique Strauss-Khan, François Hollande ignorava le funzioni proprie del presidente della repubblica, sicché si affidò agli alti funzionari. Seguendo le loro istruzioni proseguì la politica del predecessore. In politica estera riprese i dossier in corso senza però tener conto della svolta di fine mandato di Nicolas Sarkozy. I fautori di una nuova epopea coloniale si compattarono al suo seguito.

| Damasco (Siria)

Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi.
Si veda l’indice.

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François Hollande pone il proprio quinquennato sotto gli auspici di Jules Ferry (1832-1893), il socialista teorico della colonizzazione francese.

FRANÇOIS HOLLANDE E IL RITORNO DEL PARTITO DELLA COLONIZZAZIONE

Ma Sarkozy perde le elezioni presidenziali. Quando lascia l’Eliseo, comincia a essere stipendiato dal Qatar con 3 milioni di euro l’anno e lo rappresenta, per esempio, nel consiglio di amministrazione del gruppo alberghiero Accor.

Benché sia stato eletto sotto l’egida del partito socialista, François Hollande governa a nome del “partito della colonizzazione” [1]. Dopo un anno e mezzo di mandato, annuncia ai suoi elettori – lasciandoli a bocca aperta – che non è un socialista, bensì un socialdemocratico. In realtà tutto è chiaro fin dal giorno in cui assume la carica: come i suoi predecessori, sceglie per la propria cerimonia d’investitura gli auspici di una personalità storica, nello specifico Jules Ferry (1832-1893). Certo, quest’ultimo aveva reso gratuita la scuola primaria, ma al tempo era estremamente impopolare ed era soprannominato “il Tonchinese”. Ferry difese infatti gli interessi dei grandi gruppi industriali in Tunisia, in Tonchino e in Congo, trascinando la Francia in avventure razziste e coloniali. Contrariamente all’opinione comune, il suo interesse per l’istruzione primaria non era rivolto all’educazione dei bambini, ma alla loro preparazione come soldati per la colonizzazione. È per questo che i suoi insegnanti erano definiti “hussard noirs”.

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Il socialista Jules Ferry (al centro, con i favoriti) ha teorizzato il diritto dei «popoli superiori» a «civilizzare» i «popoli inferiori». Ha capeggiato il “Partito coloniale”, lobby trasversale degli interessi coloniali. Ha istituito la scuola pubblica gratuita e obbligatoria per sottrarre i bambini all’influenza del clero e farne buoni soldati.

Può sembrare una forzatura parlare di “colonizzazione francese” a proposito di François Hollande, visto che l’espressione sembra ormai obsoleta. Spesso se ne fraintende il significato, perché viene erroneamente associata alla colonizzazione in senso stretto quando si tratta, in realtà, di un concetto anzitutto economico. Nel XIX secolo, mentre i contadini e gli operai resistevano, fino a morirne, ai padroni che li sfruttavano spudoratamente, alcuni di questi ebbero l’idea di occuparsi dei propri profitti a scapito di popoli meno organizzati. Per portare a termine il loro piano modificarono sia il mito nazionale, sia l’organizzazione laica dello Stato per strappare il popolo all’influenza delle chiese.

Giungendo all’Eliseo, Hollande sceglie come primo ministro Jean-Marc Ayrault, considerato un uomo assennato che però ha già perorato la causa della colonizzazione della Palestina. È presidente onorario del Cercle Léon Blum, un’associazione creata da Dominique Strauss-Kahn per raccogliere i sionisti nel partito socialista.

Nel 1936 il primo ministro Léon Blum promise al movimento sionista di creare lo Stato d’Israele nel Libano e nella Siria, allora sotto mandato francese [2].

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Già nel 1991, quando era primo ministro, Laurent Fabius non aveva manifestato particolare sollecitudine per la vita altrui.

Hollande nomina Laurent Fabius come ministro degli Esteri. In precedenza i due sono stati rivali, ma Fabius ha negoziato con l’emiro del Qatar e con Israele l’appoggio alla campagna elettorale [3]. È un uomo senza ideali, che cambia più volte opinione su questioni importanti quando se ne presenta l’opportunità. Nel 1984, durante la sua carica di premier, vengono infettati duemila emofiliaci – che poi moriranno – per tutelare gli interessi dell’Istituto Pasteur, il cui test sull’AIDS non è ancora pronto. Grazie all’intervento di François Mitterrand che modifica le regole procedurali, viene rilasciato dalla Corte di giustizia della Repubblica in quanto “responsabile ma non colpevole”. Al suo posto sarà condannato il ministro della Salute, Edmond Hervé.

Come ministro della Difesa, Hollande sceglie l’amico Jean-Yves Le Drian. Anni prima hanno sostenuto entrambi il presidente della Commissione europea, Jacques Delors, all’interno del partito socialista. Nel corso della campagna elettorale Le Drian, a nome di Hollande, è andato in visita a Washington, dove ha promesso fedeltà all’impero statunitense.

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Benché di estrema destra, il generale Benoît Puga esercita una forte influenza sul presidente socialista François Hollande.

Inoltre, con una decisione senza precedenti, il presidente Hollande lascia al suo posto il capo di Stato maggiore del suo predecessore, il generale Benoît Puga. L’ufficiale è più vecchio di lui e condivide gli ideali di estrema destra del padre del presidente. Ha il privilegio di poter entrare nel suo ufficio in qualsiasi momento e a lui lo unisce un rapporto quasi paterno.

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Il prefetto Édouard Lacroix (1936-2012) fu direttore generale della Polizia Nazionale (1993), in seguito direttore di gabinetto del ministro dell’Interno Charles Pasqua (1994-1995). Fu negoziatore tra Claude Guéant e Muammar Gheddafi, prima di essere assassinato su istruzione di François Hollande.

Per prima cosa François Hollande fa il punto sulla situazione della Libia. La Jamahiriya ha un tesoro stimato in 150 miliardi di dollari almeno, e ufficialmente la NATO ne ha bloccato circa un terzo. Che ne è del resto? I gheddafisti credono di poterli usare, nel lungo periodo, per finanziare la resistenza. Ma, ad aprile, il prefetto Édouard Lacroix – che ha avuto accesso a una parte di tali investimenti – muore improvvisamente di “cancro fulminante” [4], mentre l’ex ministro del petrolio Shukri Ghanem viene trovato annegato a Vienna. Verosimilmente, con la complicità passiva del ministro delle Finanze francese, Pierre Moscovici, del consigliere economico dell’Eliseo, Emmanuel Macron, e di una serie di banchieri, il Tesoro degli USA saccheggia il bottino. È il colpo del secolo: 100 miliardi di dollari [5].

All’inizio di giugno 2012 Francia e Regno Unito partecipano alla riunione del gruppo di lavoro per la ripresa economica e lo sviluppo degli “Amici della Siria”, tenutasi negli Emirati Arabi Uniti sotto la presidenza tedesca [6]. Si tratta di coinvolgere nella guerra gli Stati membri con la promessa di una contropartita. Diversi anni prima le società norvegesi InSeis Terra e Sagex si sono ufficialmente occupate della ricerca di idrocarburi in Siria. Anche se al tempo hanno sostenuto di aver rilevato 13 giacimenti di petrolio e di gas soltanto in due dimensioni, in realtà li hanno misurati in tre dimensioni e di conseguenza ne conoscono il valore. Quando Sagex viene acquisita da una società franco-statunitense quotata a Londra, Veritas SSGT, e successivamente accorpata al gruppo Schlumberger, sono tre gli Stati a entrare in possesso di quelle preziose informazioni, ma comunque non la Siria, che ne verrà a conoscenza solo nel 2013. Secondo queste ricerche, la Siria gode di un sottosuolo ricco almeno quanto quello del Qatar. Il Regno Unito fa entrare nel Consiglio nazionale siriano Usama al-Qadi, un dirigente di British Gas. Con il suo aiuto, Parigi e Londra concedono ai presenti il futuro sfruttamento di un paese che non hanno ancora conquistato.

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Il missile Bulava prende il nome da un’antica mazza d’arme slava che fungeva da bastone di maresciallo degli eserciti cosacchi.

L’Arabia Saudita si prepara a inviare un esercito a Damasco, mentre il Regno Unito prende il controllo dei media siriani. Il coordinamento delle forze è già stato testato in Giordania, in occasione dell’esercitazione Eager Lion 2012, sotto il comando degli Stati Uniti. I leader libanesi, dal canto loro, si sono impegnati a restare neutrali con la firma della Dichiarazione di Baabda [7]. La Siria, in una situazione come questa, avrebbe ceduto in fretta. Però la Russia lancia due missili intercontinentali, un Topol dalle rive del Mar Caspio e un Bulava da un sottomarino nel Mediterraneo. Il messaggio è chiaro: se l’Occidente non ha intenzione di rispettare i due veti russi e i due cinesi posti al Consiglio di sicurezza e attacca la Siria, si profila il rischio di una nuova guerra mondiale [8]. Scoppia dunque una polemica con Sergej Lavrov per capire chi si trovi “dalla parte giusta della storia” [9].

Il 30 giugno l’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan – nominato dal suo successore Ban Ki-moon e dal segretario generale della Lega araba – presiede una conferenza internazionale a Ginevra sul futuro della Repubblica araba siriana. Non viene invitato alcun rappresentante siriano, né del governo né del Consiglio nazionale del paese. Gli USA e la Russia concordano sul fatto di non voler scatenare una guerra in Medio Oriente e decidono di creare un governo di unità nazionale, sotto la presidenza di Bashar al-Assad, includendo alcuni elementi del CNS. La guerra è ufficialmente finita, il mondo torna a essere “bipolare”, come durante la Guerra fredda [10].

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Pochi giorni dopo essere riuscito a trovare un accordo tra Stati Uniti e Cina sulla Siria, Kofi Annan deve fronteggiare l’arretramento degli Occidentali. Darà le dimissioni.

Solo che il segretario di Stato, Hillary Clinton, non ha alcuna intenzione di sottoscrivere la fine dell’influenza unipolare, né di rispettare la firma che, a detta sua, le è stata strappata con le minacce. In più, i ministri di Francia e Regno Unito nutrono alcune riserve sull’interpretazione del comunicato finale.

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Gli Amici della Siria credono di essersi accaparrati con Manaf Tlass un elemento di valore. Ma il giovanotto preferirà suonare il piano piuttosto che rovesciare l’amico d’infanzia Bashar al-Assad.

È a questo punto che la DGSE riesce a orchestrare la defezione del generale Manaf Tlass – amico d’infanzia del presidente al-Assad – portandolo a Parigi. Manaf viene presentato come una figura di spicco, ma in realtà è diventato generale seguendo le orme del padre, il generale Mustafa Tlass, ex ministro della Difesa. È solo un artista che non si è mai interessato alla politica. All’inizio della guerra ha negoziato un compromesso con i “rivoluzionari” per ristabilire la pace a Rastan, sua città natale, ma l’accordo è stato respinto dal presidente, cosa che lo ha enormemente infastidito. Manaf è un amico, mentre la stampa francese che – come i politici – vive solo di interessi, lo include erroneamente tra i finanziatori della Rete Voltaire [11]. A Parigi lo ricevono il padre, che vi si è trasferito al momento del suo pensionamento nel 2004; il fratello Firas, che dal Qatar dirige la costruzione dei tunnel dei jihadisti; e la sorella, molto intima con Roland Dumas e poi con il giornalista Franz-Olivier Giesbert, con il quale lavora ancora. Manaf però arriva troppo tardi per vedersi nominare presidente in esilio dalla conferenza degli “Amici della Siria”.

Intanto lo stratagemma architettato ad Abu Dhabi si rivela ben riuscito. Il 6 luglio 2012, a Parigi, 130 Stati e organizzazioni intergovernative si precipitano alla terza conferenza degli “Amici della Siria”, tutti ingolositi dall’odore del petrolio e del gas. Se una settimana prima Hillary Clinton e Sergej Lavrov hanno solennemente firmato la pace, nell’occasione una forte delegazione americana è pronta a rilanciare la guerra.

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Il criminale di guerra Abou Saleh (Brigata al-Farouk) era l’invitato speciale del presidente François Hollande (nella foto il giovane seduto di fronte a lato della tribuna, a destra).

François Hollande sale in cattedra e fa sedere al suo fianco Abu Salah, il giovane “giornalista” di France 24 fuggito con i francesi da Baba Amr. Alla fine dell’incontro, si dilunga nel congratularsi con il “rivoluzionario” davanti alle telecamere dell’Eliseo. Tuttavia, queste immagini vengono rimosse dal sito ufficiale quando faccio notare che Abu Salah è responsabile di crimini contro l’umanità, avendo preso parte al tribunale rivoluzionario dell’Emirato che ha condannato e ucciso 150 civili cristiani e alawiti.

Il discorso del presidente Hollande non è stato scritto dai suoi collaboratori, bensì in inglese a Washington, New York o Tel Aviv, e successivamente tradotto in francese [12]. Dopo aver lodato lo sforzo di Kofi Annan nell’intraprendere la giusta direzione, esclama: “Bashar al-Assad deve andarsene, bisogna formare un governo di transizione!”. Di fatto, in questo modo si modifica il significato della parola “transizione”, che nel Comunicato di Ginevra indica il passaggio dal periodo dei disordini alla pace. In questo modo si intende giustificare il passaggio dalla Siria di al-Assad e alcune istituzioni laiche d’ispirazione rivoluzionaria a un’altra Siria nelle mani dei Fratelli musulmani. L’espressione “transizione politica” sostituisce dunque quella di “cambio di regime”. Il CNS esulta e Hillary può tranquillamente esultare.

L’unanimità che caratterizza l’atteggiamento degli “Amici della Siria” è sicuramente dovuta alle speranze riguardo agli idrocarburi, ma esiste probabilmente anche un lato irrazionale. Mi torna in mente l’antico scontro tra l’Impero romano e la rete dei mercanti siriani, con la frase di Catone il Vecchio che mi risuona nelle orecchie: “Carthago delenda est” (Cartagine deve essere distrutta!).

Nei giorni successivi François Hollande, David Cameron e Hillary Clinton non cessano di ripetere, come un mantra: “Bashar deve andarsene!”. In tal modo fanno proprio lo slogan delle rivoluzioni colorate (“Basta Shevardnadze!” o “Ben Ali vattene!”). Da notare che, rivolgendosi ai propri omologhi come a una folla, adesso chiamano il presidente al-Assad soltanto per nome, “Bashar”. Ma questo metodo non li porterà a nient’altro se non a dimostrare la loro impotenza.

Il 12 luglio 2012 prende avvio l’operazione “Vulcano di Damasco e terremoto della Siria”. Oltre 40 mila mercenari – provenienti da tutti i paesi arabi, addestrati dalla CIA in Giordania, inquadrati da Francia e Regno Unito e pagati dall’Arabia Saudita – attraversano il confine e si precipitano a Damasco [13].

Il ritiro dei francesi durante la liberazione di Baba Amr e l’accordo di pace firmato due settimane prima a Ginevra non sono altro che ricordi ormai sbiaditi. È l’inizio di una nuova guerra contro la Siria, questa volta portata avanti con eserciti di mercenari. Sarà decisamente più letale della precedente.

(segue…)

Traduzione
Alice Zanzottera
Rachele Marmetti
Giornale di bordo

La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.

[1] « La France selon François Hollande », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 30 juillet 2012.

[2] Ricerca di Hassan Hamadé e documenti non ancora pubblicati.

[3] “Francois Hollande negozia con l’emiro del Qatar”, Rete Voltaire, 14 febbraio 2012.

[4] “I dettagli sulla lista dei terroristi francesi in Siria”, Traduzione Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 23 novembre 2015.

[5] “La rapina del secolo: l’assalto dei «volenterosi» ai fondi sovrani libici”; “Macron-Libia: la Rothschild Connection”, di Manlio Dinucci, Il Manifesto (Italia) , Rete Voltaire, 22 aprile 2011 & 1 agosto 2017.

[6] « Les “Amis de la Syrie” se partagent l’économie syrienne avant de l’avoir conquise », par German Foreign Policy, Horizons et débats (Suisse) , Réseau Voltaire, 14 juin 2012.

[7] « Déclaration de Baabda », Réseau Voltaire, 11 juin 2012.

[8] “Colpi di avvertimento russi”, di Thierry Meyssan, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 10 giugno 2012.

[9] « Du bon côté de l’Histoire », par Sergueï Lavrov; « Déclaration de Barack Obama à la 67e Assemblée générale de l’ONU », par Barack Obama, Réseau Voltaire, 17 juin 2012, 25 septembre 2012.

[10] « Communiqué final du Groupe d’action pour la Syrie », Réseau Voltaire, 30 juin 2012.

[11] «Le petit monde composite des soutiens au régime syrien», C. A., Le Monde, 5 juin 2012. «Syrie : quand le général dissident était l’ami de Dieudonné», Pierre Haski, Rue 89, 29 juillet 2012.

[12] « Discours de François Hollande à la 3ème réunion du Groupe des amis du peuple syrien », par François Hollande, Réseau Voltaire, 6 juillet 2012.

[13] “La battaglia di Damasco è iniziata”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 20 luglio 2012.

Preso da: https://www.voltairenet.org/article208768.html?__cf_chl_jschl_tk__=43c3a239064621ec445b35bba3a0c312529fe5cd-1579185329-0-AeChxuMYmnh_Npzw6DXGK8roEX5xzDpilmdN208s9RpYLLRnrYlTY9EfYcIYjDGMEyaUicuG_Bv6MK72HGt860zt33OQZINv0NHRs82aJKh53vb-E4r2yEHJkt_Sc2JyvrFPeXydFeF0rvdoADvyXuS-IQguakRJnNkuymHNIbPd1A6qTxo6GilufCZTTu1drjib0zb6P6RxfxVcNaI-Nt1-UHm8GDZ-LX4a0n0unvsSYoUdEN1PzYqQ40EUqWsqfd75hZeClXCMemRtUdVW8-51O92m18ZHfimPW7DLv8Cd

A quando un risveglio fra popoli in Europa ?

11 dicembre 2019.
di Luciano Lago
Le manifestazioni di protesta in Francia e lo sciopero generale che sta paralizzando quasi del tutto il paese ci fanno accendere un barlume di speranza. La speranza che si vada avvicinando l’ora di un possibile risveglio dei popoli d’Europa che trasmettano un segnale forte alle elite finanziarie dominanti, un segnale di rivolta e di cambiamento.
Il risveglio di una Europa che possa rompere le sbarre invisibili della gabbia neoliberista, quella che ha avvolto ciascuno stato europeo affossando le possibilità di crescita, non può essere lontano ma, come avviene per molti cicli storici, bisogna arrivare al punto più basso della involuzione per poi afferrare la possibilità di un riscatto.
L’ispirazione per un riscatto e una rinascita di paesi europei non può che provenire da est dove già da tempo si è verificato il risveglio dei giganti asiatici, la Federazione Russa, la Cina, l’India, paesi che oggi dimostrano una vitalità ed una capacità di rompere l’ordine mondiale di marca anglo USA che avviluppava il mondo.
Nella fase attuale, dopo decenni di pratiche neoliberiste che hanno minato le capacità agroindustriali un tempo fiorenti di paesi come la Francia, l’Italia, la Spagna, sotto la gabbia dell’euro “postindustriale”, è diventato evidente che l’austerità e l’aumento delle tasse sono le uniche soluzioni che i tecnocrati dell’eurocrazia e i padroni della moneta, che si trovano nella Banca Centrale europea, potranno consentire . Questo perchè l’appartenenza all’euro proibisce a qualsiasi nazione di sforare il rapporto deficit /PIL al di sopra del 3%, mentre non esistono i mezzi finanziari per generare credito statale sufficiente per costruire progetti su larga scala necessari per una ripresa economica.
In altre parole, dal punto di vista delle regole del gioco imposte dalle elite finanziarie transatlantiche, la situazione è senza speranza.
Sul versante orientale dell’Eurasia si può constatare che la Russia e la Cina hanno trasformato con successo l’ordine internazionale utilizzando grandi risorse per investimenti in infrastrutture, fra queste la creazione della “Belt and Road” Initiative che può essere estesa a vari paesi europei. Diventa facile comprendere che, l’agganciarsi a questa iniziativa offre una opportunità unica per i paesi europei (almeno per quelli che desiderano mantenere la testa fuori di fronte all’imminente collasso economico).
Potrebbe essere questo l’unico mezzo praticabile per fornire lavoro, sicurezza e crescita economica a lungo termine alla loro gente poiché la Belt and Road, cocepita dagli strateghi cinesi, è radicata come un progetto di sistema aperto che non è collegato alla geopolitica del sistema chiuso atlantista di ispirazione hobbesiana.

Rivolta a Parigi dei gilet gialli

Per seguire questa strada è necessario contrastare i piani dei neoconservatori in Europa di ispirazione atlantista, fra i quali i partiti dei finti sovranisti, che vorrebbero ritornare ad un ordine atlantista chiuso che escluda la possibiltà per ogni stato di trattare e cooperare con i grandi paesi dell’est ed agganciarsi a questo sviluppo.
Non è un caso che il partito atlantista agiti lo spettro della minaccia russa e della minaccia cinese per impedire ai paesi europei di affrancarsi dalla dominazione americana sull’Europa che esiste dal 1945 e che oggi, superata da quasi 30 anni la politica dei blocchi contrapposti, non ha più alcun senso.
Piuttosto la elite di potere di Washington cerca con ogni mezzo, dalle sanzioni alle minacce ed ai ricatti, di imporre all’Europa una nuova politica dei blocchi anti Russia-Cina che impedirebbe all’Europa di affrancarsi dall’ipoteca della dominanzione americana sul continente.
La guerra commerciale lanciata dall’Amministrazione Trump contro la Cina e le continue provocazioni contro Pechino, con interferenze sui disordini a Hong Kong e divieto ai paesi alleati di utilizzare le reti 5 G, sono parte della strategia USA di impedire lo sviluppo di un progetto euroasiatico. Forma parte di questa strategia anche l’ostilità manifestata dagli USA al progetto energetico del nuovo gasdotto russo Nord Stream 2 che deve fornire gas alla Germania e all’Austria contro cui Washington, dopo aver inutilmente cercato di porre ostacoli, sta minacciando sanzioni.

Protesta contro il Dominio delle Banche in Europa

Non c’è però molto tempo a disposizione perchè il prossimo collasso economico dei paesi europei, stretti fra crisi economica, immigrazione incontrollata, disgregazione sociale, ipoteca finanziaria (vedi il MES) imposta dalle oligarchie di Bruxelles, non lascia molta scelta. I leader dei veri movimenti sovranisti hanno un margine di tempo ridotto per fare le scelte indispensabili: impugnare i trattati della gabbia eurocratica e neoliberista, essendo questi in contrasto con le costituzioni nazionali e con le necessità sociali delle popolazioni, e affrancarsi dai vincoli atlantisti prima di essere trascinati in nuovi conflitti bellici che il “Deep State” degli USA sta maturando in Medio Oriente e nelllo spazio indoasiatico.
La domanda è se esistano oggi questi leader consapevoli di quale sia la sfida oggi o se ci siano in giro solo delle controfigure che si agitano sulle piazze dei paesi eiropei lanciando slogans vuoti e contestando soltanto gli effetti delle politiche eurocratiche (austerità, immigrazione, precarietà e disoccupazione, ecc..) senza risalire alle cause primarie del disastro in corso d’opera.
La domanda attende ancora una risposta e il tempo stringe………

Preso da: https://www.controinformazione.info/a-quando-un-risveglio-fra-popoli-in-europa/

La Francia manipolata

Proseguiamo la pubblicazione del libro di Thierry Meyssan, Sotto i nostri occhi. In questo episodio l’autore ci mostra come la Francia post-coloniale sia stata reclutata da Regno Unito e Stati Uniti per unirsi alle loro guerre contro Libia e Siria. Queste due potenze l’hanno però tenuta all’oscuro del progetto “primavera araba”. Troppo impegnati a sottrarre fondi, i dirigenti francesi non si sono accorti di nulla. Quando si sono resi conto di essere stati esclusi dalla progettazione, la loro reazione è stata puramente comunicazionale: hanno tentato di farsi passare per gli ammiragli dell’operazione, senza preoccuparsi delle conseguenze dei maneggi dei partner.

| Damasco (Siria)

Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi.
Si veda l’indice.

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Il Regno Unito ha manipolato la Francia trascinandola nelle proprie avventure in Medio Oriente Allargato, senza rivelarle che vi si stava preparando, insieme agli Stati Uniti, sin dal 2005.

LA PREPARAZIONE DELLE INVASIONI IN LIBIA E SIRIA

Ancor prima dell’ufficializzazione della nomina da parte del Senato, il futuro segretario di Stato Hillary Clinton contatta Londra e Parigi per condurre una doppia operazione militare nel “Grande Medio Oriente”. Dopo il fiasco in Iraq, Washington reputa impossibile utilizzare le proprie truppe per un’operazione del genere. Dal suo punto di vista, è giunto il momento di rimodellare la regione – ossia ridisegnare gli Stati i cui confini erano stati definiti nel 1916 dagli imperi inglese, francese e russo (la “Triplice Intesa”) – per imporre linee di demarcazione favorevoli agli interessi degli Stati Uniti. L’accordo è noto con il nome dei delegati inglese e francese Sykes e Picot (il nome dell’ambasciatore Sazonov è stato “dimenticato” a causa della rivoluzione russa). Ma come convincere Londra e Parigi a mettere in discussione il proprio patrimonio se non promettendo di concedere loro di ricolonizzare la regione? Da qui la teoria della “leadership da dietro le quinte” (leading from behind). Tale strategia viene confermata dall’ex ministro degli Esteri di Mitterrand, Roland Dumas, che dichiarerà in TV di essere stato contattato da inglesi e statunitensi, nel 2009, per sapere se l’opposizione in Francia fosse a favore di un nuovo piano coloniale.

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Su istigazione degli Stati Uniti, Francia e Regno Unito firmano gli accordi di Lancaster House. Una clausola segreta prevede la conquista di Libia e Siria. l’opinione pubblica tuttavia ignora l’accordo tra Londra e Washington sulle future “primavere arabe”.

Nel novembre 2010 – ossia prima della cosiddetta “Primavera araba” – David Cameron e Nicolas Sarkozy firmano a Londra gli accordi di Lancaster House [1]. Ufficialmente, è un modo per creare sinergie tra gli elementi della Difesa – anche nucleari – e poter realizzare economie di scala. Benché sia un’idea decisamente bizzarra, alla luce degli interessi divergenti dei due paesi, l’opinione pubblica non capisce cosa si stia tramando. Uno degli accordi riunisce le “forze di proiezione” – da intendersi come forze coloniali – delle due nazioni.

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Operazione “Southern Mistral”: lo strano logo del Comando delle operazioni aeree. Il reziario non protegge l’uccello della libertà, bensì lo imprigiona nella rete.

Un allegato agli accordi precisa che il corpo di spedizione franco-britannica avrebbe condotto la più grande esercitazione militare congiunta nella storia dei due paesi – tra il 15 e il 25 marzo 2011 – sotto il nome di “Southern Mistral”. Il sito web della Difesa specifica che lo scenario di guerra prevede un bombardamento a lungo raggio per aiutare le popolazioni minacciate da “due dittatori del Mediterraneo”.

È proprio il 21 marzo che AFRICOM e CENTCOM – comandi regionali delle forze armate statunitensi – scelgono come data per l’attacco congiunto di Francia e Regno Unito nei confronti di Libia e Siria [2]. È il momento giusto, gli eserciti anglo-francesi sono pronti. Visto che le cose non vanno mai come previsto, la guerra contro la Siria viene rimandata e Nicolas Sarkozy – nel tentativo di colpire per primo – ordina alle sue forze di attaccare solamente la Libia, il 19 marzo, con l’operazione “Harmattan” (traduzione in francese di “Southern Mistral”).

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L’ex compagno di Gheddafi, Nuri Massud El-Mesmari, ha disertato il 21 ottobre 2010. Si è messo sotto la protezione dei servizi segreti francesi.

La Francia crede di avere un asso nella manica: il capo del protocollo libico Nuri Masud al-Masmari, che ha disertato e chiesto asilo a Parigi. Sarkozy è convinto che l’uomo sia un confidente del colonnello Gheddafi e che possa aiutarlo a identificare chi è pronto a tradirlo. Purtroppo, il “chiacchierone” conosceva gli impegni del colonnello, ma non partecipava alle riunioni [3].

Pochi giorni dopo la firma degli accordi di Lancaster House, una delegazione commerciale francese si reca in visita alla Fiera di Bengasi con funzionari del Ministero dell’Agricoltura, i capi di France Export Céréales e France Agrimer, i dirigenti di Soufflet, Louis Dreyfus, Glencore, Cani Céréales, Cargill e Conagra. Lì gli agenti della DGSE che li accompagnano incontrano in segreto alcuni militari per preparare un colpo di Stato.

Avvertita dagli Stati Uniti, Tripoli arresta i traditori il 22 gennaio 2011. I libici credono di essere protetti dalla nuova alleanza con Washington, quando dall’America si stanno invece preparando a condannarli a morte. I francesi, dal canto loro, si ritrovano costretti a tornare all’ombra del Grande Fratello statunitense.

Mentre i francesi si adoperano per predisporre l’invasione della Libia, gli statunitensi avviano la loro operazione, di portata decisamente superiore rispetto a quanto comunicato al loro agente Sarkozy. Non si tratta soltanto di detronizzare Muammar Gheddafi e Bashar al-Assad – come in effetti gli avevano fatto credere –, ma tutti i governi laici in vista di una sostituzione con i Fratelli musulmani. Iniziano così dagli Stati amici (Tunisia ed Egitto), lasciando gli inglesi e i francesi a occuparsi dei nemici (Libia e Siria).

Il primo focolaio si accende in Tunisia. In risposta al tentato suicidio di un venditore ambulante – Mohamed Bouazizi, il 17 dicembre 2010 – esplodono proteste contro gli abusi della polizia e, successivamente, contro il governo. La Francia, che crede siano state spontanee, si offre di dotare la polizia tunisina di attrezzature antisommossa.

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Nicolas Sarkozy e Michèle Alliot-Marie, all’oscuro del progetto anglosassone delle “primavere arabe”, mentre in Tunisia sta iniziando la “rivoluzione dei gelsomini”, negoziano con la famiglia del presidente Ben Ali la vendita di un aereo ufficiale, di cui si sono appropriati.

Nicolas Sarkozy e il ministro degli Interni Michèle Alliot-Marie nutrono piena fiducia in Zine El-Abidine Ben Ali, con il quale intrattengono “affari” personali. Dopo essersi fatti costruire ed equipaggiare un Airbus A330 come aereo presidenziale, hanno rivenduto i due vecchi velivoli destinati ai viaggi ufficiali. Uno degli A319 CJ è stato oscuramente rimosso dagli inventari e ceduto alla società tunisina Karthago Airlines, di proprietà di Aziz Miled e Belhassen Trabelsi (fratello della moglie di Ben Ali) [4]. Nessuno sa chi sia stato il fortunato beneficiario della transazione. Dopo la fuga del presidente Ben Ali, il velivolo sarà recuperato e venduto a una società di Singapore e, successivamente, alla Turchia.

Mentre si occupano della sua protezione, Nicolas Sarkozy e la Alliot-Marie restano increduli quando ricevono la richiesta del presidente Ben Ali di atterrare e rifugiarsi a Parigi. L’Eliseo fa appena in tempo ad annullare l’invio di un aereo cargo per il trasporto delle attrezzature di polizia che sono state promesse – aereo che sta aspettando sulla pista a causa delle lungaggini burocratiche della dogana – e quindi ad allontanare l’aereo del presidente decaduto dal suo spazio aereo.

Nel frattempo, in Egitto, l’ingegnere informatico Ahmed Maher e la blogger islamista Esraa Abdel Fattah invitano a manifestare contro il presidente Hosni Mubarak il 25 gennaio 2011, “giorno della rabbia”. Subito sostenuti dalla televisione del Qatar, Al Jazeera, e dai Fratelli musulmani, danno il via a un movimento che, con l’aiuto delle ONG della CIA, destabilizza il regime. Le manifestazioni si svolgono ogni venerdì – all’uscita dalle moschee –, a partire dal 28 gennaio, sotto il comando dei serbi “addestrati” dal promotore delle “rivoluzioni colorate”, Gene Sharp. L’11 febbraio Nicolas Sarkozy scopre da una telefonata del proprio patrigno – l’ambasciatore statunitense Frank G. Wisner – che, su istruzione della Casa Bianca, ha convinto il generale Mubarak a ritirarsi.

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Arrivato per partecipare alla riunione di lancio delle “primavere arabe” di Libia e Siria, il

La CIA organizza allora un incontro segreto al Cairo dove il presidente Sarkozy invia una delegazione che comprende il lobbista Bernard-Henri Lévy, ex amante di Carla Bruni e Ségolène Royal. Il Fratello musulmano Mahmud Gibril, il secondo uomo del governo libico a entrare nel locale, ne esce come capo dell’“opposizione al tiranno”. Tra i siriani presenti si annoverano, in particolare, Malik al-Abdah (già della BBC, ha creato Barada TV con il denaro della CIA e del Dipartimento di Stato) e Ammar al-Qurabi (membro di una serie di associazioni di difesa dei diritti umani e fondatore di Orient TV) [5].

È appena iniziata la guerra contro Libia e Siria.

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Mostrandosi sulla piazza Verde di Tripoli il 25 febbraio 2011, Gheddafi denuncia un attacco alla Libia da parte dei terroristi di Al Qaeda e proclama fieramente che, insieme al popolo, si batterà fino alla fine, pronto a far scorrere “fiumi di sangue” e a sacrificare sé stesso. Annuncia che saranno distribuite armi ai cittadini per difendere la patria in pericolo. La propaganda atlantista lo accuserà di voler far scorrere il sangue del popolo libico.

L’INIZIO DELLA GUERRA CONTRO LA LIBIA

La stampa occidentale assicura che la polizia libica ha represso una manifestazione a Bengasi, il 16 febbraio 2011, sparando sulla folla. Così il paese insorge – riporta sempre la stampa – e le autorità sparano su qualsiasi cosa si muova. Dal paese cercano di fuggire circa 200 mila lavoratori immigrati, che le TV mostrano in attesa ai valichi di frontiera. Muammar Gheddafi – che appare tre volte sullo schermo – parla senza mezzi termini di un’operazione architettata da Al Qaida, dicendosi disposto a morire da martire. Poi denuncia la distribuzione di armi al popolo per versare “fiumi di sangue”, sterminare questi “ratti” e proteggere il paese. Le frasi, estrapolate dal contesto originale, vengono diffuse dalle reti occidentali, che le interpretano come un annuncio non della lotta al terrorismo, ma della repressione di una presunta rivoluzione.

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Presi dal panico, gli operai neri dell’Est della Libia cercano di fuggire prima che la Jamahiriya sia rovesciata. Sono convinti che, ove gli Occidentali ristabilissero il vecchio regime, sarebbero ridotti in schiavitù. Secondo l’ONU, si riversano alle frontiere in decine di migliaia.

A Ginevra, il 25 febbraio, il Consiglio delle Nazioni Unite ascolta con sgomento la testimonianza della Lega libica per i diritti umani. Il dittatore è impazzito e “massacra il suo popolo”. Anche l’ambasciatore del Pakistan ne denuncia la violenza. Di colpo, la delegazione ufficiale libica entra nella stanza, conferma le testimonianze e si dichiara solidale con i concittadini contro il dittatore. Viene approvata una risoluzione, poi trasmessa al Consiglio di sicurezza [6], che adotta nell’immediato la Risoluzione 1970 [7], sotto il capitolo VII della Carta che autorizza l’uso della forza, stranamente pronta da diversi giorni. La questione viene posta all’esame della Corte penale internazionale e la Libia finisce sotto embargo. Quest’ultima misura è immediatamente adottata ed estesa all’Unione Europea. In anticipo rispetto agli altri paesi occidentali, Sarkozy dichiara: “Gheddafi deve andarsene!”.

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L’ex ministro della Giustizia, Musfafa Abdel Gelil, (qui con BHL), che aveva fatto torturare le infermiere bulgare, diventa capo del governo provvisorio.

Il 27 febbraio gli insorti a Bengasi creano il Consiglio nazionale di transizione libico (CNLT), mentre, lasciando Tripoli, il ministro della Giustizia, Mustafa Abdel Gelil, crea un governo provvisorio. Entrambi gli organi, controllati dai Fratelli musulmani, si uniscono per dare un’apparenza di unità nazionale. Subito le bandiere dell’ex re Idris spuntano a Bengasi [8]. Da Londra, suo figlio S.A. Mohammed El Senussi si dice pronto a regnare.

Non riuscendo a convincere tutti i membri del CNLT ad appellarsi agli occidentali, Abdel Gelil nomina un Comitato di crisi che gode di pieni poteri ed è presieduto dall’ex numero due del governo di Gheddafi, Mahmud Gibril, di ritorno dal Cairo.

A Parigi si ammira il modo in cui Washington gestisce gli eventi. Eppure, contraddicendo le informazioni provenienti da Bengasi e dalle Nazioni Unite, diplomatici e giornalisti a Tripoli assicurano di non presagire nulla che possa far pensare a una rivoluzione. Ma poco importa la verità, se le apparenze sono propizie. E così il “filosofo” Bernard-Henri Lévy persuade i francesi che la causa è giusta, assicurandosi di aver convinto lo stesso presidente della Repubblica a impegnarsi per la libertà dopo l’incontro con i libici “rivoluzionari”.

L’esercito francese preleva Mahmud Gibril e lo conduce a Strasburgo, dove egli chiede al Parlamento europeo l’intervento “umanitario” occidentale. Il 10 marzo Nicolas Sarkozy e il premier inglese David Cameron scrivono al presidente dell’Unione Europea per chiedere di riconoscere il CNLT al posto del “regime” e per imporre una no-fly zone [9]. Con perfetta coordinazione, il deputato verde francese Daniel Cohn-Bendit – agente d’influenza degli Stati Uniti dal maggio ’68 – e il liberale belga Guy Verhofstadt, riescono – il giorno stesso – a far adottare dal Parlamento europeo una risoluzione che denuncia il “regime” di Gheddafi e invita a prendere il controllo dello spazio aereo libico per proteggere la popolazione civile dalla repressione del dittatore [10]. Sempre lo stesso giorno, il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, rende noto il lavoro in corso sugli strumenti tecnici necessari per l’attuazione della no-fly zone.

Il 12 marzo la Lega araba vota a favore della no-fly zone nonostante l’opposizione di Algeria e Siria.

Unica stonatura in questo concerto unanime è la Bulgaria che, memore del fatto che Abdel Gelil aveva coperto le torture alle infermiere bulgare e al medico palestinese, rifiuta di riconoscere il CNLT. Da parte sua, l’Unione africana è fortemente contraria a qualsiasi intervento militare straniero.

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Il Libro Verde di Muammar Gheddafi.

La Jamahiriya Araba Libica è organizzata secondo i principi del Libro Verde di Muammar Gheddafi, estimatore dei socialisti libertari francesi del XIX secolo, Charles Fourier e Pierre-Joseph Proudhon. Il colonnello ha così ipotizzato uno Stato minimo che si rivela però incapace di difendere il popolo dagli eserciti imperialisti. Inoltre, ha affidato allo Stato il compito di soddisfare le aspirazioni dei beduini: un mezzo di trasporto, casa e acqua gratis. Così ognuno possiede un’auto propria, mentre il trasporto pubblico è di fatto riservato agli immigrati. In occasione del matrimonio, a ciascuno viene donato un appartamento, ma talvolta è necessario aspettare tre anni prima che la casa sia costruita, per poi potersi sposare. Si eseguono enormi lavori per attingere acqua da falde millenarie nelle profondità del deserto. Nel paese regna la prosperità, il tenore di vita è il più alto rispetto a tutto il continente africano. Ma, in materia di istruzione, si fa molto poco: anche se le università sono gratuite, la maggior parte dei ragazzi lascia presto gli studi. Muammar Gheddafi ha sottovalutato l’influenza delle tradizioni tribali: tre milioni di libici conducono una vita agiata, mentre due milioni di immigrati africani e asiatici sono al loro servizio.

Il 19 marzo si incontrano a Parigi 18 nazioni (Germania, Belgio, Canada, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Spagna, Stati Uniti, Francia, Grecia, Italia, Iraq, Giordania, Marocco, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Qatar e Regno Unito) e 3 organizzazioni internazionali (Lega araba, Unione Europea e ONU) per annunciare l’intervento militare imminente [11]. Poche ore dopo, la Francia scavalca i partner e attacca per prima.

In Siria la situazione è diversa e procede più lentamente. Gli appelli a manifestare del 4, 11, 18 e 25 febbraio e del 4 e 11 marzo a Damasco non sortiscono alcun effetto. Anzi, è in Yemen e in Bahrein che il popolo scende in piazza senza alcun invito.

Nello Yemen i Fratelli musulmani – tra cui la giovane Tawakkul Karman, che in seguito vincerà il Nobel per la Pace – danno il via a una “rivoluzione”. Ma, come nel caso della Libia, il paese si fonda su un’organizzazione tribale, per cui non è possibile disporre di una lettura prettamente politica degli eventi.

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Nicolas Sarkozy dà istruzioni a Alain Bauer per contrastare la rivoluzione in Bahrein.

Su richiesta del re del Bahrein, l’esercito saudita arriva nel minuscolo regno che ospita la V Flotta statunitense per “ristabilire l’ordine”. Il Regno Unito invia il torturatore Ian Anderson, che aveva fatto meraviglie nella gestione della repressione in epoca coloniale – ossia, prima del 1971 – mentre, per riorganizzare la polizia, la Francia invia Alain Bauer, consigliere per la sicurezza del presidente Sarkozy ed ex responsabile per l’Europa della NSA statunitense in Europa ed ex gran maestro del Grand Orient de France [12].

Il caos si propaga per contagio, ma resta ancora da far credere che siano stati i popoli a ispirarlo e che l’obiettivo sia l’instaurazione della democrazia.

(Segue…)

Traduzione
Alice Zanzottera
Rachele Marmetti
Giornale di bordo

La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.

[1] « Déclaration franco-britannique sur la coopération de défense et de sécurité », Réseau Voltaire, 2 novembre 2010.

[2] “Washington cerca il sopravvento con “l’alba dell’odissea” Africana”, di Thierry Meyssan, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 20 marzo 2011.

[3] “Sarkozy manovra la rivolta libica”, di Franco Bechis, Libero, 23 marzo 2011.

[4] « Un avion présidentiel dans la 4e dimension », par Patrimoine du Peuple, Comité Valmy , Réseau Voltaire, 6 mars 2011.

[5] Rapporto dell’intelligence estera libica.

[6] « Résolution du Conseil des droits de l’homme sur la situation en Libye », Réseau Voltaire, 25 février 2011.

[7] « Résolution 1970 et débats sur la Libye », Réseau Voltaire, 26 février 2011.

[8] « Quand flottent sur les places libyennes les drapeaux du roi Idris », par Manlio Dinucci, Traduction Marie-Ange Patrizio, Réseau Voltaire, 1er mars 2011.

[9] « Lettre conjointe de Nicolas Sarkozy et David Cameron à Herman Van Rompuy sur la Libye », par David Cameron, Nicolas Sarkozy, Réseau Voltaire, 10 mars 2011.

[10] « Résolution du Parlement européen sur le voisinage sud, en particulier la Libye », Réseau Voltaire, 10 mars 2011.

[11] « Déclaration du Sommet de Paris pour le soutien au peuple libyen », Réseau Voltaire, 19 mars 2011.

[12] « La France impliquée dans la répression des insurrections arabes », Réseau Voltaire, 3 mars 2011.

Nino Galloni: il Mes è una follia, ma il tradimento risale al 1981

25 novembre 2019.
Alto tradimento, da parte di Giuseppe Conte, se ha firmato un accordo segreto sul Mes che espone gli italiani al rischio di dover sostenere di tasca propria l’eventuale “ristrutturazione” del debito pubblico? «Se Conte avesse stipulato un patto segreto contro il suo paese, il reato di alto tradimento dovrebbe essere accertato dai magistrati competenti».
Lo afferma l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, richiamando l’allarme lanciato da Paolo Becchi. Per Galloni, «Becchi ha sollevato una questione reale, ma il problema – sottolinea – è dimostrare che questi accordi ci siano stati». In ogni caso, aggiunge, «le grandi decisioni di politica economica, come il divorzio del 1981 tra Tesoro e Bankitalia, non sono mai passate per il Parlamento». Galloni sgombra il campo da un equivoco: non è stata “l’Europa” a mettere nei guai l’Italia. E’ stata la classe dirigente italiana a smontare l’industria pubblica e svendere quella privata. «A quel punto, Francia e Germania hanno fatto dell’Italia una colonia a vantaggio dei loro interessi», ma solo dopo la decisione dell’Italia di rinunciare a valorizzare il proprio grande potenziale economico.
A Galloni, il Mes sembra «una follia», letteralmente: «Dato che il credito privato è più elevato del debito pubblico, allora i privati pagheranno la differenza?». Assurdo, visto che «chi compra i titoli di debito sta dando risorse allo Stato». Quanto all’ex Fondo salva-Stati, ora Meccanismo Europeo di Stabilità (creato per assicurare fondi ai governi, senza più moneta sovrana, nel caso il mercato non comprasse i loro bond), Galloni è netto: «Non si può decretare la depenalizzazione per un istituto come il Mes», i cui funzionari non rispondono alle leggi dei paesi membri. «Casomai, gli Stati avrebbero dovuto accordarsi sull’istituzione di un tribunale penale europeo per le questioni monetarie, finanziarie e tributarie», sostiene l’economista.
«Sarebbe stato coerente con la Costituzione italiana, laddove parla di limitazioni della sovranità (ma certo non contro la logica del diritto, depenalizzando reati commessi da qualcuno che è al di sopra della legge)». Aggiunge Galloni: «Se tutta questa manfrina sul Mes serve a introdurre nel sistema la categoria del “legibus solutus”, cioè del sovra-sovrano, è chiaro che siamo tornati indietro dal punto di vista della civiltà».

Conte con Moscovici

Il problema però non è di oggi, ricorda Galloni: innanzitutto, «i partner Ue hanno sottoscritto accordi basati su parametri che non tenevano conto del fatto che l’economia potesse andare male: si riteneva che l’Ue e l’euro, di per sé, avrebbero garantito una crescita costante, attorno al 2% annuo». Poi c’è stata la doccia fredda del 2009, eppure le premesse allarmanti non mancavano: i tassi di sviluppo negli anni ‘70 erano altissimi, ma sono calati già negli anni ‘80. Negli anni ‘90 sono ulteriormente scesi, e così negli anni duemila, fino a crollare negli ultimi anni. L’economia è in crisi, ma i parametri Ue sono ancora quelli della crescita presunta.
«In base al principio “ad impossibilia nemo tenetur”, questi parametri sono annullabili». In una situazione recessiva, che senso ha limitare ancora il deficit al 3% del Pil, e il debito pubblico al 60% del prodotto interno lordo? «Non si era prevista una situazione di crisi e recessione? Male: allora l’accordo era mal fatto, quindi bisogna modificarlo».

Moscovici con Soros

Comunque, ragiona Galloni, «riguardo al parametro debito-Pil, quelli che firmarono per l’Italia ai tempi di Maastricht non lo sapevano, che il debito italiano aveva superato il Pil già da anni? Perché sono andati a firmare che il debito pubblico doveva scendere sotto il 60%, quando già era al 115%?». Secondo l’economista, «sarebbe stato meglio dire: debito pubblico e debito privato non possono superare il 400%».
In quel caso, oltretutto, noi italiani «saremmo “virtuosi” insieme alla Germania, mentre oggi tutti gli altri paesi sono oltre il 400%, se si somma il debito dello Stato a quello delle famiglie e delle imprese». In altre parole, «noi siamo le pecore nere solo per il debito dello Stato, ma si sa che grossomodo il debito pubblico corrisponde alla ricchezza privata».
Vie d’uscita, a parte le polemiche sul Mes? Per Galloni, «qui bisogna mettersi intorno a un tavolo seriamente – Italia, Francia e Germania in primis – e dire: rispettiamo solo i parametri che abbiano un senso (e questi non ne hanno: lo sanno pure i sassi). E che siano parametri espressi da organi che sanno di cosa stanno parlando, e non da politici che vanno a svendere i loro paesi».
(Fonte: video-intervento di Nino Galloni su YouTube registrato con Marco Moiso il 20 novembre 2019).

Preso da: https://www.controinformazione.info/nino-galloni-il-mes-e-una-follia-ma-il-tradimento-risale-al-1981/

Il governo francese ha collaborato con l’ISIS attraverso l’azienda francese Lafarge

20 ottobre 2019.
Il 16 ottobre 2019, la Coalizione Internazionale ha dato fuoco alla cementeria francese Lafarge a Jalabia (al confine con la Turchia, a nord di Aleppo) prima dell’arrivo dell’esercito arabo siriano nell’area.
Quindi, le tracce di un’operazione segreta, che era di grande importanza, andarono letteralmente in fumo.

 
L’impianto ha permesso di costruire fortificazioni sotterranee da cui poter condurre la guerra contro le forze del governo siriano sulla base della strategia descritta da Abu Musab “siriano” nel suo libro del 2004 “Gestione della barbarie”. Successivamente, la fabbrica fu utilizzata per proteggere le forze speciali norvegesi e francesi, che diedero fuoco alla fabbrica prima di fuggire.
Nel 2016, il sito web turco Zaman Al-Wasl ha pubblicato uno scambio di e-mail tra gli stessi dirigenti di Lafarge, ha confermato l’esistenza di collegamenti tra la multinazionale e Daesh.
Il quotidiano Le Monde  ha pubblicato una sua versione di fatti messi in atto per nascondere:
– le relazioni di Lafarge con la CIA nel contesto di varie operazioni, incluso il trasporto di armi durante la guerra contro l’Iraq;
– Il rapporto tra la società e il segretario di Stato americano Hillary Clinton (precedentemente membro del consiglio di amministrazione di Lafarge);
– le relazioni di Lafarge con il DGSE (servizi di intelligence esteri francesi) durante la guerra contro la Siria;
– la costruzione di infrastrutture jihadiste in Siria [con il cemento di Lafarge]
.

Ci vollero sei mesi perché l’aviazione russa usasse bombe penetranti per distruggere queste fortificazioni – le più grandi sul campo di battaglia dalla seconda guerra mondiale – che permisero all’esercito arabo siriano di liberare il suo territorio.
https://friendsforsyria.com/2019/10/19/france-torches-lafarge-cement-plant-in-syria/ – zinc
Alcuni giorni fa gli Stati Uniti hanno distrutto l’impianto del gruppo francese Lafarge : Aerei della coalizione internazionale contro lo Stato islamico hanno lanciato mercoledì bombardamenti aerei nel nord della Siria (90 km da Raqqa e 65 km da Manbij), che è stato convertito in una base militare che ora è stata abbandonata come parte del ritiro delle truppe statunitensi dalla zona. Il rappresentante della coalizione internazionale, il colonnello degli Stati Uniti Miles Keygins, ha affermato che due aerei F-15E sono stati chiamati dall’Iraq, ed hanno attaccato la fabbrica di cemento Lafarge dopo la partenza delle truppe americane.
Secondo i funzionari degli Stati Uniti, si intendeva distruggere munizioni abbandonate ed equipaggiamento militare per non farle cadere nelle mani di terzi.
Ma ci sono altre possibili ragioni per questo insolito bombardamento.

In primo luogo, si tratta di media: immagini trasmesse sulla rete russa RT di una base abbandonata in fretta e furia dai Marines americani a Manbij (con cibo sul tavolo, ecc.) Non esaltano la parte americana – e, di conseguenza, questo può essere stato deciso che non doveva essere ripetuto .
Il secondo riguarda il futuro ripristino della Siria, dal momento che i bombardamenti sono un duro colpo per la Siria. L’impianto di Lafarge è il più grande in Siria ed è stato il più grande investimento estero diretto prima della guerra (dopo quello per il settore petrolifero, valutato a $ 680 milioni. La sua capacità produttiva ha raggiunto i 3 milioni di tonnellate all’anno, che è significativamente superiore a qualsiasi degli altri sei impianti di calcestruzzo di proprietà statale nel paese. Dopo la sottrazione da parte dei “ribelli” ad Aleppo dell’infrastruttura industriale dell’allora capitale economica della Siria (con attrezzature meccaniche esportate in Turchia), la perdita dell’impianto di Lafarge penalizza grandemente la ricostruzione postbellica ancora già difficoltosa.
Ma c’è una terza ipotesi, molto più oscura sulle possibili cause dell’attentato: è il voler seppellire lo scandalo scoppiato intorno allo stabilimento di Lafarge .
Il colosso francese, fondato nel 1833, si è unito a luglio 2015 con il rivale svizzero Holcim per $ 41 miliardi. Ma il primo CEO di Lafarge-Holcim, Eric Olsen, è stato costretto a rassegnare le dimissioni dopo che la giustizia francese ha intentato una causa nel luglio 2016 in merito alle attività della società in Siria con l’accusa di “finanziamento del terrorismo” e la creazione di una minaccia alla vita delle persone.
In particolare, la giornalista Dorothea Miriam Kellou ha pubblicato sul giornale Le Monde e sulla rete FRANCE 24 i dettagli degli accordi che Lafarge avrebbe concluso con un certo numero di organizzazioni armate, tra cui lo Stato islamico, per mantenere l’operabilità del suo stabilimento di Jalalbia. ,
Ricordiamo che lo stabilimento è stato catturato dall’ISIS nel settembre 2014, che successivamente è stato ripreso a febbraio dell’anno successivo dai militanti curdi YPG che l’hanno trasformata in una base militare.
Secondo l’indagine interna di Lafarge, tra il 2011 e il 2013, il gruppo ha pagato circa 5,5 milioni di dollari ai gruppi armati nella Siria settentrionale e un totale di 15,3 milioni di dollari dal 2011 al 2013 secondo la magistratura francese. Il fatto che la compagnia Lafarge abbia avuto una grande tolleranza al terrorismo è stato rilevato anche da personalità internazionali che hanno partecipato al suo Consiglio di amministrazione nella misura di 15 persone,  durante il periodo di lavoro di Hillary Clinton.
Tuttavia, l’indagine di Olsen è stata chiusa lo scorso marzo, poiché si riteneva che non avesse alcuna responsabilità per ciò che era stato commesso prima della fusione con Holcim. Per questo si è ritenuto che avesse riacquistato il suo onore e quindi di poter riprendere le sue attività commerciali. Ma un’indagine giudiziaria non è chiusa: il 24 ottobre, la Corte d’appello di Parigi deciderà sulle accuse contro la società, mentre l’ex amministratore delegato Bruno Lafon, l’ex direttore della sicurezza Jean-Claude Weyer e l’ex direttore della giustizia della filiale siriana, Frederic Zoliboa sono sotto i riflettori.
Quello che sicuramente vuole tenere le cose aperte è Tayyip Erdogan. Parlando con l’Assemblea nazionale turca alla vigilia del bombardamento dell’impianto a Jalabia, il presidente turco ha affermato che Lafarge svolge un ruolo attivo nella costruzione di fortificazioni nell’area a favore dell’YPG. “Vediamo un tunnel di 90 chilometri nel nord della Siria. Come sono stati costruiti? Da dove viene il cemento? Venivano dalla fabbrica Lafarge, una società francese “, ha aggiunto, aggiungendo che alla Francia e alla NATO sarebbe stata chiesta una spiegazione. ,
Erdogan ha anche chiesto domande simili durante l’operazione turca per occupare Afrin all’inizio del 2018. Ma le sue affermazioni sono ora difficili da verificare.
https://www.capital.gr/diethni/3388678/giati-bombardistike-to-ergostasio-tis-lafarge-sti-suria

Permesso ISIS rilasciato ai dipendenti Lafarge.
Per ulteriori informazioni sui documenti che indicano la relazione di Lafrage con ISIS, è possibile leggere qui https://arretsurinfo.ch/french-cement-company-in-syria-buys-oil-from-isis-documents/

Il gruppo Lafarge è sospettato di aver pagato circa 13 milioni di euro a gruppi jihadisti, tra cui Daesh, dal 2013 al 2014 per mantenere una delle sue strutture in Siria, in un’area occupata da gruppi islamisti in un paese devastato dalla guerra. Il gruppo potrebbe continuare a gestire il suo stabilimento con un’attività molto redditizia, l’azienda  nel 2014 a aveva un fatturato di  12,843 miliardi di euro.
Se ciò è dimostrato, lo stato francese non ha impedito tale pratica, ma piuttosto: ha fatto di tutto per far funzionare l’impianto il più a lungo possibile. È impossibile rifiutare tali investimenti: la fabbrica costa $ 600 milioni. “Vediamo ogni sei mesi l’ambasciatore francese in Siria [a Parigi], e nessuno ci ha detto:” Ora devi partire “, afferma Christian Herro, ex vicedirettore generale delle operazioni del gruppo. Il governo francese raccomanda vivamente di rimanere, è ancora il più grande investimento francese in Siria ed è la bandiera francese. Quindi sì, Bruno Lafon dice: “Restiamo”.
Inoltre,durante l’inchiesta, alcuni degli accusati hanno dichiarato di aver mantenuto contatti regolari con il Ministero degli affari esteri e la direzione generale della Sicurezza esterna. Lo stato sapeva che “il più grande investimento francese in Siria” è stato utilizzato per finanziare Daesh?
Secondo Jean-Claude Veyillard, ex direttore della sicurezza di Lafarge, tutto è abbastanza ovvio. L’argine di Orsay non solo ha spinto la compagnia a rimanere per mantenere i suoi investimenti, ma anche a partecipare alle operazioni militari in Siria. Sostiene di aver inviato informazioni al DGSE contattando l’agenzia al suo indirizzo e-mail creato per questo caso. Sostiene inoltre di aver incontrato agenti per conoscere la situazione in Siria. Sostiene addirittura di essere la loro unica fonte nella regione.
Diverse e-mail e informazioni divulgate da Jean-Claude Weillard mostrano una netta connessione tra il servizio di sicurezza del gigante del cemento e il servizio di intelligence. Il 22 settembre 2014 ha riferito al DGSE che “la fabbrica è attualmente occupata da Daech, che beneficia della nostra mensa, clinica e infrastrutture di base” e che stava cercando “un modo per pagare la” tassa “di Daesh. Il 17 novembre 2014, secondo quanto riferito, ha ripreso i servizi, annunciando che Amro Taleb, uno dei principali intermediari tra Lafarge e Daech, ha proposto di “rilanciare la fabbrica sotto il controllo degli” uomini d’affari “dell’ISIS. Il 23 dicembre dello stesso anno, contattò i servizi e li informò che erano stati stabiliti contatti con i rappresentanti di Daesh. La risposta della DGSE sarebbe categorica: esprime il suo interesse “con qualsiasi rappresentante Daech in contatto con i tuoi dipendenti … Telefono, posta, descrizioni, ecc.” Nonostante il problema della sicurezza delle persone, il servizio ha dato il via libera alle comunicazioni tra il gruppo finanziario internazionale e i gruppi terroristici “.
https://www.revolutionpermanente.fr/On-ne-peut-pas-porter-une-barbe-mais-Lafarge-peut-verser-13-millions-a-Daesh –
Quindi quando l’Isis ha fatti l’attentato in Francia lo stesso governo francese  di sua spontanea volontà ha dato il via libera alla cooperazione con l’ISIS e ha fornito alla società francese l’opportunità di lavorare nel califfato, compreso il pagamento di tasse al tesoro dello Stato islamico.

Preso da: https://www.vietatoparlare.it/il-governo-francese-ha-collaborato-con-lisis-attraverso-lazienda-francese-lafarge/

Un silenzio fragoroso circonda l’adesione (senza dibattito) dell’Italia alla EI2

 

  • 4 ottobre 2019
  • di
  • A due settimane dall’annuncio di Palazzo Chigi un silenzio fragoroso avvolge l’adesione dell’Italia all’European Intervention Initiative (EI2), proposta da Emmanuel Macron nel settembre 2017 e costituita a Parigi il 25 giugno 2018 al di fuori sia dagli ambiti NATO sia della PESCO (Cooperazione Strutturata Permanente nel settore della Difesa) prevista dai Trattati dell’Unione Europea.
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    Un annuncio “sospetto”, reso noto sul sito della Presidenza del Consiglio meno di 24 ore l’incontro a Roma tra il premier Giuseppe Conte e il presidente Macron, che solo il giorno dopo è stato ripreso dal sito internet del ministero della Difesa. La notizia è infatti comparsa sul sito internet della Difesa il 20 settembre mentre già il giorno prima era su quello di Palazzo Chigi.

    Il ministro Lorenzo Guerini ha giustificato l’adesione all’EI2 sostenendo che “questa iniziativa è nata da una forte volontà politica e intende rafforzare la UE e la NATO, entrambe indispensabili a garantire la sicurezza dell’Europa e degli europei” ma in realtà l’European Intervention Initiative non solo non rafforza PESCO e NATO ma persegue l’obiettivo di Parigi di sviluppare uno strumento militare multinazionale europeo, ma sotto comando francese, per far fronte a crisi militari e calamità naturali sia a livello di analisi e pianificazione sia di intervento sul campo.
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    Pur senza voler ribadire i dettagli espressi in un precedente editoriale è impossibile non notare che dopo 15 giorni dall’annuncio dell’adesione italiana né Palazzo Chigi né il ministero della Difesa hanno ritenuto di fornire dettagli e motivazioni di questa scelta al Parlamento o quanto meno alle commissioni Difesa di Camera e Senato.
    Del tutto assenti inoltre (o non pervenute) valutazioni e osservazioni dal ministero degli Esteri che pure sull’adesione a un trattato internazionale, pur se di tipo militare, dovrebbe dire la sua.
    Invece di chiarimenti istituzionali ce ne sarebbe davvero bisogno specie se si tiene conto che l’assenso del Parlamento è necessario per l’adesione a trattati internazionali.
    La EI2 ha incontrato da un lato lo scetticismo di Washington e degli ambienti NATO ma anche della Germania, che pur avendo aderito all’iniziativa vede con sospetto le mire di leadership militare continentale di Parigi e certo non apprezza il tentativo di mantenere legata la Gran Bretagna, potenza nucleare, a una Difesa europea di cui Berlino intende assumere la leadership, come dichiarato nel Libro Bianco 2016 dall’allora ministro della Difesa Ursula von der Leyen, oggi presidente della Commissione Europea.
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    Dall’altro va tenuto conto che i due precedenti governi italiani hanno guardato con sospetto l’ambigua iniziativa francese.
    Nelle scorse settimane il generale Vincenzo Camporini e Michele Nones, dell’Istituto Affari Internazionali, avevano raccomandato in una lettera aperta al nuovo ministro della Difesa l’adesione italiana alla European Intervention Initiative circa la quale, nel giugno 2018, i ministri Moavero Milanesi (Esteri) ed Elisabetta Trenta (Difesa) non nascosero dubbi e perplessità.
    “Esiste un accordo in Europa che si chiama PESCO, e l’EI2 altro non fa che prendere i Paesi che vi aderiscono più la Gran Bretagna e dargli una missione simile”, disse la titolare della Difesa. “È un’iniziativa parzialmente europea”, da guardare con “cauta e doverosa prudenza” aggiunse il ministro degli Esteri.
    Lo stesso ministro Trenta non aveva escluso “la possibilità di aderire in un secondo momento” ma se le valutazioni del nuovo esecutivo sono mutate sarebbe il caso di spiegarlo.
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    Certo è legittimo (anzi, per nulla sorprendente dopo quello che si è visto nelle ultime settimane) che il governo Conte 2 esprima valutazioni e preferenze diametralmente opposte all’esecutivo precedente guidato dallo stesso Giuseppe Conte ma un’informativa alle Camere è quanto meno doverosa e un ampio chiarimento è atteso dalla prevista audizione in commissione Difesa del ministro Guerini, chiamato a illustrare le linee programmatiche del suo ministero.
    Chiarimento necessario anche a sgombrare il campo dalle altrettanto legittime sensazioni che l’adesione di Roma all’EI2, se non motivata da esigenze politico-strategiche o da chiare contropartite chieste a Parigi, rientri nella ormai ben nota politica filo-francese (secondo molti di eccessiva sudditanza) a cui il PD, oggi tornato nella maggioranza di governo, ci ha già abituato.
    Difficile poi non notare come l’improvvisa adesione italiana alla iniziativa di Macron sia immediatamente consequenziale alla visita del presidente francese a Roma, rafforzando così l’impressione che Conte abbia semplicemente obbedito immediatamente alla richiesta dell’inquilino dell’Eliseo.
    @GianandreaGaian
    Foto:  AFP, Difesa.it e Governo.it

    Preso da: https://www.analisidifesa.it/2019/10/un-silenzio-fragoroso-circonda-ladesione-senza-dibattito-dellitalia-alla-ei2/

 

ATTALI: “SOVRANISMO EGUALE ANTISEMITISMO”

Insomma  l’ha detto. Ha posto l’equazione  che s’indovina  tanti suoi correligionari padroni del discorso pubblico, super-europeisti, trattengono a fatica nel gargarozzo.
Il sovranismo in Europa  – ha istruito i suoi lettori Attali –  non  è un rifiuto della disciplina comunitaria. No, “in realtà per lo più quelli che ne fanno l’apologia intendono nei fatti a  mezza bocca un rifiuto dei migranti, e  più vastamente, rifiuto dei musulmani.
La Francia “non deve dimenticare che quel che si cela oggi dietro il ‘sovranismo’ è di fatto  la stessa xenofobia, la stessa chiusura, la stessa mancanza di fiducia in sé  delle ideologia anti-italiane,  anti-polacche, anti-armene e  antisemite dei secoli passati”.
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“Questi discorsi ostili ai musulmani in Francia sono mortiferi”, prosegue Attali  –  il che è un esempio di chutzpah sinistra, nel giorno in cui la sede centrale della polizia a Parigi assiste all’omicidio di quattro poliziotti accoltellati da un collega di recente conversione salafita.  Ma ancor più  paradossale apprendere chi Attali ha di mira:
“in particolare quando questi discorsi vengono da ebrei, che non devono dimenticare che l’antisemitismo colpisce gli uni e gli  altri. Bisogna denunciare ad ogni costo i discorsi deliranti di Eric Zemmour, di William Goldnadel, o anche in troppe delle sue dichiarazioni, di Alain Finkelkraut””.
Si capisce che ciò che gli ha fatto perdere le staffe è la partecipazione di Eric Zemmour (j), il 28 settembre,  alla Convenzione della Destra   voluta e organizzata la Marion Maréchal Le Pen, che ne è stata anche la stella.
Zemmour è un intellettuale di grido  in tv, che cavalca un anti-islamismo da israeliano, come tanti ebrei di destra. E’ anche un provocatore  – un po’ alla Gad Lerner per intenderci  –   che ama enunciare tesi oltraggiosamente tirate per  i capelli:  per esempio sostiene che la società oggi  è schiacciata “tra l’universalismo mercantile e l’universalismo islamico, due totalitarismi” che, dice, rappresentano “un nuovo patto Ribbentrop-Molotov”. Bum.
Ma la sua semplice  comparsa sul podio accanto alla bionda stella sovranista Le Pen, conta molto più delle quattro grossolanità che ha detto.  E’ la rottura di un divieto  implicito, anzi che fu esplicito tanti anni fa, quando Chirac  (gollista) e Mitterrand (Socialista)  furono convocati dal Grand Orient e giurare: mai un governo con   Jean-Marie Le Pen.  La conventio ad escludendum   stata ancor più rigorosamente osservata dalla potente comunità ebraica.   I Le Pen sono non-persone,  negazionisti, criminali. Ora, Zemmour ha rotto un tabù, ha  aperto ad una legittimazione, allo sdoganamento di Marion  e della sua destra nuova.
Il matrimonio vietato
Dunque è stato immediatamente punito: la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta contro Zemmour per il suo discorso alla Convenzione, per “ingiurie pubbliche” e “provocazione pubblica alla discriminazione, all’odio e alla violenza”. Già in settembre,  la procura l’aveva condannato  a 3 mila di ammenda per aver tenuto, tre anni prima in tv, propositi ritenuti di odio razziale.
Adesso rischia pure di perdere il lavoro a Le Figaro, e la tv pubblica RTL ha posto fine alla sua collaborazione. Insomma un ebreo viene colpito dal  divieto di parola con le leggi concepite dalla lobby per chiudere la bocca ai “negazionisti”, e  subisce le persecuzioni contro la libertà di pensiero per cui è stato condannato  a 18 mesi di galera, poche giorni fa, Alain Soral,  quello della “destra dei Valori, Sinistra del Lavoro”.
Queste manifestazioni di repressione, come l’equazione delirante di Attali,  vengono  però  dalla sensazione, da parte dei signori,   che il “ordine costituito” europeista da disfacendo.   Anche se il  “sovranismo” è sconfitto  in Italia, dove hanno ora un governo che eseguirà  le politiche di austerità e “riforme  strutturali” che gli italiani hanno dovuto sopportare  per un decennio, essi sanno che le conseguenze saranno disastrose comunque. Perché non possono dare nulla al nuovo governo, e quindi condannano l’Italia  a “bassa crescita, disoccupazione persistentemente alta, crescita dei salari lenta, aumento dei tassi di povertà”  con conseguente  “crescente instabilità sociale”.
In Francia,   l’instabilità sociale è già conclamata, come dimostrano le violenze poliziesche contro i Gilet Gialli – ossia contro cittadini che non hanno commesso alcun delitto.  Due giorni prima dell’eccidio al coltello dei quattro poliziotti per mano del quinto collega,  c’è stata  a Parigi  una manifestazione di migliaia di agenti, “marcia della collera”, per chiedere migliori condizioni di lavoro e un vero programma contro la piaga dei suicidi, c he colpisce la categoria.   Sul marciapiede, senza far nulla, c’era un esponente dei Gilet Gialli, insieme a due o tre persone.  I poliziotti   hanno circondato il gruppetto con gli scudi, come fossero dei jihadisti.
Ma quelli sono,  appunto, cittadini, non delinquenti.   Bisogna pur chiedersi se  i suicidi non derivino da un profondo  senso di  tradimento della funzione dell’agente di sicurezza, da  agente al servizio della cittadinanza, ad  agente persecutore non dei criminali ma della “gente”, dei propri simili sociali.
Gli insegnanti sperimentano sulla loro pelle, letteralmente, la frattura con  la società cui   appartengono i loro studenti. Anche fra il corpo docente si moltiplicano i suicidi.

La Plume Libre@LPLdirect
🇫🇷 [FLASH] – Dio, 19 ans, sans-papiers, a frappé son professeur de sport dans un lycée à après que celui-ci lui a demandé d’enlever sa casquette.
Il a été jugé en comparution immédiate : 8 mois de prison.
Le professeur est en arrêt de travail pour au moins 5 mois.
(LP)

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C’è del  panico nell’isteria  di Attali. E non è il solo: si può fare un lungo elenco di farsi deliranti pronunciate dai potenti  del  progetto europeo, che indicano la spavento e la sensazione di essersi cacciati da soli in una trappola, finanziaria e sociale.   Uno di questi:
Il banchiere Mustier sa che cosa è una corsa agli sportelli? (Ecco perché vogliono abolire il contante  – Panico europeista).
P.S. “La sovranità appartiene al popolo …” Attali non fa altro che disprezzare e calpestare la nostra Costituzione.

Ecatombe di alberi in ogni città: intralciano il wireless 5G

24/6/2019
Altro che potature programmate fuori stagione. Un abbattimento di alberi per le strade di mezzo mondo. Una vera e propria strage di verde pubblico è in corso in Occidente. Roba mai vista prima d’ora, se non altro per l’anomala sincronicità nell’esecuzione dei tagli: Inghilterra, Scozia, Irlanda, Francia, Olanda, America e pure Italia. Decine di migliaia di alberi (anche secolari e rigogliosi) tagliati con disinvoltura alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, tra gli interrogativi dell’opinione pubblica e le proteste di chi, sgomento per l’anomala coincidenza, s’interroga sui risvolti meno evidenti spingendosi alla ricerca di verità occulte. Dietrologia? A placare gli animi non bastano le relazioni tecniche di agronomi che (legittimamente) certificano malattia e morte naturale di arbusti, fogliame e rami. Perché il problema non è tanto (e solo) saperne di più sullo stato delle piantumazioni abbattute, ma capire se esiste un motivo più subdolo e soprattutto se in tutto questo ci sia una regia nell’esecuzione: perché decine di migliaia di alberi sono stati abbattuti tutti insieme, proprio adesso? Anche in città distanti decine di migliaia di chilometri l’una dall’altra? In Europa come in America?
Strage di alberi a CerveteriNella “smart city” Prato sono scesi in strada gli attivisti del comitato locale “Stop 5G”, cartelli in mano hanno accompagnato la chirurgica esecuzione mostrando slogan su un’ipotetica correlazione col wireless di quinta generazione: “Più alberi, meno antenne”, l’equazione sfilata in corteo pure nel “Friday For Future”. E’ successo così anche alle porte di Roma, dove il “Comitato Stop 5G Cerveteri” ha diffuso una nota in cui veniva chiesto al sindaco ceretano di chiarire sulla contestata demolizione. Alessio Pascucci, primo cittadino nella città della necropoli etrusca ma pure coordinatore nazionale di “Italia in Comune” (il cosiddetto partito dei sindaci fondato dal parmense Pizzarotti dove è iscritta anche una consigliera della Regione Veneto firmataria di una mozione Stop 5G), è uscito allo scoperto accusando di teorie complottiste, rettiliane e terrapiattiste i difensori dell’ecosistema che nell’“Internet delle cose” ipotizzano il mandante del sincronico abbattimento di alberi, annunciato persino in 60.000 unità a Roma dalla giunta Raggi. Mentre in Abruzzo, nell’intento di scongiurare il de profundis, le “Mamme Stop 5G” portano i loro figli nei prati per farli abbracciare agli alberi, manco fossero scudi umani nell’avanzata dell’intelligenza artificiale.

Il fisico Andrea Grieco dell'università di MilanoPuntando su studi e consulenze d’esperti, l’inchiesta di “Oasi Sana” prova a gettare un po’ di luce, tra le ombre di una polemica che promette strascichi non solo in sedi amministrative locali. Interviste e documenti alla mano, ecco cosa ne viene fuori su alberi e 5G. Alla faccia dei negazionisti. Il nesso esiste eccome: tra natura e intelligenza artificiale, tra albero e 5G la convivenza è critica… uno dei due è di troppo! «L’acqua, di cui in genere sono ricchi gli alberi e le piante, assorbe molto efficacemente le onde elettromagnetiche nella banda millimetrica», sostiene Andrea Grieco, docente di fisica a Milano ed esperto dei problemi legati all’inquinamento elettromagnetico. «Per questo motivo costituiscono un ostacolo alla propagazione del segnale 5G. In particolare le foglie, con la loro superficie complessiva elevata, attenuano fortemente i segnali nella banda Uhf ed Ehf, quella della telefonia mobile. Gli effetti biologici sono ancora poco studiati, però alcune ricerche rilevano danni agli alberi e alle piante sottoposte a irraggiamento da parte delle Stazioni Radio Base (le antenne spesso sui tetti dei palazzi, Ndr)».
Quindi il sillogismo è presto fatto: alberi = clorofilla = acqua. E le inesplorate microonde millimetriche dalle mini-antenne 5G (senza studio preliminare sugli effetti per l’uomo, nonostante le radiofrequenze siano possibili cancerogeni per l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) trovano nell’acqua e negli alberi un ostacolo nel trasporto dati, non avendo il segnale del wireless di quinta generazione lo stesso campo elettrico né la stessa penetrazione a lungo raggio dei precedenti standard 2G, 3G e 4G. In pratica, l’albero funge da barriera. Le foglie dell’albero assorbono lo spettro di banda del 5G, impedendone l’ottimale ricezione del segnale emesso dalle mini-antenne!
Lo scempio degli alberiUn documento di 46 pagine dell’autorevole Ordance Survey (si tratta dell’ente pubblico del Regno Unito incaricato di redigere la cartografia statale) sulle pianificazioni geo-spaziali del 5G stilato come manuale d’uso per pianificatori e autorità locali dal Dipartimento per la digitalizzazione, cultura, media e sport, afferma che nelle strade urbane si deve prima di tutto «valutare se l’area ha un flusso di traffico significativo e in particolare autobus e camion», per poi considerare come il segnale del 5G possa essere impattato, cioè ostacolato, «identificando tutti gli oggetti significativi in ​​genere», con altezza «oltre i 4 metri», quali (ad esempio) «pareti alte, statue e monumenti più piccoli, cartelloni pubblicitari» e (guarda caso) «alberi di grandi dimensioni e siepi alte», poiché arbusti, foglie e rami «devono essere considerati come bloccanti del segnale» del 5G al pari di materia solida (pietra e cemento).
Se durante i test di valutazione ingegneristica sulla velocità di trasmissione del 5G condotti in particolari condizioni atmosferiche (neve, pioggia intensa) il colosso americano Verizon ha individuato nelle foglie sugli alberi un problema, sempre d’oltre Manica un altro documento (già pubblicato in esclusiva su “Oasi Sana”) conferma il nesso alberi e 5G. E’ dell’Istituto per i sistemi di comunicazione dell’Università britannica di Surrey a Guildford (Est Inghilterra) e dice come i «nuovi modi con cui le autorità di pianificazione locali possono lavorare con gli operatori di reti mobili per offrire enormi opportunità future per le comunità locali (…) è ridurre le altezze dei montanti mobili in modo che siano schermati visivamente da edifici e/o alberi, visto che gli alberi rappresentano l’ostruzione più alta e più probabile. Tuttavia, ciò scherma anche i segnali a radiofrequenza e ha sconfitto l’obiettivo di una copertura affidabile» del 5G. «Le curve tracciate nel diagramma – continua il testo redatto dai cattedratici – mostrano come all’aumentare dell’altezza dell’albero, sopra la linea di irradiazione della stazione radio base, aumenta anche quella che è noto come la ‘zona di Fresnel’ o perdita di ombre».
Francia, una piazza disboscata in AquitaniaGiungendo al dunque, infine, dall’Inghilterra vengono smascherati i conflitti tra alberi e 5G, ovvero cono d’ombra e segnale wireless sui lampioni della luce: «Per evitare questa perdita di ombreggiamento ed essere al di fuori della zona di Fresnel, è necessario che l’altezza dell’albero sia almeno 3 metri inferiore rispetto all’altezza della stazione di base». In definitiva, sia gli studiosi del 5G dell’Ordance Survey che quelli di Surrey a Guildford, convergono sullo stesso punto dicendo apertamente la stessa cosa: gli alberi con altezza ricompresa tra i 4 e i 3 metri sono un intralcio, un vero e proprio ingombro per la diffusione del segnale elettromagnetico del 5G che, irradiato dai lampioni della luce, non verrebbe recepito a terra dai nuovi Smartphone! Come anticipato dal fisico Andrea Grieco, che foglie e piante assorbano l’elettrosmog è risaputo. Lo certifica anche uno studio dell’americana Katie Haggerty che, sul giornale internazionale per le ricerche forestali, ha pubblicato gli esiti sull’influenza nociva delle radiofrequenze sulle piante. «Numerosi episodi si sono stati registrati in Nord America», deduce la ricercatrice, condotti esperimenti su piante schermate e non, irradiate da campi elettromagnetici.
«La morfologia e il comportamento dei due gruppi esposti a radiofrequenza erano molto simili. Piantine non schermate e finte schermate avevano tessuto fogliare che variava di colore dal giallo al verde e un’alta percentuale di tessuto fogliare in entrambi i gruppi esposti mostrava lesioni necrotiche. Le foglie nel gruppo schermato erano sostanzialmente prive di lesioni del tessuto fogliare, ma le foglie non schermate e finte schermate erano tutte influenzate in qualche misura dalla necrosi del tessuto fogliare». In conclusione, oltre che per l’umanità, l’elettrosmog è pericoloso per ecosistema e piante. E gli alberi sono un intralcio al grande business del 5G. Certo, da qui a dire che tra Europa e America decine di migliaia di alberi siano stati sicuramente abbattuti per installare nuove antenne a microonde millimetriche ce ne passa, ma è un dubbio fondato e tutt’altro che azzardato su cui le istituzioni sono chiamate a chiarire. Responsabilmente. Senza inutili giri di parole. Anche perché la verità sarà nella prova dei fatti. Su quelle stesse strade senza più verde, spunteranno come funghi antenne 5G dai lampioni della luce?
(Maurizio Martucci, “Ecatombe di alberi. Intralciano il wireless del 5G”, da “Oasi Sana” del 15 aprile 2019).

Preso da: https://www.libreidee.org/2019/06/ecatombe-di-alberi-in-ogni-citta-intralciano-il-wireless-5g/

Quel patto tra Francia, Germania e Spagna che svela il futuro dell’Europa

L’asse franco-tedesco ha una terza gamba: la Spagna di Pedro Sanchez. Sia chiaro, Madrid ha da sempre rappresentato un Paese fondamentale legato sia a livello politiche che a livello economico all’alleanza tra Francia e Germania. Ma adesso, con Sanchez, Emmanuel Macron ed Angela Merkel tutto appare più nitido. Le elezioni europee hanno confermato che Berlino, Parigi e Madrid hanno costruito un asse sempre più solido che serve non solo a Francia e Germania per rafforzarsi in Europa, ma anche alla stessa Spagna per scalzare l’Italia come terza potenza dell’Unione europea. Una convergenza di interessi che adesso si ripercuote su uno dei fronti più importanti dell’alleanza tra Berlino e Parigi: la difesa europea.

Dopo mesi di trattative, infatti, il governo spagnolo  ha aderito al progetto del nuovo caccia europeo. Come scrive il quotidiano spagnolo Abc, il ministro della Difesa, Margarita Robles, ha firmato l’accordo con il quale la Spagna aderisce formalmente al Future Combat Air System (Fcas) durante il Salone internazionale dell’aeronautica e dello spazio a Le Bourget, Parigi. Il memorandum d’intesa del Fcas è stato firmato, oltre che dalla Robles, anche dal ministro della Difesa francese, Florence Parly, e dal ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen. L’accordo servirà alle difese di Berlino, Madrid e Parigi per sostituire entro il 2040 gli attuali Rafale ed Eurofighter e ha una durata di almeno dieci anni. Uno strumento che serve ai governi dell’asse franco-tedesco di mostrare la propria volontà di competere rispetto ai giganti dell’industria aeronautica militare mondiale, ma serve soprattutto per dare un’accelerata a quella difesa di matrice europea su cui Parigi sta puntando moltissimo e su cui sembra avere investito anche la Germania, preoccupata dall’essere una potenza industriale ma esclusa dai grandi giochi strategici internazionali.
Per quanto riguarda la Spagna, la mossa ha un chiarissimo connotato politico che dimostra la volontà di Sanchez di unire l proprio Paese a quell’asse franco-tedesco che rimane, secondo i suoi alleati, il vero motore dell’unità europea. Sgombriamo il campo da equivoci: Sanchez al pari di Macron e Merkel non lo fa per beneficenza né per sane europeismo. Quello che si nasconde dietro questa decisione è un chiaro intento da parte della Spagna di incunearsi quale terza gamba dell’asse franco-tedesco, pur essendo perfettamente consapevole che il gioco lo conducono Macron e Merkel. Ma dalla sua Sanchez può sfruttare una fondamentale miscela di di interessi convergenti. Da una parte l’Italia ha mostrato forti aperture di credito nei confronti degli Stati Uniti di Donald Trump che tutto vogliono me no che Francia e Germania continuino nei loro progetti di Difesa europea a guida franco-tedesca. Dall’altra parte, il governo italiano ha deciso di non puntare su progetti di difesa Ue che non siano inseriti nell’ambito Pesco e nell’ambito Nato. Infine, non va dimenticato neanche un ultimo dato di natura squisitamente politica: Sanchez rappresenta l’unico governo europeo pro-Ue, sostenuto da Francia e Germania e con la Commissione europea uscente che ne ha certificato la bontà delle riforme. Di fatto questo momento storico può rappresentare per Madrid il passaggio di consegne da parte di Roma. E così, questo accordo militare può rivelare molte cose sul futuro dell’Unione europea, che da tempo sembra aver deciso che il futuro di Bruxelles spasserà per Francia e Germania con il sostegno della Spagna. Escludendo, per il momento, l’Italia.

Preso da: https://it.insideover.com/politica/patto-francia-germania-spagna-fcas.html

Siamo tutti bugiardi

Thierry Meyssan replica alle commemorazioni dello sbarco in Normandia e del massacro di Tienanmen, nonché alla propaganda elettorale per le recenti elezioni del parlamento europeo, mettendo l’accento sul fatto che continuiamo a mentire, persino rallegrandocene. Soltanto la verità può però renderci liberi.

| Damasco (Siria)

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La propaganda è un mezzo per diffondere idee, siano esse vere o false. Ma mentire a sé stessi significa non assumersi la responsabilità dei propri errori, convincersi di essere perfetti e passare oltre.

La Turchia è esempio estremo di questo atteggiamento. Insiste a negare di aver cercato di liberarsi delle minoranze non mussulmane, tentando di farle sparire a ondate per un’intera generazione, dal 1894 al 1923. Anche gli israeliani non se la cavano male: pretendono di aver creato il loro Stato allo scopo di offrire vita degna agli ebrei sopravvissuti allo sterminio nazista, quando invece già nel 1917 Woodrow Wilson si era impegnato a fondarlo, e nonostante oggi in Israele oltre 50.000 sopravvissuti ai campi della morte vivano in miseria, al di sotto della soglia di povertà. Ma gli occidentali provvedono da sé a costruire il consenso attorno alle proprie menzogne e le professano come fossero verità rivelate.

Lo sbarco in Normandia

Si festeggia il 75° anniversario dello sbarco in Normandia. Quasi unanimemente i media affermano che con questa operazione gli Alleati diedero inizio alla liberazione dell’Europa dal giogo nazista.
Ebbene, sappiamo tutti che è una menzogna.
-  Lo sbarco non fu opera degli Alleati, ma quasi esclusivamente dell’Impero britannico e del corpo di spedizione statunitense.
-  Non ebbe lo scopo di “liberare l’Europa”, bensì di precipitarsi su Berlino per strappare i brandelli del Terzo Reich alla vittoriosa armata sovietica.
-  I francesi non accolsero lo sbarco con gioia, ma con orrore: Robert Jospin, padre dell’ex primo ministro Lionel, sul suo giornale denunciava in prima pagina che gli anglosassoni avevano importato la guerra in Francia. I francesi seppellirono le 20 mila vittime dei bombardamenti anglosassoni unicamente per creare un diversivo. A Lione, un’immensa manifestazione si raccolse attorno al “capo dello Stato”, l’ex maresciallo Philippe Pétain, per respingere la dominazione anglosassone. E mai, assolutamente mai, il capo della Francia libera, il generale Charles De Gaulle, accettò di partecipare alla benché minima commemorazione di questo nefasto sbarco.
La storia è più complicata dei film western. Non ci sono “buoni” e “cattivi”, soltanto uomini che cercano di salvare parenti e amici con più o meno umanità. Almeno si sono evitate le stupidaggini di Tony Blair che, durante le commemorazioni del 60° anniversario dello sbarco, fece insorgere la stampa affermando nel suo discorso che il Regno Unito entrò in guerra per salvare gli ebrei dalla “shoah” ¬– non però i gitani vittime dello stesso massacro. Ebbene, la persecuzione degli ebrei d’Europa iniziò soltanto nel 1942, dopo la Conferenza di Wansee.

Il massacro di Tienanmen

Si celebra anche il triste anniversario del massacro di Tienanmen. Ovunque si legge che il crudele regime imperiale cinese massacrò migliaia di concittadini, pacificamente radunati nella principale piazza di Beijing, che chiedevano soltanto un po’ di libertà.
Ebbene, tutti sappiamo che è falso.
-  Il sit-in in piazza Tienanmen non fu un semplice raduno genuino di cittadini cinesi, bensì un tentativo di colpo di Stato da parte di partigiani dell’ex primo ministro Zhao Ziyang.
-  In piazza Tienanmen, “pacifici manifestanti” linciarono o bruciarono vivi soldati a decine e distrussero centinaia di veicoli militari, prima che intervenissero gli uomini di Deng Xiaoping a fermarli.
-  A organizzare gli uomini di Zhao Ziyang, sul posto c’erano gli specialisti USA delle “rivoluzioni colorate”, tra cui Gene Sharp.

L’Unione Europea

Abbiamo appena votato per eleggere i rappresentanti al parlamento europeo. Per settimane siamo stati abbeverati di slogan che ci garantivano che «l’Europa è la pace e la prosperità» e che l’Unione Europea è il compimento del sogno europeo.
Ebbene, tutti sappiamo che è falso.
-  L’Europa è insieme un continente – «da Brest a Vladivostok», secondo la definizione di De Gaulle – e una cultura di apertura e cooperazione; l’Unione Europea invece non è altro che un’amministrazione anti-Russia, in continuità con la corsa verso Berlino dello sbarco in Normandia.
-  L’Unione Europea non è pace: a Cipro è vigliaccheria di fronte all’occupazione militare turca. Non è prosperità, ma stagnazione economica quando il resto del mondo si sviluppa a gran velocità.
-  L’Unione Europea non è in rapporto alcuno con il sogno europeo del primo dopoguerra. L’ambizione dei nostri antenati era unificare i regimi politici nell’interesse generale – le Repubbliche, nel senso etimologico del termine – conformemente alla cultura europea, si trovassero o meno nel continente. Aristide Briand propugnava che l’Argentina, Paese di cultura europea dell’America Latina, facesse parte dell’Europa, ma non il Regno Unito, società di classe.
E così via…

Andiamo avanti come ciechi

Dobbiamo saper distinguere il vero dal falso. Possiamo rallegrarci della caduta del nazismo, senza tuttavia convincerci che gli anglosassoni ci hanno salvati. Possiamo denunciare la brutalità di Deng Xiaoping, senza tuttavia negare che ha salvato la Cina da un nuovo colonialismo. Possiamo essere contenti di non essere stati dominati dall’Unione Sovietica, senza tuttavia inorgoglirci di essere i lacchè degli anglosassoni.
Continuiamo a mentire a noi stessi per nascondere le nostre vigliaccherie e i nostri crimini. Ciononostante, ci meravigliamo di non riuscire a risolvere alcuno dei problemi dell’umanità.

Traduzione
Rachele Marmetti
Giornale di bordo